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Alluvione nelle Marche: Spalare via la logica del profitto e del saccheggio

Alluvione nelle Marche: Spalare via la logica del profitto e del saccheggio

di Giordano Cotichelli

Chi guarda le immagini dall’alto dell’alluvione, avutasi nella notte fra il 16 e il 17 settembre, vede una lunga striscia marrone che taglia la vallata del Misa per arrivare al mare all’altezza di Senigallia dove, come una macchia d’inchiostro si spande attorno alla foce. Il restringersi del fiume nell’attraversare la città marchigiana, quasi fosse un imbuto, unito alla resistenza opposta alla forza dello stesso dall’Adriatico, che in pratica ha fatto quasi da tappo, ha peggiorato l’azione delle acque ingrossate dalla pioggia e cariche di tonnellate di detriti. L’inagibilità di molti ponti che hanno subito danni strutturali è stata solo la prima conseguenza dell’alluvione che ha sconvolto i territori delle province di Ancona e Pesaro Urbino. Avvenimento che deve essere letto sotto diverse chiavi interpretative. Sicuramente una valutazione politica e istituzionale in primo luogo, legate anche a qualche dato elettoralistico e, non da ultimo, qualche considerazione tecnica (idrogeografica e climatica) e sul volontariato. I comuni colpiti sono stati: 1) in provincia di Pesaro: Cantiano, Cagli, Frontone, Pergola, Serra Sant’Abbondio; 2) in provincia di Ancona: Senigallia, Sassoferrato, Arcevia, Ostra, Serra de Conti, Barbara, Trecastelli, Corinaldo. Il bilancio finale è stato di: 12 morti, 1 disperso, 50 feriti e 150 sfollati. Va sottolineato che in nessuno dei comuni colpiti l’evento climatico ha avuto conseguenze sulle scelte elettorali e non si è registrato di conseguenza un voto di protesta nei confronti della Giunta di centrodestra che da due anni guida le Marche.

La coalizione della Meloni ha riportato la scontata vittoria preannunciata. Un gol a porta vuota, a fronte della manifesta sfiducia dell’elettorato progressista verso un partito, il PD, che in regione, come nel paese, è riuscito a dare il peggio di sé negli ultimi anni. Un rilievo che rimanda, non a caso, all’alluvione del 2014, decisivamente peggiore. Allora arrivò Renzi a dare il suo sostegno, quale Presidente del Consiglio e segretario del PD, alle popolazioni colpite. Arrivò in elicottero, incontrò un contestatissimo sindaco Mangialardi che, dopo qualche anno sarebbe stato l’improponibile candidato alla Presidenza della Regione Marche, convogliando tutta l’antipatia nei suoi confronti in direzione, anche in questo caso, di un trionfo della destra, per la prima volta in Regione.

Ecco, parlare dell’alluvione del settembre 2022 nelle Marche non può prescindere da una premessa tutta politica, in quanto la dimensione tecnica del fenomeno, importante ed utile da conoscere, ha il rischio di essere fuorviante rispetto ad una prospettiva analitica globale dell’accaduto. Non è un caso che da subito, media ed istituzioni, abbiano cominciato a sfornare notizie su quello che andava fatto, su quello che si è fatto e su quello che andrà fatto, offrendo il solito pessimo teatrino del rimpallo delle responsabilità politiche ed istituzionali ogni volta, ed in questo paese sono tantissime le volte che, un disastro colpisce la collettività. Dato emblematico, ad esempio, il fatto che durante questa campagna elettorale è quasi scomparsa l’esistenza di paesi e abitanti del sud della regione che ancora soffrono delle conseguenze del terremoto del 2016-2017. In queste elezioni non si sono viste le passerelle padane in pieno appennino centrale alla ricerca di vecchiette sfollate da omaggiare per raccattare qualche voto.

Parlare dell’alluvione dei giorni scorsi deve seguire sicuramente una lettura tecnica, ma quella che domina in primo luogo è la dimensione politica dell’evento inteso come ennesima prova di un divario abissale fra paese reale e paese legale, fra i problemi della collettività e il profitto delle oligarchie locali. Sarebbe molto utile e interessante mettersi a parlare dei necessari lavori, in attesa da più di quarant’anni, da fare nei bacini fluviali, negli invasi e così via, ma questo rischierebbe di dare troppo spazio ad un’ottica tecnicistica utile, per assurdo, a distogliere l’attenzione dalle responsabilità strutturali di tutta una classe politica al potere. Certo, se dei lavori di sistemazione sono lì, in attesa di essere completati da ben quattro decenni, ha buon giuoco l’attuale maggioranza di centrodestra che si autoassolve perché nel 2014 e fino a due anni fa, non era lei che governava. Vero, ma altrettanto insignificante osservazione sul piano della lettura di classe, in quanto l’attuale maggioranza al governo delle Marche, è costituita e rappresentativa degli interessi di una élite di provincia che, Franza o Spagna, ha sempre mangiato a danno dei governati.

