È buona abitudine organizzare tutte le mattine nel cortile di via Civitali 30, palazzina sottosfratto in zona San Siro, quartiere di Milano, la colazione antisgombero per essere sempre pronti a fronteggiare la situazione. Quella mattina di martedì 9 è giunta la notizia che in una piazza vicina si stavano radunando mezzi di polizia con al seguito mezzi per il trasloco.
Immediatamente è scatto l’allarme e il tam tam in poco tempo ha radunato solidali, abitanti e occupanti davanti all’ingresso della palazzina sotto minaccia di sgombero. Quando sono arrivato, un centinaio di manifestanti costituivano un picchetto agguerrito con striscioni e cartelli che gridavano slogan di resistenza.
La viabilità era stata bloccata per consentire l’operazione di polizia, gli stessi mezzi pubblici erano stati deviati ed erano giuntoisul posto degli operai pronti ad intervenire una volta attuato lo sgombero. La mobilitazione immediata e decisa che è stata messa in atto nel quartiere ha fatto desistere nel proseguire nell’operazione di sgombero, per cui le forze del disordine, dopo due ore di permanenza, hanno preferito non forzare una situazione che si dimostrava complicata e se ne sono andate. Questa rinuncia da parte del contingente di polizia ha donato un sospiro di sollievo ai partecipanti al picchetto che hanno festeggiato questa momentanea vittoria, pur con la consapevolezza che ci saranno nuovi tentativi.
All’interno della palazzina ci sono 30 famiglie, di cui 5 con contratti regolari e 25 famiglie occupanti, per necessità, appartamenti che a lungo erano rimasti vuoti.
Il motivo dichiarato dall’Aler (ente case popolari) per giustificare lo sfratto sarebbe quello dell’utilizzo di fondi europei per la ristrutturazione degli alloggi, ma sappiamo che via Civitali 30 è da anni al centro di mire speculative, anche per la posizione che occupa, molto vicina al noto stadio di San Siro che si intravede in fondo alla strada. Il progetto è di “riqualificare” la zona a spese della popolazione più disagiata che occupa quegli spazi e che dovrà essere allontanata.
Se lo sgombero fosse stato attuato molto probabilmente alle 5 famiglie regolari gli sarebbe stata data un’altra soluzione abitativa, che quelle famiglie non vogliono, mentre agli occupanti gli si offriva la strada.
Una settimana fa, un’altra famiglia occupante per necessità nello stesso quartiere, composta da due genitori ed un figlio piccolo, era stata sgomberata, malgrado la resistenza di un picchetto solidale: uno dei presenti che si era sdraiato davanti ai mezzi della polizia era stato spostato di forza dalla polizia. Alla madre ed al figlio era stato offerto un dormitorio disgiunto dal marito. La famiglia sfrattata ha preferito rimanere unita e farsi ospitare da un’altra famiglia del quartiere. “L’unica soluzione possibile – fa presente una compagna nel picchetto – sarebbe quello di rioccupare subito per contrastare efficacemente la politica degli sfratti”.
La situazione a Milano vede in crescita gli sfratti: se ne calcolano quindicimila nel solo 2015, mentre crescono anche le famiglie in lista di attesa per una casa popolare, che raggiungono il numero di ventiquattromila. Ma il Comune, Aler e la Regione non vogliono risolvere il problema abitativo concretamente e gestiscono l’emergenza come un problema di ordine pubblico. Solo a Milano ci sono diecimila case popolari vuote e riscaldate, mentre le famiglie sfrattate vengono sistemate provvisoriamente in luoghi che hanno un costo che giunge fino a cinquanta euro al giorno per persona, senza calcolare le migliaia di euro che costa ogni operazione di sgombero. Il tutto, alla fine, per lasciare vuota una abitazione che resterà tale chissà per quanto tempo.
Nel pomeriggio del mancato sgombero, come è d’uso tutti i martedì, si è tenuta l’assemblea del comitato degli occupanti del quartiere nella sede del Micene – la stessa dove tutti gli anni il 14 dicembre ha luogo la giornata in ricordo di Pinelli – per discutere la situazione abitativa nel quartiere e le future iniziative da intraprendere. Alla fine, come altre volte, viene organizzata una cena per quanti ne hanno bisogno, un ulteriore risposta di solidarietà al cinismo del potere.
È importante che tutte queste situazioni di resistenza e di conflittualità trovino un momento unificante nello Sciopero Generale del 18 marzo.
Enrico Moroni