Pietro Gori. Un pensiero attuale, oggi più di ieri

Di Pietro Gori, noto non solo per aver composto la conosciutissima Addio a Lugano ma anche e soprattutto per essere stato un militante lucido, colto e intelligente, un avvocato abile ed erudito schierato senza mezzi termini dalla parte dei deboli e dei perseguitati, perseguitato egli stesso, un acceso propagandista, un carismatico organizzatore di federazioni operaie e di scioperi, un pubblicista dotato di spiccato senso didattico, è giunta a noi, innanzitutto, la sua immagine.          Un’immagine che aveva assunto i connotati del mito tra le masse contadine e operaie del fosco fin del secolo morente e del primo ventennio del Novecento per poi sbiadire inesorabilmente con la comunità che lo aveva prodotto. Recentemente, sull’onda di un rinnovato interesse per le vicende dell’anarchismo storico, la figura di Pietro Gori, a partire dalla sua immagine mitica, è tornata in scena[1]. Dopo decenni di silenzio e di sottovalutazione, persino tra gli anarchici, è naturale che di Gori si reinizi a parlare in senso biografico e antologico delineando, anzitutto, il personaggio, la sua influenza tra gli strati popolari e, di conseguenza, la dimensione mitica entro cui quegli uomini e quelle donne l’avevano collocato: gli stessi a cui aveva dedicato la sua breve esistenza, non solo spronandoli al pensiero e all’azione e difendendoli nella sua veste professionale ma anche allietandoli nei momenti di gioia e di riposo con canti, poesie e composizioni teatrali. Un’immagine, sostenuta dal mito e dal carisma che accompagnavano e seguivano i suoi atti e i suoi spostamenti, ancor oggi avvolta dal suggestivo alone tardo romantico che ha dipinto Pietro Gori come il cavaliere dell’ideale, il difensore degli umili, il cantore dell’anarchia. Un ritratto fedele che riprende, però, di Gori, solo il lato riflesso dall’immaginario popolare del suo tempo, ponendo in secondo piano l’altro lato, meno noto ma dotato di un altrettanto forte spessore: quello dell’attento osservatore dei programmi della sociologia nascente in grado di fornire nuove e più decise coordinate per il suo sviluppo.

Ad oggi, salvo alcuni pregevoli tentativi, una biografia davvero completa di Pietro Gori non è ancora stata scritta[2]. Nel 1950, in occasione di una commemorazione goriana, il gruppo anarchico Il Pensiero di Roma affronta la questione tentando l’impresa sulla base del materiale esistente conservato dagli anarchici in Italia e all’estero. L’iniziativa però di fatto decade in quanto

malgrado la buona volontà, ci siamo convinti che non possiamo avventurarci, almeno per ora, in quest’opera non lieve per importanza e serietà, che richiede studio e coordinamento di un vasto materiale in gran parte non ancora ricevuto, essendone difficile la raccolta anche a causa delle distruzioni fasciste. La difficoltà è data inoltre dalla multiforme attività del caro scomparso; dalla continua e sfavillante erudizione di pensiero e di idee del suo genio eclettico; dai frequenti spostamenti della sua persona che lo portarono in ogni angolo del mondo, novello apostolo di una Idea, nuova e vecchia come il mondo stesso…[3]

Auspicando che una tale impresa possa in un prossimo futuro essere compiuta si ritiene necessario delineare una breve biografia essenziale che accorpi in un solo insieme, i frammentari e scarni dati finora conosciuti.