Un quadro storico e politico senza il quale non si riesce a comprendere nella giusta misura la narrazione dell’alluvione. In tal senso si può prendere, come esempio, le considerazioni fatte dallo stesso presidente della Regione Marche e diffuse sul suo profilo FB, in data 22 settembre, il quale sottolinea negativamente il comportamento di un giornalista della trasmissione “Piazza Pulita” ( https://www.facebook.com/watch/?extid=CL-UNK-UNK-UNK-AN_GK0T-GK1C&v=815165779931481 ) durante e dopo la conferenza stampa di lunedì 19 settembre. Al di là di qualsiasi considerazione, è interessante come uno dei passaggi che lo stesso presidente ritiene sottolineare, riguardi le finalità della conferenza stessa, la quale: «si proponeva l’obiettivo di chiarire tutti gli aspetti di pertinenza tecnica, procedurale e amministrativa». Parole che danno il senso dell’urgenza del momento, secondo la visione del “Palazzo”, mentre ancora in molte zone delle Marche si spalava via il fango e si piangevano lacrime per le vite spazzate via. Nei fatti, nel video diffuso dal Presidente delle Marche, viene mostrato un battibecco fra due persone, scena utile solo a distogliere l’attenzione dalla realtà della situazione, anche se, oltre le intenzioni maldestre, l’episodio diventa lente di ingrandimento nei confronti di due elementi analitici dell’alluvione, relativi all’azione dell’uomo sull’ambiente e all’organizzazione istituzionale dei soccorsi.

In merito all’ambiente, è sotto gli occhi di tutti come i cambiamenti climatici, all’interno di una periodicità ciclica, siano esacerbati, peggiorati, alterati dall’azione incontrollata dell’uomo che non possono essere decodificati in termini moralistici, legati all’etica individuale, esaltando il bisogno di comportamenti virtuosi e rispettosi dell’ambiente, seguendo l’individualismo classista tipico del pensiero liberale. Come qualcuno ha detto: “L’ambientalismo, senza coscienza di classe è giardinaggio”. L’azione dell’uomo sulla natura e i disastri conseguenti, vanno letti in un’ottica di potere, di sfruttamento intensivo, selvaggio, barbarico, ma soprattutto stupido, delle risorse della terra. Se davvero si vogliono affrontare i fatti conseguenti all’alluvione basta pensare che la fisica parla chiaro, l’acqua sceglie sempre i percorsi più semplici lungo il suo cammino. Se trova un ostacolo o lo aggira o lo rompe. Se trova una strettoia acquista forza e, se invece arriva in un ampio spazio, perde di potenza. Punto. Il resto sono chiacchiere.

Sul piano dell’azione istituzionale, questa ha rappresentato, in merito all’alluvione e, rappresenta da sempre al meglio, la logica del profitto di cui sopra. Si potrebbe quasi  intitolare questo pezzo: “L’ideologia dell’arricchirsi con le disgrazie degli altri”. Mentre un’alluvione nell’arco di una notatta porta via la vita e la normalità a centinaia di famiglie, ancora devono essere prese in considerazione le azioni relative all’alluvione di otto anni prima, oggetto di un procedimento giudiziario ancora in corso presso il tribunale di Ancona. Certo, la stessa Procura del capoluogo dorico ha aperto un’inchiesta rispetto ai fatti di qualche settimana fa, ma questo non toglie nulla a quanto detto sin qui, anzi, lo sottolinea con forza evidenziando comportamenti e particolari ulteriori che rimarcano, nel quadro locale tratteggiato, la fisionomia di una regione che si vuol dire rappresentativa dell’Italia; e lo è nella sua pluralità. Una regione che ancora deve risolvere le tante questioni e le tante vite lasciate in sospeso dopo il terremoto di Arquata. Le Marche, la stessa regione di un Traini che spara a Macerata verso tutte le persone che incontra per strada, “colpevoli” di avere la pelle un po’ più scura della sua. Dopo qualche giorno dall’episodio razzista, nelle elezioni di quattro anni fa, si è registrata pure una crescita della Lega proprio in quella città. Le Marche, la regione di altri fattacci razzisti che sono risaltati alla cronaca, dalla spedizione “punitiva” contro i campi rom nell’ascolano, agli omicidi di Civitanova e di Fermo. Le Marche, la regione dove però, in quest’ultima tornata elettorale, sembra che l’emergenza degli immigrati e dell’ordine pubblico non siano più stati così funzionali a far acquistare voti, dato che, ad esempio, si è sentito molto poco parlare del famigerato Hotel House, condominio alveare mostruoso, ma non per chi lo abita, oggetto delle attenzioni di Salvini e compagnia bella in vari tour propagandistici. La spiegazione è molto semplice. Ora al governo c’è la destra in regione e le “cose” non possono andare male come in passato. Poi, se i problemi che si dicevano urgenti da risolvere, continuano ad essere presenti e non si è fatto nulla, basta comportarsi come ogni buon governo autocratico e un po’ fascistello (si può dire, vero?) fa da sempre: negare, mentire, nascondere, dimenticare, riscrivere. Insomma buttarla in caciara, finchè le acque, citazione voluta, non si siano calmate. Le Marche infine, che ci ricordano come siano bravi i nostalgici del ventennio ad autoassolversi e a cercare il capro espiatorio su cui scaricare la rabbia popolare. Bravi con i meriti degli altri, vigliacchi con le proprie responsabilità.

