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Vita e morte di uno scalpellino anarchico

Vita e morte di uno scalpellino anarchico

Carlo Restelli e Mario Avellini, uccisi il 5 settembre 1933 durante un tentativo di espatrio clandestino, sono tra le vittime meno note del fascismo. Tanto più che vi sono elementi per ritenere che si sia trattata di una vera e propria esecuzione a sangue freddo. Ora Alessandro Pellegata ricostruisce la vita dell’anarchico Restelli in un’opera precisa e documentata (Infinita tristezza. Vita e morte di uno scalpellino anarchico, Pagine marxiste, 2018, Euro 8,00).

Carlo Restelli era nato a Rockland (USA) nel 1880 da emigranti originari della Valceresio (Varese). Nel 1901 aveva fatto ritorno negli Stati Uniti, stabilendosi a Barre (Vermont) come scalpellino, qui si era rapidamente integrato nella numerosa comunità anarchica italo-americana animata da Luigi Galleani. A Barre i rapporti tra anarchici e socialisti erano difficili, fino al punto che il 3 ottobre 1903, durante un comizio di Giacinto Menotti Serrati (accusato da Galleani di essere u1 Ottobre 1920n delatore) un socialista aveva assassinato a revolverate lo scalpellino anarchico Elia Corti di Viggiù (p. 18).

Qui Pellegatta confuta un luogo comune “da più storici acriticamente ripreso nel corso dei decenni, che vuole gli emigrati dalla zona di Carrara in gran parte anarchici e quelli della Valceresio in gran parte socialisti”, l’accurata analisi degli abbonati e sottoscrittori di ”Cronaca sovversiva” mostra al contrario la presenza di numerosi cognomi tipici del Varesotto. “semmai vi è una sorta di divisione tra scalpellini e tagliapietre (in prevalenza anarchici), e marmisti (in prevalenza socialisti) (p. 20).

Nel 1906 Carlo torna in Italia e diventa un attivo sostenitore della creazione di una scuola moderna razionalista a Clivio, scuola che vede effettivamente la luce nel gennaio 1909. “Gli anarchici di Clivio non si limitano all’attività didattica e alla propaganda. Sono punto di riferimento nell’organizzazione dei passaggi clandestini verso la Svizzera di disertori e sovversivi, lungo la linea di confine che corre da Clivio a Viggiù fino a Porto Ceresio, e lo saranno per almeno un ventennio” (p. 35).

Nel 1912 Carlo, ormai schedato come “anarchico pericoloso”, finisce per la prima volta in carcere, uscito si dedica alla propaganda antimilitarista e contro l’intervento. Nel febbraio 1916 espatria clandestinamente in Svizzera per sfuggire alla chiamata alle armi. Nel 1918 viene arrestato per l’affaire delle “bombe di Zurigo”, una montatura che farà finire in carcere 120 anarchici (tra cui lo stesso Luigi Bertoni). Sgonfiata la montatura in sede processuale con la piena assoluzione degli imputati Carlo Restelli rientra in Italia alla fine del 1919, fruendo dell’amnistia concessa ai disertori.1 Ottobre 1920

A Milano, insieme ad Eugenio Macchi e Antonio Pietropaolo, apre una officina meccanica nella speranza di poter sfruttare il brevetto di un battifalce da lui inventato. Continua ad occuparsi della scuola moderna di Clivio ed entra a far parte del consiglio di amministrazione. Dopo l’attentato al Diana (23 marzo 1921) il terzetto finisce in carcere. Risulta infatti che l’officina sia servita da base per gli attentatori. Carlo riesce a dimostrare la sua completa estraneità ma l’assoluzione solleva contro di lui il sospetto di essere una spia. Un’ombra che lo accompagnerà anche dopo la morte. Solo la voce di Luigi Bertoni si leverà coraggiosamente per difenderlo.

Gli anni successivi sono tremendi. La scuola di Clivio viene chiusa dalle autorità, biblioteca ed archivio vengono date alla fiamme dai fascisti, Carlo passa da un lavoro all’altro e da un arresto all’altro, guardato con sospetto dai suoi stessi compagni. Nel frattempo ha anche contratto la tubercolosi.

Nel ventennio fascista, scrive Pellegatta, “nel territorio di quella che, dal 1927 sarà la provincia di Varese, saranno quasi duecento i sovversivi segnalati e schedati come anarchici” in larga misura “marmisti e scalpellini della Valceresio” (p. 69). L’unica soluzione sembra essere ormai l’espatrio clandestino.

Qui entra in scena Mario Avellini di Viggiù, antifascista, “espertissimo della zona e profondo conoscitore delle montagne circostanti” (p. 65) si dedica al contrabbando e funge volentieri da guida agli oppositori del regime che vogliono espatriare. Nel 1930 viene anche sospettato di aver ucciso un milite durante uno scontro notturno ma viene prosciolto. A lui si affida Carlo Restelli per varcare il confine, ma la sera del 5 settembre 1933 Restelli, Avellini, ed una terza persona rimasta ignota incappano in una pattuglia. I militi fanno fuoco senza pietà, probabile la volontà di vendicare la morte del commilitone. Avellini e Restelli muoiono, il terzo riesce a dileguarsi.

Una morte che non libererà per decenni la memoria di Carlo Restelli da accuse ingiuste e infamanti. Più ancora della tragica fine è questa indegna persecuzione postuma (che non fa onore al movimento anarchico) che sembra giustificare il titolo “Infinita tristezza” dato al libro.

Mauro De Agostini

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