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Carlo Tresca. Ottant’anni dopo

Carlo Tresca. Ottant’anni dopo

Come una quercia le cui foglie non cadono nel furore del vento, io resto fermo da questa parte della barricata, sotto la bandiera rossa, la bandiera immacolata dell’idea anarchica, la bandiera che è mia e che non ho mai abbandonato. Carlo Tresca, Il Martello, 23 maggio 1925.

La sera dell’11 gennaio 1943 Carlo Tresca viene ucciso in un agguato a colpi d’arma da fuoco a New York, all’angolo tra la quindicesima e la Fifth Avenue. A ucciderlo è Carmine Galante, gangster della mafia italoamericana al soldo della famiglia Genovese. Due giorni dopo migliaia di persone partecipano ai funerali del famoso anarchico italiano. A ottant’anni dalla morte non sono ancora chiare le esatte identità dei mandanti dell’omicidio. Infatti, Carlo Tresca aveva “all the right enemies”, come titola la sua prima biografia scritta da Dorothy Gallagher; negli anni si era scagliato contro tutti i “nemici giusti”: dai padroni alla mafia italoamericana, dalla Chiesa agli agenti di tutte le dittature. Uomo d’azione più che teorico, al momento del suo assassinio rappresentava la memoria storica dell’antifascismo e dei movimenti rivoluzionari degli italiani d’America. Nei quarant’anni precedenti, infatti, Carlo Tresca era diventato una figura popolare, riuscendo ad affermarsi in diversi ambienti insieme ai suoi giornali di battaglia come “La Plebe” (1907-1910), edito tra Philadelphia e Pittsburgh, “L’Avvenire” (1910-1917) e il celebre “Il Martello”(1917–1945) di New York. Anarchico originale e non ortodosso, rappresenta una delle figure simbolo dell’anarchismo e del sindacalismo rivoluzionario della prima metà del XX secolo negli Stati Uniti d’America.

La militanza politica di Carlo Tresca (1879–1943) iniziò in Abruzzo, a Sulmona, come dirigente socialista e direttore de “Il Germe”, settimanale del PSI locale. Nel 1904 gli venne inflitta una condanna ad alcuni anni di prigione dopo aver denunciato sulle pagine del suo giornale l’attività antisindacale di un potente latifondista della zona. A quel punto Tresca scelse l’esilio, prima in Svizzera e da lì in America. Giunto a New York ricomincia l’attività interrotta in Italia diventando direttore de “Il Proletario”, organo della Federazione Socialista Italiana (FSI). Ben presto si distaccò polemicamente dalla FSI, dando vita in Pennsylvania a un proprio giornale indipendente, “La Plebe”, il cui sottotitolo è particolarmente significativo: “Non servi di cricche personali, né soggetti a tirannie di partito, in lotta per l’Ideale contro preti, padroni e camorre”. Non solo uno slogan, ma una linea su cui poi Tresca costruì la sua attività militante e giornalistica negli anni a seguire, scagliandosi contro i tasti più sensibili della comunità italiana d’America. Infatti, Tresca, dal giorno del suo abbandono della FSI, forte della sua indipendenza politica, cominciò una militanza senza partito, iniziando un’instancabile attività sindacale, lanciando attacchi diretti contro quella che lui definiva la camorra coloniale: padroni e prominenti, agenti consolari e rappresentanti della Chiesa cattolica. Lentamente Tresca fu protagonista di un’evoluzione politica; arrivato dall’Italia come promettente dirigente socialista, in America, sciolse i legami di partito, cominciando un percorso caratterizzato politicamente da pragmaticità e senso tattico, sino ad attestarsi sulle posizioni libertarie.

