Search

8 dicembre 2021. Un giorno di festa e di lotta

8 dicembre 2021. Un giorno di festa e di lotta

L’8 dicembre di quest’anno la neve cadeva fitta fitta, ma non ha fermato un movimento che ha saputo stringere i denti e andare avanti per decenni. Eravamo in tanti al corteo che, dopo aver attraversato il centro del paese, si è diretto al presidio di Borgone, che il sindaco vuole distruggere, costruendo una strada inutile con i soldi delle compensazioni ricevute per il Tav.
Il presidio di Borgone nacque nella primavera del 2005. Quel giorno lo ricordiamo tutti, perché fu il primo banco di prova di un movimento che non era ancora consapevole della propria forza, della propria capacità di passare dalla denuncia all’azione diretta.
Dovevano farci un sondaggio preliminare all’opera, ma nonostante l’imponente dispiego di forze, in quell’area ci trovarono tantissima gente, la maggior parte abitanti del paese, che rimase a presidiare senza sosta per giorni e notti. La polizia non tornò più, ma il presidio è ancora lì a testimoniare, con le sue quattro mura di legno, di una lotta popolare che seppe coinvolgere interi paesi andando ben oltre le migliori aspettative.
Il corteo è poi passato dal centro di San Didero e si è concluso al presidio del Baraccone.
Qui tutto è cominciato con palle natalizie e festoni sulle recinzioni, per poi proseguire con rampini e corde per tirare giù metri e metri di filo spinato a lamelle, mentre volavano oltre la recinzione palle di neve ghiacciata. Un vero assedio al cantiere/fortino militarizzato di San Didero.
La polizia ha sparato con i cannoni ad acqua contro gruppi di No Tav, che da ogni lato, protetti da instabili barriere di plastica avanzavano a ondate quasi continue.
Poi è partita la consueta salva di lacrimogeni, sparati anche sul piazzale, dove c’era la distribuzione del vin brulé e delle caldarroste. Molti lacrimogeni sono stati rispediti al mittente, altri annegati nella neve. Un 8 dicembre di festa e di lotta.

Nella memoria della gente che si batte contro il Tav il dicembre del 2005 è una pietra miliare. Tra novembre e dicembre si consumò un’epopea di lotta entrata nei cuori di tanti. Un movimento popolare decise di resistere all’imposizione violenta di un’opera inutile e devastante e, nonostante avesse quasi tutti contro, riuscì ad assediare le truppe di occupazione, costruendo la Libera Repubblica di Venaus. Dopo lo sgombero violento il movimento per qualche giorno assunse un chiaro carattere insurrezionale: l’intera Val Susa si fece barricata contro l’invasore. L’otto dicembre era festa. La manifestazione, dopo una breve scaramuccia al bivio dove la polizia attendeva i manifestanti, si trasformò in una marcia che dopo aver salito la montagna, scese verso la zona occupata mentre lieve cadeva la neve. I sentieri in discesa erano fradici di ghiaccio e fango ma nessuno si fermò. Le reti caddero e le truppe vennero richiamate.
Nel 2011 – dopo la dura parentesi dell’inverno delle trivelle – sono tornati, molto più agguerriti che nel 2005.
Lo Stato non può permettersi di perdere due volte nello stesso posto.
L’apparato repressivo fatto di gas, recinzioni da lager, manganelli e torture si è dispiegato in tutta la sua forza. La magistratura è entrata in campo a gamba tesa. Non si contano i processi e le condanne che coinvolgono migliaia di attivisti No Tav.
Governo e magistratura non hanno fatto i conti con la resistenza dei No Tav.

Quest’anno, dopo lo sgombero del presidio all’autoporto di San Didero, hanno messo in campo un gigantesco apparato poliziesco, per trasformare l’area in un fortino militarizzato, circondato da filo spinato e illuminato a giorno da fari giganteschi. Dentro, come a Chiomonte, militari, carabinieri, polizia.
Svariati paesi della valle sono stati dichiarati zone di interesse strategico, zone rosse, dove il prefetto ha facoltà di interdire il passaggio a proprio piacimento.

