Alle ultime regionali il 51% dei Friulani, giuliani e veneti ha disertato le urne per eleggere il “loro” governatore. Nella precedente edizione del 2013, quando vinse (si fa per dire) la Serracchiani (PD), l’astensionismo già sfiorò il 49%.
Si tratta oggettivamente di un “plebiscito”, di una percentuale che se politici, opinionisti e media fossero seri (ma siamo solo un gran bazar di nani e ballerine o se volete di televendite da Vanna Marchi in TV provinciali) dovrebbero affrontare con attenzione dati di questo genere e invece tutto passa alla chetichella, a parte qualche timido corsivo di terza pagina.
I Friulani, con la parte veneta e giuliana, sono noti per alcuni luoghi comuni (che per altro come tutti i luoghi comuni hanno sempre una loro parte di verità) e cioè che sono indefessi lavoratori, con attitudine alla sobrietà di costumi e una sostanziale naturalezza all’osservanza di regole e leggi (ah la tanto rimpianta serietà asburgica).
Ora, come ben sappiamo, oltre al fondo di verità i luoghi comuni (ma quanto c’è di vero?) nascondono anche il difetto di autocostruirsi nel tempo e in modo sempre più generalizzato la propria reputazione anche quando, appunto, i tempi cambiano, cambiano le persone, gli usi, i costumi e le attitudini.
Questo è il dato, snobbato dai più, che dovrebbe invece emergere: uno dei capisaldi di questo stereotipo da un po’ è venuto meno, infatti gran parte dei friulani non ha più fiducia e soprattutto alcuna riverenza per certe regole istituzionali.
Il salto non è poca cosa: soltanto nelle regionali del 2008 (ovvero 10 anni fa) l’affluenza alle urne fu oltre il 72%[1] (certamente aiutata dalle politiche), nel 2003 fu comunque del 63%[2] e c’erano solo le regionali, così come nel 1998 dove l’affluenza toccò il 65%[3]. Passare da una media di poco meno del 30% di astensione ad oltre il 50% significa che quello che viene definito “astensionismo fisiologico” e considerato con un certo disprezzo (menefreghismo, ignoranza delle regole democratiche, disinteresse per il bene comune ecc.) non può più essere considerato tale.
Non è pensabile che 558.025 abitanti di una regione siano considerati inadeguati o menefreghisti – evidentemente c’è dell’altro e questo altro va affrontato senza saccenza e senza usare quel moralismo caro ad una certa sinistra che poi fa il paio, in negativo, con la destra moralizzatrice.
Noi pensiamo che questi dati dicano qualcosa di chiaro, siano cioè una dichiarazione esplicita di delegittimazione della rappresentanza formale, alla cosiddetta democrazia rappresentativa mezzo milioni di friulani dicono di non crederci più. Senza tanti sofismi e ideologia.
Non credono più che questo sistema abbia effettivamente una qualche influenza positiva sulle proprie vite o, se vogliamo guardarla da un altro punto di vista, gran parte dei cittadini del FVG pensa che chiunque governerà questa regione non farà gli interessi loro ma ben altri, probabilmente i propri, quelli degli amici ecc. e tanto è sufficientemente affinchè si sentano estranei ad uno spettacolo in cui, a parte il biglietto, nessuno di loro sarà coinvolto. Hanno torto o ragione?
Ci sono altri luoghi comuni attorno alle elezioni e in particolare sono cari ad una certa “cultura” di sinistra: chi non vota non può lamentarsi, chi non vota rinuncia ad un diritto a cui molti hanno dato la vita, chi non vota ha sempre perso.
La regola del fondo di verità e dell’auto-costruzione come verità assoluta dei luoghi comuni vale anche in questo caso. Che nella storia di questo paese ci fu chi morì per un sistema democratico a suffragio universale è vero, ma non è vero per tutti quelli che lottarono e morirono nelle file del proletariato italiano. Anzi, chi conosce anche solo un po’ la storia di questo paese sa che ci fu una parte significativa e di massa, socialisti e sindacalisti rivoluzionari, anarchici e comunisti, che lottarono e morirono per ben altro che una democrazia formale. Parliamo di milioni di lavoratori, non di una parte irrilevante del paese. La democrazia così come la conosciamo è l’esito di due guerre mondiali, di tentativi di rivoluzioni e controrivoluzioni preventive (fascismo).
La repubblica per cui molti morirono non era quella “formale e rappresentativa” che amnistiava i dirigenti del PNF rimettendoli nei ranghi di potere effettivo (aziende, prefetture, questure, ministeri ecc.), non era quella che “doveva” collocarsi, in una spartizione da “guerra fredda”, nell’area capitalista che di buona parte degli articoli della costituzione ha fatto carta straccia. Molti morirono avendo negli ideali e nel cuore un’idea di repubblica socialista e democratica anche nell’accezione libertaria non in quella statalista. Per cui il luogo comune di cui sopra, “sono morti per darti il diritto di voto”, è in questa chiave antistorico, ognuno rivendica i morti che crede per se non per tutti e senza affibbiare loro, ex post, valenze che non possono né rivendicare né confutare.
