La lotta ambientale non si delega

Il riscaldamento climatico, l’acidificazione dei terreni, l’inquinamento e dunque catastrofi climatiche e desertificazione sono prodotti di questo sistema interessato unicamente ai profitti. La green economy non ha creato soluzioni sostanzialmente efficaci poiché intende unicamente edificare nuovi mercati riservati ai ricchi, mentre i poveri continueranno a morire, ammalarsi ed il pianeta spegnersi con loro. Le grandi opere sono inutili, antieconomiche e devastanti, nocive per la salute, servono esclusivamente per finanziare i carrozzoni elettorali e istituzionali dei governi.

In Italia il 9,3% dei gas serra è prodotto dall’agricoltura e dal settore zootecnico. Le principali sostanze immesse nell’ambiente dal settore agricolo sono metano e protossido di azoto: a ciò saggiunge l’utilizzo di pesticidi e composti chimici pericolosi, oltre all’inquinamento prodotto dai nitrati, di fertilizzanti a base di fosfato, dall’abuso di antibiotici, del glifosato e quello dei pesticidi neonicotinoidi. L’uso di organismi geneticamente modificati poi è la ciliegina sulla torta.

Il metano è il secondo gas responsabile dell’effetto serra dopo la CO2 ed è quindi corresponsabile della riduzione dello strato di ozono. Le concentrazioni atmosferiche di metano sono ben inferiori a quelle di anidride carbonica ma il suo potenziale nei confronti del riscaldamento globale è notevolmente superiore.

La diffusione di ammoniaca nell’aria inoltre è responsabile del fenomeno delle piogge acide o deposizioni acide, cioè il processo attraverso il quale le sostanze gassose di origine antropica si depositano sul suolo alterando le caratteristiche chimiche degli ecosistemi compromettendo la funzionalità di acque, foreste e terreni.

L’allevamento di animali intensivo contribuisce alle emissioni di anidride carbonica rappresentate dall’uso di energia fossile ai fini della produzione e del trasporto dei mangimi, dei medicinali e delle attrezzature, della produzione industriale di erbicidi, antiparassitari e fertilizzanti, soprattutto azotati, per la coltivazione di foraggi e dei mangimi e inoltre dall’impiego di combustibili fossili ed energia elettrica per le operazioni colturali, ai fini della produzione di alimenti per il bestiame. Da considerare poi che il trasporto degli animali verso i macelli, la lavorazione degli stessi, il trasporto fino alla distribuzione e lo stoccaggio delle carni hanno costi energetici considerevoli per la richiesta di combustibili fossili o di energia elettrica necessari.

Una problematica importante dell’allevamento intensivo riguarda il rischio di inquinamento delle acque superficiali e di falda da parte degli spargimenti dei reflui, soprattutto azoto/nitrati e fosforo, con i conseguenti fenomeni di eutrofizzazione ovvero il fenomeno di eccessivo accrescimento di alghe e piante acquatiche con conseguente rottura degli equilibri presenti e deterioramento dell’ecosistema, che provoca la moria dei pesci per assenza di ossigeno nell’acqua.

I nitrati sono presenti anche nei fertilizzanti utilizzati nelle coltivazioni intensive che richiedono alti tassi di azoto. Quando la concentrazione di nitrati nel terreno raggiunge livelli elevati, questi non vengono trattenuti dal terreno e possono essere facilmente dilavati e inquinare le falde (lisciviazione dei nitrati). Una concentrazione elevata di nitrati nelle acque può essere tossica, sia per l’uomo sia per gli animali.

Gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da “polveri fini” in Italia, responsabili dello smog più dell’industria e più di moto e auto. A dirlo è una stima di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Secondo queste stime gli allevamenti intensivi sono responsabili rispettivamente del 38% e del 15,1% del particolato PM 2,5 della penisola. In altre parole, lo stoccaggio degli animali nelle stalle e la gestione dei reflui inquinano più di automobili e moto (9%) e più dell’industria (11,1%).

La quantità di polveri totali sospese è misurata in maniera quantitativa (peso/volume) a seconda della dimensione delle particelle. Per indicare la dimensione si utilizza il temine Particulate Matter (PM), seguito dal diametro aerodinamico massimo delle particelle (10μm o 2,5 μm). Il calcolo di ISPRA ribalta la classifica dei settori inquinanti prendendo in considerazione sia il PM primario (quello direttamente emesso dalle sorgenti inquinanti, ad esempio dai tubi di scappamento delle auto) sia il PM secondario (quello prodotto in atmosfera da reazioni chimiche che coinvolgono diversi gas precursori).

Per fare un esempio, il contributo degli allevamenti intensivi al PM primario è irrisorio; infatti, gli allevamenti sono responsabili di poco più dell’1,5% delle emissioni di PM primario (nello specifico, dell’1,7% di PM2,5 primario nel 2016). Al contrario, diventano centrali se si prende in considerazione anche il particolato secondario, ovvero quello derivante dalla produzione di ammoniaca (NH3) che, liberata in atmosfera, si combina con altre componenti per generare proprio le “polveri sottili”. Anzi, mentre è diminuito il contributo di auto e moto, del trasporto su strada, dell’agricoltura, dell’industria e della produzione energetica, al contrario, è aumentato l’inquinamento del riscaldamento (che passa dal 15% del 2000 al 38% del 2016) e del settore allevamenti (dal 10,2% al 15,1% in sedici anni).

Le grandi conferenze di Stati in merito stanno producendo solo sterili proclami e l’ambientalismo istituzionale non ha prodotto soluzioni efficaci a fermare l’ecocidio globale. La questione ecologista è strettamente legata al modello di sviluppo e alle relazioni gerarchiche e autoritarie sistemiche da esso generate reiterando la distruzione dei territori, degli ambienti e delle relazioni sociali.

Negli ultimi mesi molti giovani sono scesi in piazza per porre con forza la questione. Anche se non sufficiente il superamento del sistema capitalista, a nostro avviso, la loro mobilitazione sarà un passo necessario per arrivare a una soluzione dei problemi ecologici ed anche per fare sì che l’orizzonte dei singoli conflitti ambientali locali si inserisca nel più generale ambito della lotta per la trasformazione sociale.

Sarà necessario dunque, a nostro avviso, incrementare un percorso sociale che valorizzi la cultura dell’autogoverno attraverso proposte pratiche e concrete che rifiutino il rituale della delega elettorale e si collochino, invece, in una dimensione associativa comunalista e libertaria di differenti esperienze autogestionarie dal basso.[1]

Gruppo Anarchico “C. Cafiero” – FAI Roma

NOTE

[1] Di questi temi abbiamo parlato sabato 22 giugno presso lo Spazio Anarchico 19 Luglio in via Rocco da Cesinale 18 con Martina Pierdomenico (ricercatrice precaria CNR) che ci ha spiegato gli effetti degli agenti inquinanti sull’ambiente terrestre e marino, con alcuni studenti del Liceo Socrate e con attivisti antispecisti. È seguita una cena vegan e la proiezione del cortometraggio Green Hill, una Storia di Libertà a cura di Pier Paolo Paterno, 2014.

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