Tra il 1910 e il 1917 è protagonista come “battitore libero”, insieme all’Industrial Workers of the World, degli scioperi che scuotono il nord-est degli Stati Uniti, coinvolgendo, per mesi, migliaia di lavoratori e lavoratrici di decine di nazionalità diverse. Dallo sciopero minerario del Westmoreland (1910), passando per il famoso sciopero di Lawrence (1912) e quello di Paterson (1913), sino allo sciopero dei minatori del Mesabi Range (1916). Tresca, insieme al suo giornale “L’Avvenire”, diventò portavoce delle migliaia di lavoratori e lavoratrici di origine italiana contro le grandi industrie minerarie e tessili del nord-est statunitense. Questo ruolo in prima linea, di agitatore e di instancabile propagandista, gli costò più volte le attenzioni delle autorità. Arrivò a subire innumerevoli arresti e accuse; dai semplici fermi e addirittura la calunnia di essere una spia del Kaiser Guglielmo, sino a un arresto per omicidio, orchestrato dalle autorità del Minnesota.

Negli anni della prima guerra mondiale portò avanti costantemente la battaglia antimilitarista con decine e decine di conferenze pubbliche, tour di propaganda, sino a raggiungere la costa ovest degli Stati Uniti. La “Red Scare” (“paura rossa”), la grande repressione di tutti i movimenti politici e sociali esplosa dopo il 1917 negli Stati Uniti, si scatenò, in particolare, contro gli immigrati, su cui pesava anche la minaccia della deportazione verso il paese d’origine. Nonostante gli venne imposto di chiudere il suo giornale “L’Avvenire”, Tresca si impegnò in una forte opera solidale nei confronti dei tanti compagni incriminati, arrestati e deportati. A questo proposito, nel 1920, ebbe un ruolo di primo piano per la difesa di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti e, nonostante i fortissimi dissidi con l’ala galleanista, affiancò il Comitato di Difesa nell’organizzazione di raccolte fondi e impegnandosi in prima persona nel procurare avvocati affermati. Il suo contributo fu fondamentale affinché la lotta per la loro liberazione oltrepassasse le barriere etniche e sociali, riuscendo a portare la causa dei due anarchici italiani ad un pubblico sempre più ampio. Per sette anni si spese in centinaia di iniziative dall’est all’ovest degli Stati Uniti, sino al 1927, anno del loro assassinio.

Il 1917 è anche l’anno dell’inizio della più famosa pubblicazione di Carlo Tresca, “Il Martello”, di cui fu direttore sino al giorno dell’agguato dove perse la vita. Il giornale non fu mai una pubblicazione di analisi politica, bensì uno strumento di battaglia del suo direttore. Infatti, come da sottotitolo, il “settimanale di battaglia di Carlo Tresca” puntava alla feroce critica dell’attualità, spronando gli italofoni alla lotta contro i padroni, le guerre, le monarchie e il capitalismo. “Il Martello” era un settimanale in piena coerenza con il suo autore: senza etichette, di stile diretto e concreto. Il giornale si avvaleva di diverse collaborazioni, anche internazionali, a cui delegava la propaganda politica stretta oltre alla ripubblicazione di testi di diversi autori come Errico Malatesta, Camillo Berneri, Luigi Fabbri, Alexander Berkman, Emma Goldman e molti altri. Nel 1917, dopo un iniziale entusiasmo per la rivoluzione sovietica, ne condannò il fallimento per merito dell’autoritarismo bolscevico. Nel 1924, alla morte di Lenin, scrisse su “Il Martello”: «Sarebbe ipocrisia tacere, maggiore ipocrisia da parte nostra gettare lacrime e fiori sulla tomba del dittatore russo».

