I barbari attacchi del ventidue marzo a Bruxelles confermano
tragicamente quanto andiamo sostenendo da tempo: noi siamo le vittime
dei giochi di potere. Rivediamo ancora oggi la stessa dinamica che
abbiamo visto in occasione di tutti gli ultimi attentati: decine di
persone uccise, politicanti in grisaglia o in felpa verde che esprimono
le loro volgarità nella speranza di racimolare qualche voto in più, le
classiche lacrime di coccodrillo delle classi dirigenti europee che,
mentre esprimono cordoglio per i morti nelle capitali occidentali,
esportano guerre e morte nel resto del mondo, islamisti assassini che
rivendicano con orgoglio gli attacchi mortali e che applicano le stesse
logiche di potenza degli stati. È questo lo spettacolo, ogni volta più
tragico nel suo ripetersi, a cui assistiamo da quell’oramai lontano
settembre 2001.
La retorica dello scontro di civiltà ha fornito il paravento ideologico
per guerre che hanno causato centinaia di migliaia di morti in tutta la
Mesopotamia, nel Nord Africa e in Asia Centrale. Centinaia di migliaia
di persone sono costrette a migrare come profughi dalle loro terre,
morendo a migliaia nel viaggio, scacciate da guerre che sembrano senza
fine, conflitti ampiamente foraggiati e sostenuti dai governi
occidentali, ma anche da quello russo, da quello turco, dalle
petromonarchie del Golfo e dall’industria armiera di tutto il mondo.
E mentre i razzisti e fascisti nostrani di tutte le risme ricamano su
questi fatti proposte antiumanitarie di chiusura delle frontiere e di
sospensione dei diritti, l’Unione Europea si mette a regalare miliardi
di euro al dittatore guerrafondaio Erdogan sperando di potere delegare a
lui la gestione dei flussi di profughi dalla Siria, facendo finta di non
sapere che lo stesso governo turco è stato, per calcolo politico, tra i
principali sponsor dell’ISIS.
L’Unione Europea regala soldi a chi sostiene, politicamente,
militarmente e logisticamente la stessa entità che ora rivendica gli
attacchi alle città europee. Una mossa degna di un film comico, ma c’è
poco da ridere: è la realtà dei fatti. Una mossa che dimostra come la
classe dominante occidentale non abbia nessuna reale esigenza di porre
fine alla questione del terrorismo e come questo sia funzionale agli
interessi di chi fa i propri affari sulla pelle altrui. In occasione
degli attacchi di Parigi e Beirut del novembre 2015 avevamo scritto che
questa è la loro guerra perché sono loro a guadagnarci ma che i morti
sono i nostri: che le vittime siano in un aeroporto belga o in un
bistrot parigino, in una metropolitana londinese o in mercato siriano,
in una via di Istanbul o in una città del Bakur, che siano causate da un
invasato imbottito di esplosivo o da un sofisticato missile prodotto in
Italia e venduto all’Arabia Saudita che viene lanciato su un mercato
dello Yemen a noi poco cambia.
Non accettiamo l’idea per cui le vittime sul suolo europeo siano da
piangere mentre quelle sulla sponda sud del Mediterraneo siano da
accantonarsi nel novero dei “danni collaterali della guerra al terrore”
o simili fregnacce. La barbarie del sistema economico e politico in cui
viviamo si è mostrata oggi ancora una volta. A noi, quelli che nei piani
dei potentati dovrebbero svolgere il ruolo di comparse sacrificabili, il
compito di costruire un’alternativa. Compito non facile ma possibile,
come dimostrato dalla lotta di coloro che, in Rojava, nel Bakur e nella
stessa Turchia, si oppongono alle politiche delle potenze regionali e da
coloro che, in Europa, si oppongono alle politiche antipopolari,
guerrafondaie e razziste dei propri governi. Compito possibile e sempre
più necessario per realizzare una società più giusta, libera e solidale.
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