Ancora non si è spento l’eco dello sgombero del Leoncavallo, al quale sono seguite manifestazioni di protesta con migliaia e migliaia di partecipanti (tuttora sono in corso trattative con il Comune ma senza risultato concreto), che al Centro Sociale SOS la FORNACE di Rho, cittadina dell’hinterland milanese, è di recente arrivato l’avviso di sfratto da parte di Eni, proprietaria dell’immobile. Si tratta di un ulteriore attacco ad uno spazio occupato in un immobile abbandonato e riattivato dalla vita culturale e sociale per essere restituito alla collettività locale.
Il Centro Sociale la FORNACE è nato del marzo del 2005 con l’occupazione in via San Martino dell’ex Sacchettificio Garavaglia in disuso. Dopo quella occupazione e lo sgombero che ne è seguito, ci sono state a Rho altre occupazioni di immobili in stato di abbandono da parte della FORNACE, seguite da altrettanti sgomberi. Questo fino al 2018, quando è stato occupato un ex deposito Eni abbandonato in via Risorgimento. L’attività che svolge il Centro Sociale è di tipo culturale, legata alla socialità, ma anche di opposizione sociale su temi caratterizzanti, come la difesa dei diritti, a cominciare da quello all’abitare, e di partecipazione alle mobilitazioni, come quelle No Expo. Il Centro Sociale partecipa ai vari cortei esponendo lo striscione con la scritta “Gli sgomberi non spengono la FORNACE”.
Nell’importante assemblea di movimento organizzata alla FORNACE per comunicare ed affrontare la questione dello sgombero è stato precisato che l’azionista di maggioranza di Eni è proprio il governo, per cui è facile immaginare le vere motivazioni che stanno dietro a questo ennesimo atto repressivo. Si tratta della strategia del Governo Meloni ampiamente pubblicizzata in campagna elettorale: chiudere gli spazi sociali occupati e riattivati all’uso sociale. Una catena repressiva che è necessario interrompere unendo le forze. La partecipazione all’Assemblea è stata molto numerosa, tanto che la sala non conteneva tutti i partecipanti. In particolare, nel mio intervento, ho sottolineato l’opportunità di legare la questione della difesa dello spazio con la denuncia della politica di Eni e di conseguenza del governo stesso. Il colosso aziendale ricava infatti enormi profitti dal commercio degli idrocarburi, attraverso pratiche coloniali e politiche di rapina nei confronti di paesi considerati sottosviluppati che hanno importanti giacimenti di idrocarburi. Lo sfruttamento determina anche gravi ripercussioni ambientali, soprattutto in paesi come Congo e Nigeria, dove interi territori vengono distrutti, le falde acquifere vengono contaminate e le popolazioni sono costrette a bere acqua inquinata, i contadini e i pescatori sono costretti ad abbandonare le loro attività per via del diffuso inquinamento. Un disastro compiuto senza nemmeno pagare pegno, grazie alle tangenti elargite ai potentati del luogo. Oltre questo aspetto c’è quello degli extraprofitti realizzati grazie all’economia di guerra, come nel caso del conflitto russo/ucraino, per cui le materie prime energetiche già comprate ad un prezzo vengono vendute ai livelli dei prezzi saliti alle stelle dopo lo scoppio della guerra. Un affare che ha fruttato all’ENI circa 40 miliardi di euro, mai tassati dal governo Meloni, mentre le bollette della luce e del gas succhiano i redditi dei lavoratori e dei pensionali. USI CIT ha approfondito queste problematiche, supportate da documentazione, ed ha elaborato un opuscolo di cui è stata proposta la presentazione proprio all’interno dello Spazio della Fornace. Analoga iniziativa è stata effettuata lo scorso 28 ottobre presentando l’opuscolo “ENI, Petrolio, Gas, Inquinamento, Guerre” presso lo Spazio Micene, in via Giuseppe Pinelli (ex via Micene), dove il compagno Daniele Ratti ha illustrato le questioni contenute nell’opuscolo soffermandosi in particolare sul ruolo di Eni, colosso operante in 68 paesi e in 5 continenti con operazioni di rapina coloniale e devastazione