Durante il propagarsi del fascismo, anche tra gli italiani d’America, “Il Martello” divenne uno dei simboli dell’antifascismo in America. Per più di vent’anni Carlo Tresca fu protagonista della lotta contro le camicie nere negli Stati Uniti attraverso sit-in, manifestazioni, contestazioni e vere e proprie battaglie consumate per le strade delle Little Italy di New York. Tresca fu anche tra i promotori della breve esperienza dell’Antifascist Alliance of North America (AFANA). Il fascismo prese piede negli Stati Uniti sin dal 1920 con la creazione del Fascio di Combattimento di New York, soprattutto come fenomeno di rivalsa italiano e poi, lungo gli anni Venti e Trenta, con il progressivo allineamento delle principali istituzioni sociali, culturali ed economiche italoamericane sulle posizioni del regime fascista.  All’epoca, nelle Little Italy, l’antifascismo era un fenomeno di netta minoranza; gli antifascisti erano considerati traditori dagli italoamericani e pericolosi sovversivi dal governo degli Stati Uniti. Tresca divenne uno dei simboli di questa piccola comunità antifascista, tanto che, nel 1926, l’Italia arrivò addirittura a ritirargli la cittadinanza italiana. Nel 1928 il console generale di New York dichiarava all’ambasciatore De Martino: “Per infliggere un colpo mortale all’antifascismo negli Stati Uniti basterebbe liquidare Carlo Tresca”. L’antifascismo treschiano non fu mai fine a sé stesso, ma aveva precisi fini di liberazione sociale e rientrava pienamente nel più ampio contesto dell’antifascismo rivoluzionario. Proprio per questo Tresca, alla fine degli anni Trenta, si impegnò in una dura opposizione alla politica staliniana anche con il grande sostegno alla Spagna libertaria, cercando di svelare, attraverso le pagine de “Il Martello”, trame e complotti stalinisti e attaccando senza sosta la sezione italiana del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America. La lotta contro tutte le dittature impegnò Carlo Tresca sino al giorno del suo assassinio. Una lotta a tutto campo, totalizzante, per un reale cambiamento sociale, che impegnò tutta la sua vita e per cui pagò il prezzo della coerenza. Tra il 1942 e il 1943 era intento a denunciare pubblicamente “gli antifascisti di Pearl Harbour”: importanti personalità italoamericane, spesso colluse con la criminalità organizzata che, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, dopo vent’anni di piena fedeltà al regime di Mussolini, facevano professioni di antifascismo. Arrivato in America nel 1904, Carlo Tresca, giornalista di battaglia, grande oratore, agguerrito sindacalista, anarchico, divenne una vera e propria icona rivoluzionaria degli Stati Uniti della prima metà del XX secolo. La figura di Tresca, protagonista di una vita di battaglie libertarie, si unisce anche a un’inesauribile attività giornalistica che promuoveva l’abolizione del capitalismo e la costruzione di una società libertaria. Un messaggio che Tresca riusciva ad adattare di situazione in situazione attraverso un piglio pratico, pragmatico e flessibile, senza però fare a meno della sua coerenza. Un personaggio che dopo la sua morte venne salutato dai suoi compagni come “uno dei più fieri e risoluti avversari del fascismo e d’ogni altra forma di tirannide”, anarchico, ma di un profilo politico difficile da inquadrare, data la sua militanza eclettica e originale che contraddistinse una vita di battaglie libertarie.

Negli ultimi anni in Italia è tornata l’attenzione per Carlo Tresca anche grazie ad alcune pubblicazioni biografiche, in particolare, l’edizione in italiano di Portrait of a rebel di Nunzio Pernicone, uscito nel 2021. Sul personaggio, ci si è sempre focalizzati sul periodo de “Il Martello” (1917–1945), ma altrettanto interessante è invece la parte precedente della sua vita. In particolare, in Italia, bisognerebbe indagare di più sul suo primo decennio americano, caratterizzato dal suo importante contributo sindacale, e sulla pubblicazione “L’Avvenire”, in un contesto, dove Tresca affianca gli wobblies dell’IWW negli imponenti scioperi del nord est statunitense. Esperienze di lotte sociali che videro agitatori come Carlo Tresca in prima linea, travolgendo barriere etniche e linguistiche per formare un crogiolo di radicale opposizione per un mondo senza padroni.

A.I.

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