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Iran, proteste e internet: le due facce della medaglia.

Iran, proteste e internet: le due facce della medaglia.

Interessarsi di Internet e argomenti simili davanti a uno scenario, come quello attuale in Iran, dal quale arrivano segnali sulla possibilità di rivolgimenti sociali significativi, potrebbe sembrare di volersi occupare di mere questioni tecnologiche piuttosto che di quelle politiche. In realtà, anche attraverso riflessioni che riguardano argomenti come le reti telefoniche e l’accesso a Internet, è possibile valutare la situazione esistente in un paese, anche a dispetto della scarsità o della mancanza di fonti dirette attendibili.

Per esempio, guardando la Home del sito ufficiale del Governo iraniano [https://irangov.ir/ consultato l’8/12/2022] sembrerebbe che la situazione nel paese sia di assoluta tranquillità o quasi, ma basta solo un click sulla notizia dal titolo più intrigante “French president guided by CIA” per leggere una interessante dichiarazione del Ministro dei Servizi Segreti: “Il ministro dell’intelligence iraniano Esmail Khatib ha affermato che il presidente in carica della Francia Emmanuel Macron non ha più bisogno di essere guidato dal presidente degli Stati Uniti, quando è la CIA che gli impone cosa dire e quale posizione assumere. Le recenti rivolte in Iran possono essere considerate come una delle grandi cospirazioni progettate da agenzie di intelligence ostili, che hanno portato i servizi di intelligence dei nemici a scatenare tutto ciò che avevano investito nello sviluppo della loro rete negli ultimi anni per creare insicurezza in Iran. […] in linea con la guerra combinata del nemico e insieme alla guerra mediatica e alle pesanti operazioni psicologiche, alla pressione politica ed economica, ecc., questo è solo uno dei pezzi del piano che hanno usato per destabilizzare l’Iran, progettando di trasformare l’Iran in una nuova Siria.”

Lasciando perdere la propaganda governativa che è praticamente uguale (come tipo di comunicazione) a quella di qualsiasi altro paese, si deve ricordare che l’inimicizia tra la teocrazia al potere in Iran e la Rete non è iniziata dopo l’ondata di proteste seguite all’assassinio di Mahsa Amini. Tra il 2018 e il 2021 sono stati contati almeno 8 casi nei quali Internet è stata “chiusa” in concomitanza di problemi collegati all’ordine pubblico. Addirittura nel 2019 ci fu un black-out delle comunicazioni che durò una settimana, proprio in contemporanea alle proteste contro l’aumento del prezzo della benzina. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il blocco delle comunicazioni non riguarda sempre e solo Internet ma più spesso la rete di telefonia mobile in quanto, stando alle informazioni disponibili, più della metà degli iraniani e delle iraniane accedono alla comunicazione elettronica proprio tramite i telefonini. In questi casi risulta anche più facile procedere con oscuramenti mirati che colpiscono solo determinate aree geografiche, il che è utile quando le situazioni critiche sono ristrette e non generalizzate. Si tenga presente che secondo alcune stime circa l’88,8% della popolazione iraniana usa Internet, in Italia siamo all’85,3 [da Wikipedia].

Insieme a sistemi di censura drastici, proprio nel febbraio di quest’anno è stata approvata una legge che, per quanto è dato sapere, ha aumentato il controllo dell’esecutivo sul settore della comunicazione elettronica e le restrizioni al suo uso e posto le basi per la creazione di una Rete separata dal mondo esterno. Progetto che è in ballo anche in altri paesi, come per esempio la Russia. Da sempre le istituzioni e le classi al potere considerano la libertà di comunicazione un pericolo, una minaccia per i propri privilegi e la leadership iraniana non fa certo eccezione a questa regola. Gli strumenti utilizzati per contrastare e per ostacolare la libertà di comunicazione variano naturalmente da paese a paese, ma siamo sicuri che anche nelle democrazie più liberali si arriverebbe a interrompere le comunicazioni in caso di una situazione considerata, secondo il giudizio di chi è al governo, pericolosa. E la repressione viene sempre sostenuta da appositi provvedimenti legislativi. Come del resto ha chiaramente detto il Presidente iraniano Ebrahim Raisi il 7 dicembre scorso nel corso del suo intervento durante la “giornata dello studente” quando, rispondendo a una domanda sullo stato di Internet, ha affermato: “Ricordiamo le promesse che sono state fatte sul cyber spazio, ma il punto è che se il nemico vuole utilizzare questo spazio per provocare il caos nel Paese, cosa si dovrebbe fare? La causa delle restrizioni è dovuta al tentativo del nemico di creare insicurezza nel Paese […] e dovete sapere che la situazione sarà diversa dopo la normalizzazione della situazione” [dal sito del Governo iraniano, citato sopra]. Parole che avrebbe potuto pronunciare un qualsiasi politico italiano, tenuto conto che in molte occasioni alcuni parlamentari hanno chiesto restrizioni alla comunicazione elettronica anche solo per qualche vaffanculo di troppo via social. Figuriamoci cosa farebbero davanti a delle rivolte nelle strade. Quello che ancora non hanno imparato i governi, tutti i governi, è che anche l’imposizione di una rigida censura non riuscirà mai a mettere a tacere tutte e tutti e per sempre. Infatti da quando sono iniziate le proteste in Iran a oggi non sono poche le immagini e i filmati che sono riusciti a superare la censura per fare immediatamente il giro del mondo senza più la possibilità di essere fermati. Così come quando non esisteva Internet e le comunicazioni proibite viaggiavano, più lentamente, sulla carta.

Oggi, che dipendiamo principalmente dalla comunicazione digitale è su quel terreno che si svolge la battaglia tra coloro che cercano di comunicare superando le frontiere nazionali e coloro che vogliono continuare ad impedire che ciò avvenga. Un confronto che avviene in primo luogo sul piano tecnico: da una parte sono state usate soprattutto le VPN (“Virtual Private Network”), canali di comunicazione che rendono più complicato il lavoro dei controllori, e dall’altro si sono implementati apparati di “deep packet inspection”, un sistema che permette di controllare tutti i dati che transitano sulla Rete. Da una parte si chiede l’aiuto ai satelliti del padrone di Twitter, cosa alquanto inutile in quanto per collegarsi a Internet via satellite servono delle antenne che difficilmente verrebbero vendute in Iran e dall’altra si stringono accordi con il governo cinese da sempre all’avanguardia per quello che riguarda la repressione. Se da una parte speriamo che la popolazione iraniana si liberi dai suoi oppressori anche usando Internet, non possiamo dimenticare che quella stessa tecnologia è un formidabile strumento nelle mani di chi vuole controllare le persone. Sono due facce della stessa medaglia, non separabili, almeno non all’interno della società dominata dal capitalismo e dallo stato.

Intanto, nel momento in cui scriviamo, sul sito del governo iraniano e su quello del presidente campeggia esclusivamente una scritta in farsi: “Il sito Web desiderato non è disponibile”, il che ci dice qualcosa sulla situazione esistente nel paese e non solo riguardo a Internet.

Pepsy

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