Dopo aver frequentato gli studi classici a Livorno, Gori si scrive alla facoltà di giurisprudenza presso l’università di Pisa dove si laurea (1889) col massimo dei voti e la lode con una tesi su La miseria e il delitto “ispirata alle idee dell’allora nuova Scuola Penale Positiva, di cui rimase poi sempre un seguace”[4]. Ancora studente scopre il pensiero anarchico e lo fa suo con lo straordinario fervore e l’intensa passione che caratterizzano la sua personalità. A diciotto anni subisce il primo processo per un opuscolo intitolato Pensieri Ribelli (1888) che raccoglie le sue prime conferenze. Lo difendono Enrico Ferri, Pelosini e Angiolo Muratori. Viene assolto ma contro di lui iniziano le persecuzioni quotidiane della regia polizia. Viene arrestato il primo maggio 1890, a Livorno, quale capo riconosciuto del grande movimento sindacale dal quale scaturiscono i grandi scioperi nel porto e nelle fabbriche. Diventata, l’aria di Livorno, irrespirabile a causa dei continui controlli polizieschi cui viene sottoposto, Gori emigra a Milano dove apre uno studio forense continuando, al contempo, la battaglia politica iniziata in Toscana. Ai primi di gennaio 1891 è, con Errico Malatesta e Amilcare Cipriani, al congresso di Capolago dove si tenta di costituire il Partito anarchico rivoluzionario e nel 1892 è presente a Genova, con un ruolo di primo piano, dove avviene la definitiva spaccatura tra i socialisti “legalitari” guidati da Filippo Turati, favorevoli al parlamentarismo, e gli anarchici, antiparlamentaristi ed antistatalisti, fedeli ai principi della Prima Internazionale.

Questo è anche il periodo di un Gori poeta e drammaturgo che guarda sia alla forma del verso, in stile carducciano, sia agli effetti sul piano diffusivo dell’istanza libertaria, secondo un’ottica che potremmo oggi definire “proto-massmediale”. Pubblica in tre volumi i versi Prigioni e Battaglie e presto le novemila copie di tiratura vengono esaurite. Al teatro Commenda di Milano vengono rappresentati con successo Senza Patria e Proximus tuus. Restano ancor oggi nella memoria storica del movimento dei lavoratori i suoi canti più belli tra i quali Addio a Lugano, Inno del Primo Maggio, Amore ribelle, Stornelli d’esilio (conosciuta anche come Nostra patria è il mondo intero). Un Gori politico e artista che convive con l’ottimo penalista presente in tutti i più importanti processi politici a difesa ora di Paolo Schicchi (gennaio 1893), ora di Errico Malatesta e di tutta la redazione de «L’Agitazione» di Ancona (1898). Fonda e dirige diversi giornali su cui la repressione della polizia è incessante.[5]

Il 1894 è un anno denso di avvenimenti per il movimento anarchico. Agli inizi dell’anno avvengono i moti dei Fasci Siciliani seguiti dai moti della Lunigiana a cui il governo risponde con lo stato d’assedio, gli eccidi e i tribunali militari. In aprile una bomba esplode a Montecitorio, a maggio Sante Caserio uccide, a Lione, il Presidente della Repubblica francese Sadi Carnot, in giugno Paolo Lega spara contro il primo ministro, persecutore degli anarchici, Crispi (ex garibaldino, poi monarchico) e Oreste Lucchesi uccide l’ex garibaldino Giuseppe Bandi, direttore del giornale livornese «Telegrafo» e promotore di una violenta campagna antianarchica. La reazione è dura e la repressione colpisce indistintamente ogni corrente dell’anarchismo:[6] Pietro Gori viene addirittura accusato di essere il mandante dell’uccisione di Sadi Carnot ed è costretto all’esilio. A Lugano, dove trova rifugio, subisce perfino un attentato. Espulso anche dalla Svizzera, come ospite indesiderato, ripara prima in Germania poi in Belgio quindi a Londra e infine ad Amsterdam. Per sopravvivere fa per qualche mese il marinaio fino a sbarcare a New York dove riprende l’attività di conferenziere e propagandista dell’ideale anarchico. In un solo anno tiene ben 400 discorsi in moltissime città dell’America del Nord percorrendola in lungo e in largo per 11.000 miglia e a Paterson, definita la cittadella anarchica, contribuisce a fondare la celebre rivista «La Questione Sociale». A Barre (Vermont) fa stampare e a Paterson (New Jersey) fa rappresentare, per la prima volta, il bozzetto sociale in un atto Primo Maggio.

