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Piano nazionale di ripresa e resilienza

Piano nazionale di ripresa e resilienza

L’Unione europea ha ricevuto il Piano di ripresa e resilienza dell’Italia, approvato in fretta e furia dai due rami del Parlamento. Con questo piano il governo Draghi vincola ancora di più la politica economica dell’Italia alle scelte di Bruxelles, senza ricevere nulla in cambio. È bene tener presente che, dei ventisette governi che fanno parte dell’Unione europea, solo tredici finora hanno presentato il piano e che solo l’adesione di tutti gli stati, con conseguente accollo dei rischi finanziari, farà partire la procedura che porterà la Banca Centrale Europea a emettere i Titoli di Stato Europei, i cosiddetti Eurobond, che andranno a finanziare i prestiti del Next Generation UE. Se uno solo dei rimanenti quattordici governi non dovesse procedere alla presentazione del piano, l’intera operazione finanziaria verrebbe bloccata.

Insomma, in cambio di promesse, Bruxelles ha ottenuto di supervisionare l’erogazione dei finanziamenti, di vincolare l’erogazione alle “riforme” della giustizia, della pubblica amministrazione e così via, di impegnare l’Italia nell’aumento del contributo al bilancio europeo, contributo necessario all’erogazione dei finanziamenti a fondo perduto. Alla fine della fiera, in cambio dell’aumento del vincolo estero sulle scelte di politica nazionale, l’Italia riceverà poco più di 25 miliardi di euro.

C’era bisogno di tutta questa messa in scena? In realtà il risultato dell’operazione non sta tanto nei finanziamenti che riceverà l’economia italiana, quanto nell’ennesimo spostamento di reddito dai ceti popolari alle classi privilegiate, ai banchieri, agli industriali, ai militari e soprattutto alla Chiesa. L’ha detto chiaramente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso in occasione del Primo Maggio: “Il lavoro porterà il Paese fuori dall’emergenza”. Spetterà quindi ancora una volta alla classe operaia, ai pensionati, ai disoccupati risolvere i problemi di lor signori, sacrificando al totem del Prodotto Interno Lordo il reddito, la salute e, se la Patria lo chiede, la vita. È la logica del rischio calcolato, per cui a noi restano i rischi e a loro il calcolo dei profitti.

La retorica sulla missione provvidenziale di Draghi serve solo a nascondere malamente l’ennesima truffa, l’ennesimo svaligiamento del pubblico erario. Jana Puglierin, ad esempio, ha affermato al Financial Times che l’Italia, grazie alla presidenza del consiglio di Mario Draghi, è passata in poco più di due mesi da delinquente minorile dell’Unione Europea a modello per tutta l’Europa, il tutto detto senza ironia. Jana Puglierin è senior policy fellow all’European Council on Foreign Relations (ECFR), un organismo pan-europeo fondato nel 2007 per fare ricerca e promuovere dibattito informato sulla politica estera europea: ne fanno parte ex-ministri degli esteri, imprenditori, noti intellettuali e attivisti. Il principale finanziatore è l’Open Society Foundations, di George Soros.

La caricatura di se stesso

L’adulazione nei confronti di Mario Draghi da parte degli esponenti politici e degli organi di informazione è un esempio dell’atteggiamento verso l’élite dominante, di cui l’attuale primo ministro italiano è un rappresentante quasi caricaturale. In questa narrazione, Mario Draghi assume il ruolo di un Lenin del capitalismo, che da solo avrebbe dato il via a una rivoluzione non solo in Italia ma anche nell’Unione europea.

L’agenzia Bloomberg ha definito l’azione di Draghi un’occasione irripetibile per modernizzare uno stato disfunzionale. In realtà, l’Italia è sempre stata sottoposta al vincolo internazionale, che si è fatto più stringente con la caduta dell’Unione sovietica e l’inserimento di tutta la Terra nel mercato dominato dal dollaro. In particolare a partire dagli anni ’90 i governi che si sono succeduti hanno introdotto un numero enorme di riforme che hanno smantellato l’assistenza, la sanità e la scuola pubbliche, hanno eliminato le tutele per i lavoratori dipendenti, hanno privatizzato completamente le banche e gran parte dell’apparato produttivo di stato, hanno inciso pesantemente sul reddito monetario dei ceti popolari, aumentando a dismisura il numero delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà.

È bene ricordare che, alla fine del scolo scorso, il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi è riuscito ad entrare nell’euro truccando i bilanci, così come ha fatto la Grecia. Da allora la pressione delle istituzioni europee si è fatta ancora più stringente e l’Italia è stata fatta oggetto della stessa cura riservata alla Grecia, solo che alla Grecia è stata data in un colpo solo e all’Italia viene propinata poco alla volta: alla fine però il risultato sarà lo stesso.