Ma non è solo questione di treni. Alla frontiera, aperta per chi ha soldi, ma serrata per la gente in viaggio, c’è chi lotta contro le linee sulla mappa che uomini armati trasformano in barriere difficili da valicare. Qualcuno è morto nella neve, qualcun altro è stato deportato, ma le cose sarebbero andate peggio se non ci fosse stato chi si è messo di mezzo.
Gente come Emilio, che ora si trova rinchiuso in un carcere a centinaia di chilometri dalla sua valle, ma che tanti hanno portato con se nella marcia sotto la neve.

Quello che accadeva in quell’autunno del 2005 in Val Susa fu linfa vitale per i movimenti sparsi nella penisola.
Cancellare un progetto già entrato nella fase esecutiva dimostrò che vincere è possibile, che quel che era successo in quell’angolo di montagna poteva ripetersi ovunque.
Non solo. La potente ondata di solidarietà che investì i No Tav scaturì dall’indignazione. Un’indignazione profonda, che attraversò la penisola e passò le Alpi, perché tanti pensarono che la misura era colma, che quello che accadeva in Val Susa riguardava tutt*.
Oggi viviamo tempi difficili, difficilissimi. Tempi segnati dalla violenza dispiegata dello Stato contro i movimenti di lotta, i migranti, i poveri.

Tante volte la grande favola della democrazia si è sciolta come neve al sole. Ogni volta che libertà, solidarietà, uguaglianza vengono intese e praticate nella loro costitutiva, radicale alterità con un assetto sociale basato sul dominio, la diseguaglianza, lo sfruttamento, la competizione più feroce, la democrazia mostra il suo vero volto.
La democrazia reale ammette il dissenso, purché resti opinione ineffettuale, mero esercizio di eloquenza, semplice gioco di parola. Se il dissenso diviene attivo, se si fa azione diretta, se rischia di far saltare le regole di un gioco feroce, la democrazia si fa discorso del potere che nega legittimità ad ogni parola altra. Ad ogni ordine che spezzi quello attuale.

Il movimento No Tav, sulle barricate e per i sentieri di lotta, ha lottato e lotta nella consapevolezza che le nostre vite e la nostra libertà contano più dei profitti di chi si fa ricco, sfruttando, devastando e depredando un intero pianeta. Il movimento No Tav nei presidi e nelle libere Repubbliche ha messo al centro la solidarietà, la cura reciproca, la consapevolezza che un mondo altro comincia a crescere giorno dopo giorno tra chi sceglie di mettersi di mezzo, di non distogliere lo sguardo, di chi sa indignarsi e agire.

Finita l’ennesima illusione elettoralista, i No Tav sono consapevoli che la partita, oggi come nel 2005 torna nelle mani di un movimento popolare che non si è mai arreso.
È importante che la memoria non vacilli: i No Tav hanno sostenuto ed appoggiato la pratica dell’azione diretta contro il cantiere e le ditte collaborazioniste, i blocchi delle strade e delle ferrovie, lo sciopero generale, le grandi marce e i sabotaggi.
Fermare il Tav, costringere il governo a tornare su una decisione mai condivisa dalla popolazione locale è la ragion d’essere del movimento No Tav.
L’8 dicembre 2005 fu il culmine della rivolta contro il TAV. Ma già allora c’era in ballo molto di più: la libertà e la dignità di chi non tollerava l’imposizione con la forza di una scelta non condivisa.
Nessuno lo pianificò ma accadde. I primi a stupirci fummo noi. Le barricate, i tronchi in mezzo alla strada, il blocco delle strade furono la risposta all’occupazione militare.
La Valle divenne ingovernabile.
La Valle deve tornare ad essere ingovernabile.

Lunghi anni di azione diretta, confronto orizzontale, costruzione di percorsi decisionali condivisi sono stati una straordinaria palestra di libertà. Tutti noi portiamo nei nostri cuori, nella memoria viva del nostro movimento Venaus e la Maddalena. Libere Rebubbliche, vere comuni libertarie, dove la gerarchia si è spezzata facendo vivere un tempo altro.
Il futuro non si delega: oggi come allora solo l’azione diretta, senza passi indietro, può creare le condizioni per fermare ancora una volta la corsa folle di chi antepone il profitto alla vita e alla libertà di tutti.

Federazione Anarchica Torinese

per vedere una galleria di immagini:

www.anarresinfo.org

Articoli correlati