Questo continuo peregrinare contribuisce a intaccare la sua salute già minata dalla tisi pertanto rientra a Londra e da lì, grazie all’interessamento di Giovanni Bovio e di Renato Imbriani, ritorna all’isola d’Elba per curarsi (1896). Nel 1897 si reca a Milano dove riprende la professione (difende in tribunale gli operai di Campiglia Marittima) ma col divieto di tenere discorsi in pubblico. Due poliziotti lo seguono ovunque, giorno e notte. L’anno successivo difende, in Corte d’Assise di Casale, i ribelli di Carrara e ad Ancona i redattori de «L’Agitazione» accusati, con Malatesta ed altri, di essere gli ispiratori dei moti nelle Marche contro il caro pane. Lo stesso Gori è accusato di essere l’ispiratore dei moti a Milano e viene perseguito, ma Gori non si trova a Milano quando tuona il cannone di Bava Beccaris, non può quindi essere arrestato fra i capi della sommossa. Ma c’è il discorso non autorizzato per il monumento ai martiri delle Cinque Giornate e su quello la Corte marziale imbastisce un assurdo procedimento sostenendo che “i suoi discorsi eran volitanti [sic] nell’anima della folla” dei rivoltosi. In contumacia – poiché Gori è riuscito ancora una volta a beffare la polizia – l’anarchico toscano viene condannato a una pena incredibilmente severa: 12 anni di carcere.[7]

Dopo varie peripezie approda in Argentina dove vige una delle costituzioni più liberali del tempo. Il trentatreenne Pietro Gori è già l’avvocato dovunque, come lo ha definito in uno schizzo biografico Vittorio Emiliani[8], un autentico talento speso fino in fondo per la causa anarchica. Si stabilisce a Buenos Aires, piena di emigrati italiani, ed è conteso dai circoli culturali e dalla stessa università dove tiene anche un corso di sociologia criminale, molto apprezzato. Forte della sua preparazione giurisprudenziale e intenzionato a orientare il dibattito e la ricerca della sociologia di quegli anni – ancora giovane ma già pronta, per Gori, a diventare scienza della socialità superando le prime deviazioni a cui veniva sottoposta – fonda e dirige la rivista «Criminalogia Moderna» a cui collaborano i maggiori giuristi, criminologi e sociologi argentini ed europei, ma anche statunitensi e australiani. Venti numeri appena che però mostrano un Gori determinato a spingere lo studio del fenomeno criminale ben oltre la tendenza, di allora come di adesso, che oggettiva il crimine ascrivendolo al suo soggetto portatore, il criminale, aprendo fin da subito un varco non solo interpretativo che, se depurato dal positivismo pionieristico dell’epoca, indica ancor oggi una strada tutta da percorrere. Una strada che la criminologia, scienza statistica ormai assestatasi nella propria funzione di supporto alle polizie moderne, non ha mai percorso fino in fondo poiché il percorrerla implicherebbe necessariamente la messa sotto accusa, in quanto causa primaria dei fenomeni criminali, dei sistemi sociali fondati sul principio d’autorità, sul principio di proprietà e sul principio di realtà.

Nel gennaio del 1902, approfittando di un’amnistia ritorna in Italia e riprende il suo giro di conferenze nei circoli e nelle Camere del Lavoro seguendo il suo mai sopito impulso ad agire direttamente tra i lavoratori. Nel luglio del 1903 fonda, con Luigi Fabbri, la più importante rivista anarchica del Novecento, «Il Pensiero» in cui pubblicò da allora in poi molti articoli di sociologia anarchica e di criminologia, ricordi storici, versi, ecc., ripubblicandovi altresì degli studi suoi già apparsi nell’America del Sud nonché la sua tesi di laurea, che aveva fatto a suo tempo molta impressione…[9]

Il suo interesse per l’antropologia e la geografia rimane vivo e ricomincia i suoi viaggi di studio recandosi in Egitto e in Palestina (1904), dove effettua nuove esplorazioni raccogliendo preziose fotografie e altrettanto preziosi appunti andati dispersi. Durante tali spostamenti al suo fisico logorato dalla tisi si assomma una malattia di origine tropicale non meglio identificata. Si ritira a Portoferraio ma nonostante la malattia è lui l’animatore del primo sciopero dei minatori dell’Elba che chiedono miglioramenti economici e riduzione d’orario di lavoro.[10] Lo sciopero darà vita a una organizzazione sindacale e alla creazione della prima Camera del Lavoro di Piombino e dell’Elba, aderente all’Unione Sindacale Italiana (U.S.I.) animata da Armando Borghi e Luigi Fabbri. L’ultima sua apparizione in pubblico è del 13 ottobre 1910 per la commemorazione di Francisco Ferrer, il pedagogista anarchico fucilato a Barcellona nel 1909. Muore la mattina dell’8 gennaio 1911. I funerali vedono un’imponente presenza popolare: la folla accorre da ogni parte stringendosi attorno al feretro durante il passaggio che da Portoferraio, attraversando Piombino e Castiglioncello, giunge a Rosignano Marittima. Gente comune che piange Pietro Gori come colui che ha donato tutta la propria esistenza all’ideale del riscatto sociale degli esclusi.

