Con l’abolizione dei voucher, i buoni lavoro con cui vengono retribuiti migliaia di lavoratori, il governo Gentiloni si è assicurato una dose di popolarità a buon mercato. Ma non è detto che questa popolarità sia sufficiente a farlo arrivare alla fine della legislatura. Anzi.
Il decreto emanato dal Governo prevede che i buoni lavoro non possano essere più venduti a partire dal 17 marzo, data della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, e consente di usare quelli già acquistati fino al 31 dicembre del 2017. Nello stesso decreto il Governo reintroduce il principio della “responsabilità solidale” negli appalti; con questo provvedimento, una volta convertito in legge, non ci sarà più bisogno dei referendum previsti per il 28 maggio. Con questa mossa, il Governo evita di impegnarsi in una estenuante trattativa, prima all’interno della maggioranza e poi con la CGIL, con il rischio di non riuscire ad evitare i referendum.
La CGIL, ovviamente, canta vittoria: in un suo comunicato definisce il decreto il primo importante risultato della sua iniziativa, rimanendo impegnata fino alla trasformazione in legge.
I primi commenti sul decreto nei blog che fanno riferimento ad aree di movimento e conflittuali ribadiscono un atteggiamento negativo. C’è chi, riecheggiando la presa di posizione di Confindustria e di altre associazioni padronali, richiama l’irrinunciabilità di uno strumento di questo tipo per l’attuale fase del modo di produzione capitalistico, e chi piuttosto vede nel rapporto di lavoro retribuito con i buoni un paradigma per l’intera galassia del lavoro precario, preconizzando che la fine dei voucher non porterà alla fine del lavoro precario. L’impressione è che gli autori degli interventi “stiano a rosica’” per l’esultanza della CGIL.
Dobbiamo riconoscere che l’affermarsi di soluzioni legalitarie ai problemi dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati non è solo il risultato di dirigenze collaborazioniste e traditrici, è anche proporzionale alla mancanza di una prospettiva conflittuale, autogestionaria, di classe che non sia solo predicatoria, che non si limiti a preconizzare sfracelli per il modo di produzione capitalistico e tragedie per i proletari, una prospettiva che dimostri sul terreno della lotta quotidiana la superiorità, in termini di risultati e di energie spese, del metodo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione rispetto a quello della collaborazione.
Sarebbe bello se si riesce a portare a casa dei risultati senza bisogno di lotte dure e barricate. Sarebbe bello se Landini e la Camusso, Gentiloni, Renzi, Berlusconi e compagnia bella fossero realmente preoccupati delle condizioni della stragrande maggioranza della popolazione e, compatibilmente con il bilancio statale, si affannassero ad alleviarne le ambasce. Pensate quale mirabile dimostrazione della bontà innata dell’uomo! Se poi tutto questo si dovesse ottenere mettendo in dubbio questo o quell’aspetto dell’ideale anarchico, me ne farò una ragione.
Pensate dove mi hanno portato queste riflessioni sul decreto che abolisce i voucher! C’è tuttavia un ostacolo, che ha già sottolineato la CGIL nel suo comunicato, ed è la trasformazione in legge del decreto. La strada è tutt’altro che spianata: i centristi hanno già dichiarato che voteranno contro, mentre molte contrarietà sono emerse anche all’interno del Partito Democratico; è quindi possibile che, anche se il Governo ponesse la fiducia, il decreto non venga approvato. In questo quadro, il governo potrebbe cercare voti all’esterno, sia fra i gruppi dell’estrema sinistra, sia fra il movimento 5 stelle: che cosa faranno i grillini? Se votano a favore del decreto, perdono un’occasione per mandare a casa il governo, se votano contro e fanno cadere il governo, si espongono al rischio di una campagna elettorale dove sarebbero accusati di mantenere i più esecrati strumenti di essa.
Il decreto deve essere convertito in legge entro la metà di maggio: se questo non avviene, ci sarebbero i tempi tecnici per andare al referendum. Se però cade il governo e vengono sciolte le Camere, il referendum viene rinviato.
Visto il legame tra il gruppo dirigente del PD e Confindustria, è probabile che questo sia proprio lo scenario verso cui sta puntando il Governo, in modo da far slittare il referendum, mantenere i voucher e dando la colpa a chi fa mancare i voti per la conversione del decreto. Il governo otterrebbe anche di distrarre l’attenzione dal fronte della scuola, che si sta riscaldando, e Gentiloni potrebbe smettere di togliere dal fuoco le castagne messe da Renzi.
Gli attivisti della CGIL che si sono impegnati nella campagna referendaria avrebbero, ancora una volta, lavorato per il re di Prussia, mentre i precari, i disoccupati gli sfruttati avrebbero l’ennesima dimostrazione che la classe politica usa le loro legittime esigenze per i propri giochi di potere. Allora per i voucher come per i licenziamenti, per gli appalti come per i salari, non resterebbe, come prima, che la strada della lotta, con un ennesimo tradimento alle spalle e, per gli anarchici, l’amara soddisfazione di aver avuto ancora una volta ragione.
Tiziano Antonelli