Nella notte fra il 15 e il 16 settembre, all’azione delle istituzioni, della protezione civile, delle forze armate che da sempre nella storia repubblicana sono state allertate per prime, faceva da contrappeso il volontarismo e il tam tam di centinaia di chat telefoniche, di appelli urlati dalla cima dei tetti o di qualche albero. Parlare di autorganizzazione è fuorviante, ma nella realtà, le comunità e i singoli hanno dimostrato di esistere, nonostante la debolezza delle reti sociali, la dimensione immane dell’evento, la limitatezza delle risorse. Hanno dimostrato quella forza e quella solidarietà che non si sono ravvisate in chi siede sulle poltrone e riceve stipendi per essere al servizio della collettività. Centinaia di persone da varie città, anche da fuori regione, si sono rimboccate le maniche e si sono messi a spalare il fango dalle strade. Hanno ammassato mobili e ricordi inzuppati di melma. Hanno dato una mano. Hanno dato una parola di conforto. Hanno sorretto, aiutato, salvato chi aveva bisogno. Hanno fatto quello che non hanno fatto i chiacchieroni e gli sgherri di Palazzo, i servi e le voci di regime che non si sono sporcati i loro abiti firmati. A dire il vero, qualcuno ha rischiato, in tal senso, ma molto alla lontana. Il venerdì 23 settembre, alle porte delle elezioni politiche, fra le 300 e le 500 persone, molti i giovani, hanno protestato per le strade di Ancona arrivando davanti a Palazzo Raffaello, sede della Regione Marche, dove sono stati svuotati sacchi di fango sulle scalinate e dove sui muri sono comparse le scritte: merde, vergogna. Dopo meno di due ore già le idropulitrici istituzionali erano pronte a cancellare tutto. L’iniziativa è stata organizzata come un climate strike dai centri sociali, da Friday For Future e da Extinction Rebellion e, si è registrata la partecipazione anche di qualche consigliere comunale di sinistra e dei candidati regionali per Unione Popolare. C’era pure qualche anarchico. Avvistata infine anche una bandiera nera e verde.

Mentre si scrive questo pezzo fuori dalla finestra sta piovendo. Nulla di che, è la sua stagione, ma un senso di malessere comunque si accentua ad ogni scroscio d’acqua che aumenta di intensità. Fino a qualche settimana fa, figli della civiltà millenaria contadina, ci si lamentava di un’estate secca che ha provocato incendi un po’ ovunque. Da troppo tempo c’è un certo disagio individuale rispetto alla natura che ci circonda, all’ambiente, alle stesse cose della vita, che ci fa sentire in colpa per ogni accadimento negativo, per ogni disgrazia, quasi fossimo peccatori in procinto di espiare punizioni divine che puntualmente arrivano a sottolineare la dissolutezza delle nostre esistenze. Insomma, benvenuti nel nuovo Medioevo, dove guerre, pestilenze, carestie e catastrofi imperversano e, dove sembra che non si riesca a fare altro che “pentirsi” del proprio comportamento dissoluto, mentre i signori delle oligarchie al potere, quelli che vivono realmente in maniera dissoluta e fanno vivere e morire malamente tutti gli altri, insomma, coloro che sono i veri responsabili di tutto questo continuano imperterriti a saccheggiare e a gozzovigliare.

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