Gori e il sol dell’avvenire si fondevano in una sorta di unità simbolica. Gori era un militante politico, la cui visione del processo rivoluzionario era una visione di lungo periodo, una complessa trama di trasformazioni, lente e profonde. Ma agli occhi di ceti popolari abbrutiti, socialmente emarginati, colpiti nella loro dignità umana, rappresentava un sogno di redenzione, di riscatto, di vita nuova. Gori era in un certo qual modo il Messia dell’Idea e l’idea era la fede nel liberato mondo.[11]

Nell’annunciarne la morte Luigi Fabbri indica Pietro Gori come il «cavaliere errante dell’ideale»[12] per aver disseminato i grani aurei del suo pensiero per tutto il mondo, che ha sollevato entusiasmi di fede e attività di opere dovunque ha posto piede, dalla Città Eterna dei sette colli ai piedi delle Piramidi, da Lugano bianca sul lago a San Francisco a sponda sul Pacifico, dalla tumultuosa Londra agli ultimi paeselli sperduti nella Terra del Fuoco, questo sublime vagabondo ha stampato orme che non si cancelleranno più mai nella storia delle redenzioni umane.

Sotto quest’aura Gori si presenta a noi ancor oggi. Un appellativo tagliato su misura che va riferito, però, non soltanto ai suoi innumerevoli spostamenti in ogni angolo del mondo, volontari o coatti, ma soprattutto al suo nomadismo nei più disparati settori della cultura.

Ciò che ci mostra la rivista «Criminalogia Moderna», insieme agli altri interventi goriani sull’argomento sociologico e criminologico pubblicati in altri momenti della sua vita,[13] è proprio uno degli aspetti più interessanti del suo nomadismo culturale. Lì Gori offre la prova consistente della possibilità di una epistemologia coerentemente anarchica e della possibilità costitutiva di una “scienza del male sociale” (con finalità “cliniche”) nella stessa direzione in cui, in epoca più a noi vicina, hanno poi operato Danilo Dolci, Carlo Doglio e altri. Un aspetto che non è mai stato preso in seria considerazione probabilmente per un sedimentato pregiudizio antipositivista che ha indotto, insieme alla corretta rimozione del metodo, anche la rimozione del merito, in contenuti, aperture, intuizioni, possibilità, finalità.

 

Pietro Gori: Presenza e azione libertaria all’interno delle società operaie

In Argentina Gori è già noto per i suoi articoli (oltre ad alcune biografie) apparsi tra il 1894 e il 1896 sulla rivista «La Questione Sociale» di Buenos Aires,[14] articoli che contribuiscono a creare “un terreno fertile all’opera di propaganda che questi svolse durante il suo successivo viaggio in Argentina”.[15]

Fin da subito collabora a giornali e riviste libertarie quali «Ciencia Social»[16] e «L’Avvenire», viene accolto “con entusiasmo da ogni ordine di cittadini americani”,[17] tiene conferenze politiche, scientifiche e letterarie in tutta la repubblica, dal circolo della Prensa alla Facoltà di Diritto, dalle rappresentanze dei partiti popolari alle associazioni scientifiche. Tutto ciò, naturalmente, lo pose in grande evidenza ed a contatto colla varia e multiforme vita del paese…[18]

Continua la sua opera di sensibilizzazione verso il pensiero anarchico visitando i più sperduti paesi della provincia argentina e del Sud America (attraversa l’Uruguay, il Paraguay e il Cile). Su invito tiene corsi di sociologia criminale nelle Università di Buenos Aires, La Plata e Cordoba.