Autorevoli studi hanno anzi individuato nel vincolo internazionale e nelle politiche ad esso conseguenti la causa della stagnazione economica che affligge l’Italia da decenni. La cura delle privatizzazioni, del taglio dei redditi proletari, dello smantellamento delle garanzie per i lavoratori dipendenti non farebbe che aggravare le condizioni del malato. Al di là dell’enfasi su questo o quel capitolo di spesa, anche il Piano di ripresa e resilienza segue la stessa logica e non potrà che peggiorare le condizioni dei ceti popolari. Lungi dal ritenere il vincolo internazionale ininfluente, sono convinto che la stagnazione italiana debba essere inquadrata nella stagnazione dell’economia capitalista, manifestatasi chiaramente a partire dalla crisi del 2008, e dal progressivo esaurirsi della sua spinta propulsiva, generata dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, e dalla necessità per l’imperialismo anglo-americano di competere con quello orientale.

La corsa allo zucchero

Le conseguenze economiche della pandemia hanno giustificato un cambio di paradigma nella dottrina applicata dalle istituzioni politiche e finanziarie, nazionali e sovranazionali. Contrariamente a quanto affermato fino a pochi mesi prima, i decisori politici e finanziari hanno avviato un periodo di “denaro facile” per facilitare la sopravvivenza delle aziende e la ripresa economica, oltre a cercare di evitare momenti di tensione sociale.

Questo ha portato ad una serie di misure, come il Next Generation EU in Europa, di cui il Piano nazionale di ripresa e resilienza fa parte, e l’American Rescue Plan negli USA. Alcuni esperti si augurano che questi stimoli possano dare il via ad una ripresa economica solida e duratura, altri commentatori ed economisti parlano di “sugar rush” (corsa allo zucchero), facendo riferimento all’effetto che fa in un atleta spossato l’assunzione dello zucchero. Come l’atleta, anche l’economia riceverebbe dagli stimoli monetari e fiscali una scossa destinata a esaurirsi rapidamente, seguita da un lungo sonno.

In realtà il futuro dell’economia potrebbe essere peggiore del lungo sonno: secondo Bloomberg, negli Stati Uniti il 20% delle prime 3.000 società quotate in borsa sono aziende-zombies, con debiti di 1.360 miliardi di dollari e che non hanno guadagnato abbastanza per pagare gli interessi. Un altro pericolo viene dalla dinamica dell’inflazione: nel lungo periodo la Federal Reserve calcola che il Prodotto Interno Lordo USA crescerà dell’1,8% annuo (prima della pandemia era dell’1,7%), mentre l’inflazione si attesterà attorno al 2% nel 2023, con inevitabili ripercussioni sui tassi d’interesse e sui bond USA. Visto che il debito pubblico USA alla fine dell’anno supererà il PIL, il rapporto tra dinamica del PIL, inflazione e tassi d’interesse espone l’amministrazione USA al rischio di un indebitamento pubblico autoalimentantesi.

Se questo succede negli USA che cosa può succedere in Europa, dove i tassi di crescita, l’indebitamento pubblico e l’inflazione sono profondamente divaricati fra i vari stati nazionali? L’uscita della pandemia segnerà un crescere delle tendenze centrifughe da una parte e dell’autoritarismo di Bruxelles dall’altro. Sicuramente anche in Europa la corsa allo zucchero si esaurirà presto e lascerà il proletariato europeo più povero, più sfruttato di prima.

Gli elicotteri non partono più

Una vittima illustre della pandemia e delle misure adottate dai governi per fronteggiare la crisi economica è la moderna teoria monetaria (Modern Monetary Theory – MMT). Questa teoria ha attratto diversi economisti di sinistra, anche in Italia: sembra dare una giustificazione dottrinaria alla politica di spesa della pubblica amministrazione, finanziata con la stampa di nuova moneta e, in tal modo, fornire le disponibilità finanziarie alle varie ipotesi di reddito di cittadinanza. La MMT deriva dal cartalismo, una teoria monetaria apparsa in Germania all’inizio del secolo scorso: secondo questa dottrina il denaro ha avuto origine dai tentativi statali di dirigere l’attività economica piuttosto che rappresentare una soluzione spontanea ai problemi del baratto o come mezzo per simbolizzare il debito.

Le misure prese sulle due sponde dell’Atlantico sembrano ispirarsi alla convinzione opposta, che il denaro non può essere creato dal nulla e che l’espansione della spesa pubblica, necessaria a far ripartire l’economia capitalista, dovrà essere rimborsata con lacrime e sangue. In Europa si sa già chi pagherà: abbiamo già fatto riferimento al discorso di Mattarella e al lavoro che li tirerà fuori dalla crisi. Negli USA la nuova amministrazione e il Fondo Monetario sembrano indicare la volontà di chiedere un contributo ai ceti più ricchi; il futuro ci dirà quanto c’è di reale e quanto sono mosse propagandistiche.

Comunque nessuno ci lancerà denaro dagli elicotteri. Quanto le classi sfruttate riusciranno ad ottenere – reddito, servizi sociali, libertà – lo dovranno strappare alle classi privilegiate e ai governi con le unghie e con i denti, con l’unione.

Tiziano Antonelli

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