Search

Da un nucleare all’altro. Ci riprovano a colpi di propaganda?

Da un nucleare all’altro. Ci riprovano a colpi di propaganda?

Tra le notizie pubblicate dall’ANSA del 6 marzo ‘23, si leggeva che Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare, Edf e Edison hanno sottoscritto una lettera di intenti per collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la diffusione, in prospettiva anche in Italia.

 Ci risiamo. E’ già da qualche tempo che dalle dichiarazioni di alcuni politici si percepisce il tentativo di rilanciare l’opzione nucleare in Italia. La firma di questo accordo, anche se si tratta di un preliminare, che coinvolge tre aziende italiane, due a partecipazione statale, Ansaldo Energia e la sua controllata Ansaldo nucleare, la privata Edison e la francese EDF, mostra che si tratta di un progetto più articolato e non solo frutto delle “sparate” a cui ci hanno abituato i candidati durante le loro campagne elettorali. A titolo d’esempio citiamo Matteo Salvini, che ha dichiarato: “Investire sul nucleare pulito e sicuro di ultima generazione è un dovere sociale, economico e ambientale”.

Si tratta, però, di un progetto debole che punta sulle strategie di comunicazione piuttosto che su concrete innovazioni nell’ambito delle tecnologie per la produzione di energia elettrica attraverso le centrali a fissione nucleare. Nonostante venga spesso citata, la fusione nucleare non si può nemmeno considerare come una prospettiva su cui ragionare allo stato delle attuali tecnologie disponibili.

Scopriamo le carte.    Sentendo parlare delle centrali di IV generazione, cioè di quelle centrali che, secondo i promotori, permetterebbero di: usare il “combustibile” con maggior efficienza, ridurre la produzione di scorie diminuendone anche la persistenza, abbassare i costi e il livello di rischio finanziario, aumentare i parametri di sicurezza in caso di incidenti gravi, minimizzare i rischi di proliferazione nucleare nel settore militare, parrebbe di trovarsi tra le mani una soluzione garantita e pronta all’uso. Non è così, bisogna ricordare che questi reattori esistono in forma di prototipo e che i più fiduciosi prevedono possano essere commercializzati a partire dal 2030.    Quale sia, poi, il tempo medio di costruzione è difficile prevederlo perché, se ci basiamo sui dati reali riferiti ai tempi di realizzazione delle centrali di III generazione, allora dobbiamo essere molto cauti.    Prendiamo ad esempio la centrale di Flamanville.

La costruzione del reattore, di III generazione European pressurized water reactor (Epr), di Flamanville è partita nel 2007 con la prospettiva di concludersi in 4 o 5 anni. I termini sono stati invece spostati al 2014 per problemi sulle fondazioni. Alcuni incidenti sul cantiere e gli esiti negativi delle analisi tecniche sulle strutture hanno determinato un’ulteriore verifica che ha individuato altri difetti. La chiusura del cantiere è stata spostata prima al 2016 e poi, dopo aver notato problemi sulla qualità dell’acciaio nella struttura centrale, al 2018, quando è stato necessario rifare da capo delle saldature. La data di messa in esercizio è così slittata a fine 2022 ed ora al secondo trimestre 2023. I costi sono cresciuti ad ogni rinvio: dai 3-4 miliardi iniziali ai 5 miliardi nel 2010, a 8,5 nel 2012, a 10,5 nel 2017 ai 12,7 miliardi attuali, ma qualcuno prevede che l’esborso possa salire ancora prima dell’inaugurazione. Direi che un incremento dei costi di cinque volte rispetto al preventivato con un ritardo della conclusione dei lavori superiore ai dieci anni farebbe desistere qualsiasi essere dotato di raziocinio, ma quando si tratta del nucleare pare che le regole dell’economia non valgano più e, di fatto, i suoi sostenitori paiono più vicini a una “professione di fede” che a fornire prove concrete a supporto della fondatezza di questa opzione. Eppure anche i reattori di terza generazione erano proposti come risolutivi.

Secondo il “World Nuclear Industry Status Report 2021” (WNISR), pubblicazione che ogni anno valuta lo stato e le tendenze dell’industria nucleare internazionale curato da Mycle Schneider, consulente energetico indipendente, risulta che, nel 2020, la produzione di 1 kWh di elettricità con il fotovoltaico  costava    in media 3,7 $/kWhcon l’eolico 4 $/kWh, con il gas  5,9 $/kWh, con il carbone 11,2 $/kWh e con il nucleare 16,3 $/kWh. Risulta, quindi, evidente che il kWh del nucleare ha un prezzo superiore rispetto a tutti agli altri.

Non so se in questa valutazione siano stati considerati i costi di estrazione dell’uranio e quelli delle operazioni di decommissioning e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o, peggio, quelli generati dalla gestione degli incidenti più gravi (leggi Chernobyl e Fukushima) con cui siamo e saremo costretti a confrontarci per decenni. Nel caso non fossero state contemplate, queste voci di spesa sarebbero da sommare a quelle di costruzione e gestione degli impianti per  avere una valutazione reale dei costi.