Si attiva in modo determinante, in fase costitutiva, nell’organizzare la Federaciòn Obrera Argentina (F.O.A., che poi diventerà F.O.R.A.[19]). A ben guardare per Gori non è affatto cosa nuova, molta parte della sua militanza è proiettata verso interventi e partecipazione diretta alla questione operaia. Alcuni esempi: a luglio 1896, su mandato di alcuni sindacati italiani del Nord America, partecipa a Londra al 3° congresso dell’Internazionale Operaia e socialista, dove gli anarchici vengono espulsi. Assieme a Fernand Pelloutier (che rappresenta la Federazione delle Camere del Lavoro italiane), Malatesta e altri delegati di associazioni sindacali firma un documento di protesta “contro il tentativo di monopolizzazione del movimento operaio internazionale da parte dei socialdemocratici”.[20] Dedica particolare attenzione all’organizzazione operaia e a quella degli anarchici, fondate sulla “morale della solidarietà” in opposizione al “dogma individualista” scontrandosi coi gruppi più radicali dell’individualismo che lo attaccano con estrema violenza. Sul giornale “L’Avvenire”, oltre ad articoli teorici, scrive analisi sulla situazione dei lavoratori in Europa incitanti all’organizzazione.

Nel 1897 è a Milano dove invita a una campagna unitaria con i partiti popolari per la difesa del “diritto costituzionale” e allo stesso tempo ribadisce il ruolo dei libertari nella contesa fra capitale e lavoro, anche sulla base delle organizzazioni per arti e mestieri.

Gori ha sempre considerato importante la presenza libertaria nel mondo del lavoro e l’esempio di Pelloutier con la sua Federazione delle Camere del Lavoro lo induce a individuare negli organismi orizzontali la cellula di una nuova organizzazione sociale. Nel 1905 partecipa al convegno sindacalista tenuto a Bologna intervenendo nella questione dei rapporti con i partiti politici, sostenendo l’estraneità dell’organizzazione sindacale alle lotte politiche e la necessità dell’unità operaia. Nel 1907 è attivo nelle agitazioni all’Isola d’Elba per la morte sul lavoro di tre operai e infine è animatore dei grandi scioperi dei minatori di Capoliveri.

Così come in Italia, anche in Argentina l’attenzione di Gori verso le tematiche sindacali in favore di una stabile e duratura organizzazione del movimento dei lavoratori lo porta a impegnarsi in prima persona nell’acceso dibattito, sui principi e nella pratica, tra le due componenti (socialisti e anarchici) egemoni nelle leghe ma portatrici di concezioni troppo diverse del movimento operaio, delle sue strategie e tattiche di lotta. Se i primi affidavano la risoluzione della questione operaia inviando rappresentanti e petizioni in parlamento, gli anarchici sostenevano l’azione diretta dei lavoratori come principio fondamentale della lotta proletaria. Tutto questo emerge nel primo congresso di costituzione della Federazione Operaia Argentina (Buenos Aires, 25 maggio 1901) che vede l’attiva partecipazione di Pietro Gori nella commissione che propone la costituzione, poi accettata quasi all’unanimità, di una federazione dei lavoratori e, nel vivo del dibattito sul tema dell’arbitrato nei conflitti con i padroni, sarà proprio un’altra sua mozione, favorevole all’arbitrato,[21] a essere accettata (21 voti a favore, 17 contro e 4 astenuti).

 

La rivista “Criminalogia moderna”

Accetta l’offerta della Società Scientifica Argentina di intraprendere una missione, che compie insieme al pittore Angelo Tommasi, volta a esplorare l’Estremo Australe, oltre la Terra del Fuoco. Seguendo le orme di Eliseo Réclus, di cui è grande estimatore, mostra di essere un ottimo geografo oltre che un altrettanto valido fotografo. Da questi viaggi riporta preziose testimonianze sulle primitive tribù della Patagonia (col poeta Cesare Pascarella compirà un’altra missione lungo i fiumi Paranà e alto Paranà, nel Ciaco e nello Ignassa fino alle Foreste Vergini della bassa Amazzonia) inserendosi con queste esperienze, che accompagnano e sostengono i suoi corsi di sociologia criminale, nell’allora nascente antropologia culturale: Si può senz’altro affermare che con questi studi Pietro Gori abbia dato, con Guglielmo Ferrero e con altri, i primi validi contributi all’antropologia.[22]