ambientale, svolgendo un ruolo di politica estera e dettando di fatto le linee guida alla Farnesina. Quest’ultima svolge un ruolo di supporto e di difesa degli insediamenti Eni attraverso missioni militari falsamente definite umanitarie. La dimostrazione di questo legame di sudditanza della Farnesina nei confronti di Eni è dimostrato dal fatto che funzionari governativi sono nel libro paga dell’Eni e che reparti di carabinieri vengono addestrati da Eni per scopi di spionaggio. Tutto questo viene giustificato in base all’interesse nazionale e al ruolo di sicurezza energetica che Eni svolgerebbe. Riguardo poi alla questione delle energie rinnovabili di cui Eni sembra farsi promotore, è stato sottolineato come ciò rappresenti solo un fiore all’occhiello al quale non viene dato il necessario sviluppo, perché si privilegiano i grossi profitti derivanti da commercio degli idrocarburi. Con un collegamento forte alla questione palestinese, nel corso dell’assemblea si è anche parlato dell’accordo stipulato fra Eni e governo israeliano il 29 ottobre 2023, appena scoppiato il conflitto con la Palestina, accordo che concede ad Eni la possibilità di sfruttare i giacimenti di gas nel mare davanti a Gaza, il 62% dei quali è riconosciuto al popolo palestinese da accordi internazionali.
Al dibattito presso lo spazio Micene hanno assistito con interesse una rappresentanza della Fornace e di altre aree sociali antagoniste, oltre ad una rappresentanza del Collettivo universitario della Statale, che ha contribuito alla discussione con un proprio documento di approfondimento sul ruolo di Eni. In particolare, i compagni del Centro Sociale la FORNACE sono intervenuti illustrando, oltre alle iniziative in difesa del loro spazio sotto minaccia di sgombero, anche l’attività di denuncia che stanno svolgendo contro l’inquinamento prodotto sul territorio da Agip/Eni. La Raffineria Agip fu installata da Mattei nel 1952: comignoli che vomitavano veleni chimici rendendo l’aria irrespirabile, inquinata da idrocarburi. La chiusura dell’Agip avvenne nel 1992, con la conseguente demolizione dei comignoli, lasciando un terreno gravemente inquinato che doveva essere bonificato, dove nel 2005 è stata insediata la Fiera di Milano. Nel terreno attiguo sono stati montati i padiglioni dell’Expo 2015, un’area anch’essa da riqualificare perché altamente inquinata. Ed è proprio il Centro Sociale la FORNACE, nel giugno del 2014, a denunciare la truffa della bonifica: “Abbiamo con disappunto preso atto che per bonifica si intendono le attività del terreno naturale eseguito in seguito al piano di caratterizzazione, mentre i primi metri del terreno di tutta l’area, inquinata e non, per decisione di Expo 2015 S.P.A., sono stati considerati rifiuti e come tali da conferire in discarica, con uno spreco di denaro pubblico disdicevole, stracciando in questo modo gli impegni presi con le amministrazioni comunali di Rho e Milano sulla attività di bonifica”. Insomma, una storia in cui si mescolano inquinamento, speculazioni e profitti.
Si è trattato di momenti assembleari molto interessanti, in cui si è sviluppato un dibattito fecondo e si sono sviluppate relazioni significative tra i presenti. Il tutto riconfermando sempre la solidarietà verso lo spazio della Fornace attualmente sotto minaccia di sgombero. E sempre a sostegno della Fornace, sabato 25 ottobre è stata organizzata, nel vasto spazio all’aperto, la quinta edizione del Festival AFA della autoproduzione undeground dedicata al fumetto indipendente, alle fanzine e alle autoproduzioni con la partecipazione di oltre 100 tra autrici e autori che hanno esposto i propri lavori originali in una grande mostra mercato. Ci sono stati anche incontri e dibattiti come ”Immigrazioni, progetti e visioni a supporto del popolo palestinese” e un dibattito su “Quando si sgombera la cultura” con la partecipazione di esponenti di vari spazi sociali milanesi e una presenza di pubblico di circa 2 mila partecipanti.
Enrico Moroni