Il nucleare e la sostenibilità ambientale

La lobby nucleare ha colto al balzo l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione dei cambiamenti climatici per tentare di far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. Di là dalla palese contraddizione che si manifesta quando i sostenitori dell’energia atomica, usando l’espressione “nuovo nucleare”, riconoscono i limiti e l’inadeguatezza degli impianti esistenti, gli stessi provano a rilanciare presentando la cosiddetta quarta generazione di reattori nucleari come sostanzialmente innovativa grazie a quei miglioramenti, di cui già accennato in apertura, caratteristiche che sono però tutte da confermare, visto il carattere sperimentale degli impianti esistenti. Si tratta quindi di slogan recitati come dei mantra la cui possibilità di successo è esclusivamente basata sul loro ripetersi in    una sorta di bombardamento mediatico, perché al minimo approfondimento si rivelerebbero vuoti di contenuti. L’altro elemento su cui puntano, in maniera ugualmente strumentale, è quello delle emissioni di gas serra, CO2 in particolare. Nel senso che per il nucleare le emissioni di diossido di carbonio sono considerate prossime a zero, sempre che ci si limiti alla fase di gestione della centrale. Se, invece, si allargasse la visuale ai processi di estrazione delle rocce contenenti uranio, la loro frantumazione, i successivi processi di arricchimento, le fasi di costruzione e decommissioning degli impianti, per finire con lo stoccaggio delle scorie, allora il conteggio delle emissioni di CO2 rimarrebbe, di certo, inferiore a quello delle centrali termoelettriche ma non sarebbe più così basso come propagandato. Se volessimo essere seri, riferendoci ad un articolo comparso sulla rivista Nature, più di una decina di anni fa, per avere un impatto sulla riduzione dei gas serra attraverso la produzione elettrica da nucleare, entro il 2050, dovrebbero essere in funzione circa 3.000 centrali.

Oggi sono 440 le centrali al mondo e anche se la Francia sta cercando in tutti modi di far riconoscere, in sede europea, il nucleare come fonte alternativa ai combustibili fossili per ottenere dei finanziamenti, solo la Cina sta puntando sull’incremento dei propri impianti mentre la maggior parte delle centrali europee e statunitensi hanno raggiunto, nonostante qualche proroga, il fine vita e dovranno perciò essere smantellate.

Inoltre, proprio in relazione ai cambiamenti climatici in corso, si deve prestare particolare attenzione ai sempre più frequenti periodi di carenza idrica. I record negativi registrati nella portata dei fiumi italiani (il Po su tutti), in questi ultimi anni, dovrebbero suonare come dei campanelli d’allarme poiché gli impianti nucleari hanno bisogno di acqua per essere raffreddati. Una disponibilità di acqua minore determinerebbe, come minimo, la necessità di ridurre la potenza di esercizio se non, addirittura, il fermo degli impianti.

I nuclearisti basano molte delle loro speranze sulla categoria degli Small Modular Reactor (SMR). Si tratta di un tipo di reattori caratterizzati da dimensioni e potenze ridotte (fino a 300 MW) per unità quando, normalmente, gli attuali reattori hanno una potenza tra 600 e 1000 MW. I componenti di questi reattori possono essere assemblati in fabbrica prima di essere inviati al sito d’installazione, prevedendo la possibilità di collegare più unità (moduli) nello stesso impianto, in modo da poter regolare la potenza erogata in base alle necessità. Questa scalabilità non garantisce l’efficienza del sistema nel suo complesso. Ci sono state pochissime ricerche indipendenti che abbiano messo a confronto le scorie radioattive prodotte dagli SMR con quelle dei reattori tradizionali su larga scala, ma in una di queste, che ha coinvolto ricercatori della Stanford University e della University of British Columbia, si ipotizza che potrebbe aumentare il volume dei rifiuti a breve durata di decadimento fino a 35 volte rispetto a un reattore convenzionale, mentre per quelli a più lungo periodo la stima sarebbe fino a 30 volte maggiore, così come sarebbe più elevata la “produzione” del combustibile nucleare esaurito, fino a 5 volte di più. A questo punto bisognerebbe aprire la riflessione sulla necessità di sviluppare e sostenere la ricerca indipendente, quella su cui si potrebbero effettivamente fondare le scelte della collettività, un tema fondamentale che merita un proprio spazio dedicato.

 Chi vuole le centrali nucleari in Italia sostiene, anche, che in questo modo il paese sarebbe meno dipendente dalle forniture di energia dall’estero. Ma quale cambiamento significativo si otterrebbe aggiungendo, alle forme di dipendenza attuali, anche quella dai produttori di uranio?    Produttori, che sono considerati più affidabili dei “petrolieri” per ragioni che ci paiono di corto respiro, soprattutto in uno scenario internazionale mutevole e attraversato da molteplici conflitti.

La transizione energetica non può aspettare, se si vogliono tutelare gli equilibri ambientali e condizioni di vita dignitose in ogni parte del pianeta. L’unica vera preoccupazione dei poteri, eletti democraticamente o non, rimane quella di autoriprodursi continuando a proteggere gli interessi di pochi. E’ solo in questo contesto che il nucleare potrà avere il suo “rinascimento”, ma se lo scenario fosse    questo, come già accaduto in passato, la controinformazione e le lotte non mancheranno.

MarTa

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2023/03/06/alleanza-tra-edison-edf-e-ansaldo-energia-per-il-nuovo-nucleare_396f1583-dd05-453d-be15-4241a26adc12.html

https://www.edison.it/it/edf-edison-ansaldo-energia-e-ansaldo-nucleare-annunciano-di-aver-firmato-una-lettera-di-intenti-loi

https://www.startmag.it/energia/edf-grane-nucleari-francesi-a-flamanville/

https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.2111833119

Articoli correlati