Al problema sociologico complessivo e ai problemi antropologici e criminologici che lo evidenziano, Gori dà, però, una piega originale poiché non limita il dibattito e la ricerca al piano esclusivamente teorico, proprio dei sociologi accademici, ma, più in linea col bisogno di far collimare il pensiero con l’azione e, nella fattispecie, il pensiero di giustizia con la possibilità di raggiungerla nel concreto, lo coglie come fondamentale elemento, in divenire, da scandagliare e porre in atto facendolo coincidere col bisogno stesso di equità sociale. Un bisogno avvertito come necessità ineludibile dalla coscienza dei lavoratori che, invece, non solo è eluso ma perfino è represso con la forza laddove si manifesta acutamente assumendo le forme della lotta sociale. Un punto di vista radicale che pone il problema dentro le concrete coordinate di un sociale quotidiano, dentro una specularità che mostri esattamente la provenienza effettiva del problema stesso, delle sue cause prime, dei problemi ulteriori che esso stesso genera pretendendo poi di trovarne, perlopiù autoritariamente, la soluzione. Lo scopo è dar luogo alla possibilità di un processo risolutivo, da realizzarsi per piccoli passi orientati, che permetta alla società tutta, agli uomini in carne ed ossa che la costituiscono, a cui lo stesso Gori consapevolmente appartiene, di conoscere la causa prima di ciò che si chiama male sociale e di agire per giungere, poco alla volta, alla sua eliminazione puntando ai luoghi in cui si produce e si diffonde. Tutti gli articoli a sua firma presenti nella rivista “Criminalogia Moderna” tracciano questa tendenza che stacca Gori dal resto dei sociologi del suo tempo, e ciò considerato che la sociologia stava ancora compiendo i suoi primi passi verso l’autonomia disciplinare.

Per comprendere la posizione di Gori in seno alla nascente scienza dei fenomeni sociali, è importante il richiamo all’intenzione originaria del suo fondatore riconosciuto, August Comte. Gori,

proprio interpretando la sociologia come scienza della socialità è orientato, come il suo fondatore, a un atteggiamento che possiamo definire clinico. Non si accontenta, cioè, di capire il fenomeno ma vuole andare oltre: vuole poter avere gli strumenti, anche pratici, per modificare radicalmente il fenomeno stesso e sa che deve, anzitutto, mettere in gioco se stesso, esponendosi in prima persona essendo il suo laboratorio la società stessa. Il suo scopo è studiare e combattere le sociopatologie e comprende che il crimine è un fenomeno paradigmatico nel quadro generale delle patologie sociali, come lo è la schizofrenia[23] per la psichiatria, e quindi dirige la propria attenzione sul male sociale fondamentale che è il crimine. Che la genesi del delitto debbasi ricercare, oltre che nell’individuo, anche nella società, in quanto agisce sopra di lui, è cosa che neppure gli individualisti più ortodossi hanno in animo di negare. [24]

La criminologia è per Gori la chiave d’accesso alla dimensione nascosta, dai luoghi comuni dalle leggi e dalle istituzioni, in cui si estendono le strutture stesse che costituiscono la società iniqua. Svelarle è il primo atto dello studioso sociale. Scardinarle e sostituirle con altre più eque e umane è l’atto pragmatico del rivoluzionario. A questo Gori aggiunge che i due momenti non possono essere separati né spazialmente né temporalmente. Sa che il crimine non è insito nell’animo umano come certa letteratura, scientifica o metafisica, e certa narrativa hanno sempre sostenuto, ma è il prodotto esatto delle strutture marce della società, di un suo certo assetto istituzionale, dei suoi sistemi totalitari, ora rigidi ora elastici secondo le circostanze, gestiti da caste, sette, congreghe, apparati, corporazioni… Proprio da questa visione prospettica Gori, ponendosi di fronte ai diversi fenomeni sociali, non soltanto per studiarli ma anche e soprattutto per curarli, per bonificarli, anziché come sociologo puro si pone come una sorta di “sociatra”, interpretando col registro della laicità e della socialità e applicandola di fatto, la classica nozione legata alla figura del demiurgo. La “sociatria” goriana è una sintesi concettuale tra il demiurgo che, letteralmente, presta la sua opera agli altri da lavoratore libero ma anche giurista, e il maieuta, che aiuta gli stessi a innalzarsi spiritualmente e coscientemente, imparando a liberarsi, autodeterminarsi e autogovernarsi.

