Cento candeline rosso-nere da soffiare
Dopo la prima parte della scaletta, proseguiamo la colonna sonora per festeggiare i primi cento anni di Umanità Nova.
Un altro pugno di canzoni che raccontano o si ispirano all’utopia racchiusa nel titolo del giornale. In alcuni casi “Umanità Nova” era il titolo della canzone, in altri queste saranno le parole finali del ritornello o anche solo di una strofa, ma esistono anche gruppi che si chiamano così. Alcune parlavano di un’umanità nuova prima del 1920, altre sono state scritte dopo la sua nascita, ma tutte faranno da sottofondo, mentre la testata spegne le cento candeline.
La “Marsigliese del Lavoro”, conosciuta come “Su marciam lavoratori”, riconducibile a prima della Grande Guerra, presenta a conclusione della strofa centrale i versi: “Splenda eterno il sol di Maggio / sulla nuova Umanità”.
Inoltre l’“Inno a Curiel”, che non ha collegamenti con l’anarchismo, venne scritto durante l’attività partigiana dal “Fronte della Gioventù”. Esso raccoglieva i giovani dei vari partiti del CLN, che cantavano: “Noi non vogliam moschetti / Per ammazzar fratelli / Noi non siam dei ribelli: / noi siam la nuova umanità!”.
Di più recente formazione invece è il gruppo rap di Salonicco “Umanita Nova” di cui fanno parte tre MC, che cantano in greco, e un produttore per le basi.
1 YOUNGANG – E VERRÀ IL DÌ CHE INNALZEREM LE BARRICATE
Ezio Taddei è l’autore de“E verrà il dì che innalzerem le barricate”: la canzone, secondo Alfonso Failla, veniva cantata nelle carceri e al confino dal 1926 e per tutta la durata del regime. Proprio in un’isola di confino il brano, noto anche come “Inno delle Barricate”, divenne nella prima metà degli anni ’30 una potente arma per i confinati antifascisti.
In una tappa intermedia tra le sue origini e l’interpretazione street-punk degli Youngang, negli anni ’70 la canzone fu incisa nel retro del disco per Giovanni Marini, a cura del comitato per la sua liberazione.
Il gruppo torinese aveva iniziato ad attingere dal repertorio delle canzoni tradizionali dell’anarchismo italiano, includendo “Dimmi bel giovane” nell’album “Il Santo”. Successivamente decisero di dedicare altre energie in quella direzione e nel 2004 diedero vita a “Canzoni Ribelli”, un cd contenete sei brani che hanno fatto da colonna sonora al movimento anarchico, dalla fine dell’800 fino alla Resistenza.
Questo lavoro mostra come si possano fondere assieme lo stile poetico ed il linguaggio, a volte ottocentesco, di quelle canzoni con i suoni di una nuova generazione di musica riottosa. Andando a tendere così un filo rossonero che dà vita alla tradizione e àncora a salde radici i generi più moderni.
“Prona la fronte sotto il peso del lavoro / piegato a corda è lo scudiscio del potente / purché la gioia dia a chi vive nell’oro / senza dimani il lavorator morente.”
Oltre a rispolverare il canto anarchico gli Youngang hanno però anche dato concretezza ai versi interpretati: “Canzoni Ribelli” è infatti un benefit per l’Anarchist Black Cross. La Croce Nera Anarchica, nelle sue branche internazionali, “non vuole essere una forma di assistenzialismo o un semplice mezzo di controinformazione” ma vuole dare il suo contributo a questa lotta, “poiché carcere e repressione non sono inattaccabili. Colpirli è possibile… ovunque”.
“E verrà il dì che innalzerem le barricate” resta legata ai temi delle canzoni di fine Ottocento e non ha riferimenti espliciti al nuovo regime (fascista): “Siam nel dolore di un schiavitù tiranna / uniti insieme da sacramental promessa / sulla terra del duol, tutti pronti a morir / alla luce del sol”.
Le sofferenze ed i soprusi subiti dai lavoratori sono narrati strofa dopo strofa ma continua ad ardere una fiamma di utopia che si incarna nella massima aspirazione, in altre parole quella di arrivare ad una Umanità Nova. “In questa notte / di tenebre secolari / il nero drappo / sventola su un carro di fuoco / E redentrice / una marcia, sia proletari / l’anarchica gloria / per la nuova umanità.”
La versione degli Youngang è inoltre impreziosita da un’incursione nel brano della voce di Failla, tratta da un’intervista di Bosio del 1962. L’ex prigioniero antifascista racconta di quando, assieme ad altri trecento confinati, stava per essere tradotto da Ponza alle carceri partenopee: “Al molo Beverello erano ad aspettarci, oltre polizia, carabinieri e milizia, anche degli squadristi che ci minacciarono. Noi, la nostra protesta non fu possibile farla altrimenti che con i canti, i fascisti non si avvicinarono”.
Appena Failla conclude il suo racconto, il quintetto torinese riattacca ad urlare che un giorno o l’altro: “E verrà il dì che innalzerem le barricate / e tu borghese salirai alla ghigliottina / per quanto fosti sordo alle stremate / grida di chi morìa nell’officina / Pei nostri figli fino all’ultimo momento / contro te vile borghesia combatteremo / su da forti pugnam / per la lotta final / l’Anarchia salutiam”.
