Dall’11 al 14 maggio 2023 è prevista ad Udine la 94a adunata degli alpini. Si prevede l’afflusso di almeno 500.000 alpini, e questo in una cittadina che raggiunge a stento i 100.000 abitanti.
l’impatto sul tessuto urbano è facile da immaginarsi e molti residenti ricordano con preoccupazione la precedente calata degli alpini nel 1996 con tende piazzate ovunque nei parchi e nelle strade, scuole chiuse, impossibilità di circolare, disagi di ogni sorta per la popolazione.
A questo si aggiunge il timore di diffuse molestie sessuali, drammaticamente venute alla luce nel precedente raduno di Rimini e denunciate coraggiosamente da molte vittime: “Le segnalazioni raccolte dalla rete Non Una di Meno Rimini, da Casa Mabida Network e da Pride Off – scriveva Selva su UN del 22/5/2022 – hanno però iniziato a crescere di numero (al momento che scrivo sono più di 500), rimbalzando sui canali social insieme a video di testimonianza. Si è passati quindi a una finta incredulità, si è cercato di accusare supposti infiltrati, si è parlato di episodi di “maleducazione fisiologica” fino a parlare delle famose e sempre ricorrenti mele marce. Tutto, pur di non vedere che è l’albero intero ad essere marcio, con tutte le sue radici e il terreno in cui cresce. Fuor di metafora, è l’intero sistema a essere marcio e le violenze compiute dagli alpini durante l’adunata sono solo una parte, questa volta fortunatamente visibilizzata, della violenza patriarcale”.
Che il problema sia reale ha dovuto ora riconoscerlo persino l’Associazione Nazionale Alpini (ANA) che, in un manuale appena pubblicato, precisa che (citiamo testualmente) “Sono sempre molestie: i commenti volgari o a sfondo sessuale, i gesti che ad esempio indicano i genitali o mimano un atto sessuale, le battute a sfondo sessuale […], gli approcci che cercano di avere per forza una reazione positiva, spesso sottointendendo una “colpa” o una mancanza della donna […]”.
Ma, insomma, bisogna anche evitare complimenti riguardanti l’aspetto fisico (anche se si utilizzano espressioni apparentemente positive), i palpeggiamenti, fischiare, cercare di attirare l’attenzione di una donna suonando il clacson, applaudendo e ammiccando e pure richiamarla “con il suono riservato al gatto” (ogni commento è superfluo).
Date queste premesse gli ingenui potrebbero domandarsi come mai un rave party susciti tante polemiche (e richieda da parte del Governo l’emanazione di severissime norme repressive) mentre una manifestazione così invasiva come questa venga accolta con favore dalle autorità e persino da ampi settori della popolazione.
La risposta sta solo in minima parte nei lauti profitti che albergatori e ristoratori sperano di ottenere da questa adunata (si stima che l’adunata di Rimini abbia generato un indotto di 168 milioni di euro per l’economia locale). A prevalere è piuttosto lo spirito militarista e machista che caratterizza la nostra società autoritaria e patriarcale.
Con assenza totale di spirito critico si osserva che gli alpini sono utili nella protezione civile (il terremoto del Friuli del 1976) e si sottolinea il loro legame con il territorio (una provincia – quella di Udine – in parte montuosa, sede di arruolamento del corpo). Si dimentica di ricordare che non stiamo parlando di una associazione umanitaria ma di un corpo militare nato per condurre guerre (e l’Italia, da quando è nata, non ha mai fatto una sola guerra difensiva, tutte aggressioni ad altri paesi).
La stessa assenza totale di spirito critico che possiamo riscontrare nel Tempio di Cargnacco, vicino a Udine, una chiesa fatta costruire dai reduci dalla campagna di Russia. Dai mosaici traspare l’umanissimo orrore per una guerra spaventosa, che divorò migliaia di giovani vite. Ma chi volle questa guerra di aggressione? Come mai le truppe italiane stavano invadendo un paese straniero lontanissimo da noi? Avevano i russi il diritto di difendersi? Chi mandò i soldati italiani impreparati al macello? Chi cercasse una parola di autocritica o di critica del regime fascista che volle questa sanguinaria guerra di aggressione cercherebbe invano.
La stessa riscrittura orwelliana della storia la ritroviamo nella legge n. 44 del 5 maggio 2022 (Governo Draghi) con cui stata istituita la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini” che si celebra il 26 gennaio di ciascun anno.
Perché proprio il 26 gennaio? Per tenere vivo – risponde il legislatore – il ricordo della battaglia di Nikolajewka, combattuta dagli alpini il 26 gennaio del 1943 e per promuovere “i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale, nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano” (art.1).
“Difesa della sovranità”? Ma quella fu una battaglia nel corso di una guerra di aggressione condotta dal regime fascista invadendo un paese straniero! Chi se ne ricorda? E non c’era un articolo della Costituzione che ripudiava la guerra? Ma, lo sappiamo bene, le Costituzioni sono il luogo delle belle declamazioni destinate a rimanere sulla carta. Le leggi che contano veramente sono quelle che stabiliscono i diritti di proprietà e i codici penali conseguenti. D’altra parte oggi le guerre si chiamano “operazioni di pace” (come quella in Afghanistan, Putin – per distinguersi – preferisce “operazione speciale”). Persino i bombardamenti sono “umanitari” (come quelli su Belgrado voluti dal governo D’Alema nel 1999 o quelli sulla Libia nel 2011, approvati da Berlusconi), purché beninteso i bombardamenti siano fatti da aerei della NATO, se sono fatti dal “nemico” eccoci nella categoria del “terrorismo”.
Oggi, che siamo nel mezzo di una guerra nel cuore stesso dell’Europa, è tanto più necessario moltiplicare gli sforzi contro un militarismo sempre più pervasivo, contro una propaganda bellicista che ogni giorno di più ottenebra le menti. Contro ogni guerra!
Mauro