“Chi non vota non può lamentarsi e ha sempre torto” sono poi asserzioni senza fondamento alcuno e non solo sul piano pratico (dove si lamentano comunque tutti e col torto nessuno mette insieme il pranzo con la cena) ma basta leggersi qualche libro di Sartori o di altri studiosi (e sostenitori) del sistema democratico per capire che invece l’astensione, cioè decidere di non partecipare alle elezioni, è semmai uno dei fiori all’occhiello della democrazia stessa rispetto ad altre forme di governo.
Infatti nei regimi di varia natura (s’intende quindi quelli di natura tendenzialmente totalitaria) il voto non è solo un dovere civico ma un dovere tout court, è cioè un obbligo. La percentuale di una Corea del Nord dove al voto si registra il 99,8% di affluenza dimostra chiaramente quale sia il nesso fra libertà e democrazia reale, esattamente come l’astensione altissima da sempre che fa da contraltare negli USA, considerati la culla della democrazia liberale e occidentale.
Chi non vota lo fa per i motivi più diversi. Fra questi vi sono certamente motivi tutt’altro che onorevoli (menefreghismo, ignoranza ecc.) ma vi sono certamente molti che non votano per motivi che vanno accettati, discussi, considerati. Fra questi c’è chi non vota per coscienza di classe, chi ritiene che il sistema formale non garantisca una democrazia sostanziale soprattutto sul piano economico (non lo diceva anche Bobbio quando parlava di democrazia monca o a metà?) e realisticamente chi, senza tanti sofismi o coscienza, nel tempo ha sperimentato concretamente che il voto non cambiava nulla nella propria vita, qualunque fossero i partiti al governo. E possiamo convenire che quest’ultima parte costituisca la più nutrita, anche in Friuli Venezia Giulia.
Il lavoro, i diritti, il territorio, l’ambiente in cui vivono continuano a venire governati sulla base di politiche escludenti, calate dall’alto e senza alcune migliorie che non siano conseguenze di scelte operate altrove (direttamente dall’associazionismo locale, dal risultato della scienza o della tecnica e dall’intraprendenza della comunità).
Alla domanda quindi se più del 50% di friulani, veneti e giuliani abbiano avuto torto o ragione a non recarsi alle urne noi diciamo che han fatto bene, anche se non basta. Al contrario ci chiediamo: può, aldilà delle regole formali-burocratiche, un partito o una coalizione partitica che di fatto rappresenta una evidente minoranza di una regione (forse il 20%) dirsi davvero vincente? Può un sistema che si dice democratico considerarsi fattivamente tale se la partecipazione ad esso crolla al di sotto di una soglia considerata fisiologica per ritenersi legittima (cioè il 50%) anche se formalmente lo è?
Democrazia (potere del popolo) nella sua estensione logica-fattuale, così come viene considerata da tempo nella sua accezione moderna, significa “potere della maggioranza”.
Se la maggioranza non vi partecipa, il potere è in mano ad una maggioranza si ma di una minoranza e la logica conseguenza dovrebbe essere che non vi è alcuna reale democrazia, e ciò dovrebbe far suonare non un campanello d’allarme ma una campana.
Ci si può poi consolarsi chiamandola maggioranza relativa, si può appunto fare riferimenti ad altre democrazie da sempre non partecipate e così via. Noi crediamo che molto semplicemente questo sistema non sia più né rappresentativo né utile alla gran parte delle persone, e che quindi vada superato.
Non si torna indietro ed altre forme di governi, cioè quelli dispotici (che lo siano dichiaratamente in quanto dittature e colpi di stato o che lo siano indirettamente in quanto rette da fantocci sostenuti da potenze straniere) non possono che essere gettati nella pattumiera della storia. Tuttavia questa democrazia formale, che si regge su un sistema sempre più ipocrita e le cui maglie di privilegi e corruzioni sono tollerate grazie ad una gestione sempre più autoritaria dell’ordine e delle leggi nei confronti di chi vi si oppone (non solo a parole), per tacere del fatto, storicamente accertato, che queste democrazie liberali sussistano, concedendo ancora qualche diritto e benessere ai propri cittadini, in virtù di decine e decine di guerre condotte in gran parte del resto del globo per spartirsi risorse e influenze geopolitiche, nonostante questo sta implodendo su se stessa e ad ogni crisi di capitale o finanziaria chiede bagni di sangue e sudore ai soliti disgraziati (l’aumento delle disuguaglianze e l’impoverimento della classe media è un dato accertato).
Che poi questi si facciano abbindolare nel tranello del nazionalismo di ritorno con tutti i sovranismi beceri allegati e nel razzismo leghista, come successo a gran parte dei votanti in Friuli Venezia Giulia, è un altro discorso che meriterebbe un’altra analisi. Così come ben altro discorso meriterebbe la questione dell’astensionismo come pura disaffezione e delegittimazione di un sistema e non come coscienza politica che possa trasformare questo sintomo in organizzazione e progettualità.
Ben altro servirebbe che un astensionismo ormai di massa per cambiare lo stato delle cose. Oggi ci limitiamo a evidenziare, attraverso i dati, lo stato delle cose. Ma almeno che si parta da questi dati per provare a immaginare e costruire questo cambiamento. Non facendo finta che “va tutto ben, madama la Marchesa”.
An Arres
NOTE
[1] http://elezionistorico.regione.fvg.it/elezioni2008/000238_Reg/Affluenza/__1.html
[2] http://elezionistorico.regione.fvg.it/amministrative2003/
[3] http://elezionistorico.regione.fvg.it/amministrative1998_06/afflurne.htm