A traverso le molte cose che ho visto e studiato, – a traverso le molte cose melanconiche, che lo studio del diritto penale, nei rapporti con quel morbo sociale che si chiama delitto, mette innanzi agli occhi di coloro, che le grandi malattie morali dell’uomo scrutano con intelletto d’amore – noi studieremo con tutta serenità l’evoluzione della sociologia criminale, questa nuova terapeutica sociale che mira a sopprimere ogni attività criminosa dell’uomo contro l’uomo, togliendone via le cause generatrici.[25]

La sua dimestichezza col diritto civile e penale gli rafforza la convinzione, esperita nelle aule di tribunale e nel sociale quotidiano, che sono innanzitutto le leggi, le leggi dello stato, le leggi del più forte, la causa principale dell’ingiustizia diffusa, a cominciare dalle leggi che tutelano la proprietà privata. Leggi scritte e applicate a difesa degli interessi specifici ed esclusivi di minoranze autoritarie quanto parassite a scapito della maggioranza operosa quanto vessata, esclusa di fatto e di diritto da un’equa ripartizione dei mezzi e dei frutti del lavoro, sia sul piano economico, sia nella più ampia e generale dimensione che va sotto il titolo di qualità di vita. Di conseguenza i sistemi sociali totalitari si reggono attraverso la miriade di parassiti, economicamente, burocraticamente, scientificamente, militarmente, gerarchicamente organizzati che ne garantiscono la continuità, assumendo a sé quote di potere e facendosi agenti diffusori dell’ingiustizia, incappando spesso essi stessi, individualmente o per gruppi, nelle maglie repressive della rete istituzionale che funzionalmente incarnano.

E il primo elemento parassitario che Gori mette sotto inchiesta, delinquente a tutti gli effetti e quindi da studiare alla stessa stregua dei cosiddetti delinquenti comuni, è la casta militare in quanto tale.[26]

Associazione Culturale ‘Pietro Gori’, Milano

 

[1] Oltre al lavoro di M. Antonioli, Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia, BFS edizioni, seconda edizione riveduta ed ampliata, Pisa, 1996, ricordiamo che di Gori sono state pubblicate le opere complete negli anni 1911-12 (La Spezia, Cromo-Tipo, La Sociale) poi ristampate nel 1947-1948 (Milano Editrice Moderna) e quindi per le edizioni Antistato di Cesena, Scritti scelti, 2 vol., 1968. Inoltre tre fascicoli a cura di M. Castri, E. Jona, S. Liberovici e, degli stessi curatori il testo teatrale E’ arrivato Pietro Gori/anarchico pericoloso e gentile, in «Sipario» n.346, marzo 1975.

[2] E’ importante sottolineare che tutte le note biografiche su P. Gori scritte dai Molaschi, Foresi, Mazzoni, per finire con Emiliani, sono tutte riconducibili ad un’unica matrice: la commemorazione di Luigi Fabbri apparsa su «Il Pensiero», a. IX, n° 2 (16 gennaio 1911).

[3] AA.VV., Commemorando Pietro Gori nel 40° anno della sua morte, «Il Pensiero», n. u. a cura del gruppo anarchico “Il Pensiero”, Roma 1950.

[4] Luigi Fabbri, Notizie biografiche su Pietro Gori, Roma, «Il Pensiero», a. IX, n° 2, (16 gennaio 1911), p. 23.

[5] Ogni numero de «L’Amico del Popolo», Milano 1891-92, viene sequestrato ed è costretto ad uscire clandestino o con titolo diverso o in manifesto.

[6] Nel 1894 P. Gori fonda la rivista «La Lotta Sociale», di carattere scientifico e letterario, tentativo stroncato dai sequestri.

[7] V. Emiliani, Gli anarchici. Vite di Cafiero, Costa, Malatesta, Cipriani, Gori, Milano, 1973, p. 158.

[8] Vittorio Emiliani, Pietro Gori: l’avvocato-dovunque, in Gli anarchici. Vite di Cafiero, Costa, Malatesta, Cipriani, Gori, Berneri, Borghi, Milano, Bompiani, 1977 (seconda edizione), pp. 145-166.

[9] Luigi Fabbri, Notizie biografiche su Pietro Gori, cit., p. 24.

[10] Per lo sciopero dei minatori dell’Elba, cfr. Ezio Luperini, Tra i lavoratori dell’Elba, in «Movimento Operaio e Socialista», Genova, ottobre-dicembre 1971, p. 389.