2 UMANITÀ NOVA – NOVA pt I
Dagli States provengono gli “Umanità Nova”, un quartetto che ha scelto questo nome per omaggiare il settimanale dopo aver conosciuto la sua storia ed il significato del suo titolo. La band ha una decina di canzoni all’attivo e sono brani particolari: senza parole, abbastanza lunghi (alcuni arrivano a 10 minuti), e con mille sfaccettature sonore. Loro stessi lo definisco un ethereal doom: la branca del metal di per sé nata per evocare scenari mistici, inquietanti e melanconici, qui trova un approccio moderno e libero da dogmi e vincoli. Gli “Umanità Nova” si possono così riassumere in tre parole: eterei, strumentali e massicci.
Intervistati raccontano che: “Viviamo in una società assai decadente che necessita di essere riformata.” In queste parole si può cogliere lo stesso spirito presente in quelle di cento anni prima pronunciate da Nella Giacomelli che, motivando la sua proposta per il nome del quotidiano, disse: “Spartaco si accinge a spezzare le sue catene, le coscienze insorgono per la rinnovazione del mondo.” I musicisti raccontano poi: “Un tema che trattiamo collegato al giornale è il brutale e violento ciclo della storia che ripete sé stessa. Siano tiranni religiosi o politici, noi continuiamo ad essere bloccati in un sistema di caste feudale che opprime e controlla.” Canzoni apparentemente neutrali ed innocue sono in realtà suonate da chi ha scelto con cura il proprio nome. “Gli americani sono particolarmente ciechi rispetto a ciò e noi siamo costretti in una ciclica guerra sociale sotto il nostro sistema bipartitico completamente oppressivo”. Al centenario dedicano la loro “Nova Pt I”, sei minuti per avere un assaggio del loro stile mutevole e imprevedibile.
3 BERGERET – L’INTERNAZIONALE
“L’Internazionale” è un canto che ha segnato un’epoca e ha accompagnato il movimento operaio dalla fine dell’800 fino ai giorni nostri. È stata tradotta in quasi tutte le lingue del mondo e se ne contano versioni nei più disparati generi musicali. Il testo venne scritto nel 1871 da Eugène Pottier, poco dopo la caduta della Comune di Parigi.
I versi rimasero semisconosciuti fino al 1887 quando l’autore morì, perché solo l’anno successivo il brano venne musicato. La melodia dell’Internazionale fu composta da Pierre Degeyter per una società corale di Lilla e venne eseguita per la prima volta nel 1888. Ebbe da subito un grande successo tra gli operai francesi e l’anno successivo, con la nascita della Seconda Internazionale, iniziò la sua diffusione oltre confine che la rese internazionale anche di fatto.
La musica trascinante, perfetta per le esigenze di un canto di lotta, si fuse così con un testo che raccoglieva sia le immagini ed espressioni simboliche del socialismo utopistico, sia le istanze rivoluzionarie dell’epoca. La canzone del comunardo parigino dimostrò di essere un atto di fede alla causa della classe operaia. “Che giustizia venga noi chiediamo: / non più servi, non più signor / fratelli tutti esser vogliamo / nella famiglia del lavor”.
Ogni lingua conta diverse traduzioni dei versi di Pottier, che rispecchiano gli orientamenti politici dei gruppi che li intonano. La canzone poi nel 1910 venne adottata dai partiti della Seconda Internazionale, nella Grande Guerra gli antimilitaristi di ogni fronte la cantavano in opposizione a quella carneficina operaia e divenne l’inno dell’Urss dalla sua nascita fino al 1944. “Su, lottiamo! L’ideale / nostro fine sarà / l’Internazionale / futura umanità!”.
La versione più conosciuta in Italia è quella che vinse il concorso indetto dalla rivista satirica “L’Asino” e venne pubblicata nel numero del 13 ottobre 1901. Il testo vincitore venne firmato con lo pseudonimo di Bergeret e riportava una traduzione poco fedele che scatenò un grande dibattito. A causa dell’eccessivo distacco dallo spirito rivoluzionario dell’originale, questa versione venne descritta come un “minestrone insipido” sulla rivista “Pagine Libere”. Fin dalla prima strofa, che era l’ultima nella versione del 1871, si possono ravvisare incongruenze con la forma ed il contenuto del testo originale. In risposta alla versione di Bergeret nacquero molte proposte per contrastare quella che Pier Carlo Masini definì “un volgare adattamento opportunistico delle parole e delle idee di Pottier all’epoca della II Internazionale”. Nonostante tutto però la traduzione vincitrice del concorso rimane maggiormente conosciuta e celebre rispetto alle altre proposte più fedeli all’originale, nel testo o nello spirito.
Della versione dell’Internazionale del 13 ottobre 1901 c’è però un aspetto che è sempre passato in secondo piano e che aveva anticipato di diversi anni il nome della testata del giornale anarchico fondato in pieno Biennio Rosso. Il testo riportato sotto gli spartiti, che permette di leggere parole e note simultaneamente, per facilitare l’esecuzione, riporta una variazione del ritornello, che recita: “Ma lottiam! L’ideale / nostro al fin diverrà / l’Internazionale / e nova umanità”.
EN.RI-OT