[11] Maurizio Antonioli, Pietro Gori. Il cavaliere errante dell’anarchia, op. cit., sec. ed., p. 11.

[12] Luigi Fabbri, Pietro Gori è morto!, Roma, «Il Pensiero», a. IX, n° 2 (16 gennaio 1911), p. 18.

[13]  Oltre alla citata tesi di laurea Gori affronta la tematica criminale coi seguenti scritti: La delinquenza all’indomani della rivoluzione, in P. Gori, socialismo e anarchia, Milano, Libr. Ed. Sociale, s.d. pp. 37-38; L’evoluzione della sociologia criminale in Scritti scelti, vol. II, Cesena, Antistato, 1968, pp. 221-241; Lo stesso volume contiene anche: Il problema della delinquenza,  pp 242-248; Pauperismo e criminalità, pp. 249-300; Il delitto politico e l’estradizione, pp. 301-306; Il delitto passionale della donna, pp. 307-312. Nel vol. I della stessa edizione è presente I delinquenti dell’ordine, pp. 155-156.

[14]«La Questione Sociale», rivista mensile di studi sociali e del movimento operaio internazionale, nasce per iniziativa di Fortunato Serantoni riprendendo la stessa testata del periodico fondato da Errico Malatesta dieci anni prima a Buenos Aires. La rivista esce regolarmente dal 15 luglio 1894 al 30 ottobre 1896.

[15] Cfr. Adriano P. Giordano, L’editore errante dell’anarchia. Appunti per una biografia di Fortunato Pierantoni, in «Rivista Storica dell’Anarchismo», a. 6, n. 1 (11), gennaio – giugno 1999, p. 52.

[16] Gori fa parte dei redattori locali di «Ciencia Social» dove vengono pubblicati suoi scritti, una sua biografia, discorsi e conferenze da lui tenute in Sud America, cfr. A. P. Giordano, L’editore errante…, cit.

[17] Carlo Molaschi, Pietro Gori, Milano, ed. Il Pensiero, 1959, p. 17.

[18] Sandro Foresi, La vita e l’opera di Pietro Gori, Milano, Editrice Moderna, 1949, p. 16. Lo stesso testo ripubblica integralmente l’interessante intervista di Sandro Foresi a Pietro Gori sulla sua esperienza in Argentina, Le pubbliche libertà nell’Argentina, pp. 23-27.

[19] Per le edizioni L’Impulso di Livorno (1979) è stato pubblicato La F.O.R.A. Storia del movimento operaio rivoluzionario in Argentina, di D. A. De Santillan, traduzione italiana di Raniero Coari Rossi, che racconta la nascita e le vicissitudini del sindacalismo rivoluzionario argentino.

[20] Vedi la biografia di P. Gori compilata da Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci nel Dizionario Biografico degli Anarchici italiani, BFS, Pisa, vol. 1, 2003, ad nomen.

[21] Sulla questione dell’arbitrato Gori farà una conferenza al teatro Doria di Buenos Aires il 18 agosto 1901. Per il riassunto della conferenza cfr. D. A. De Santillan, La F.O.R.A., cit., p. 51.

[22] Vittorio Emiliani, Gli anarchici…, op. cit. p. 160.

[23] Il termine viene introdotto in psichiatria nel 1911, da Bleuler, pertanto nel periodo in cui viene pubblicata la rivista il fenomeno psichiatrico paradigmatico è ancora la “demenza precoce” teorizzata da Kraepelin. Gori non era avulso dalle tematiche psichiatriche poiché spesso nei tribunali l’accusa tendeva a dipingere gli anarchici come dei malati mentali.

Lo stesso Lombroso, che Gori critica («Criminalogia Moderna» n. 4, febbraio 1899, pp. 95-96), tratta con la stessa pesantezza la materia (vedi il caso Passannante).

[24] P. GORI, L’evoluzione della sociologia criminale, in Scritti scelti di P. Gori, Cesena, L’Antistato, 1968, p 249.

[25]Ibidem, p 221.

[26]La delinquencia militar en Francia, in «Criminalogia Moderna», n.1, 20 dicembre 1898, pp 23-25. Articolo scritto a commento del caso Dreyfus.

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