“Sarebbe stato difficile fare di meglio e lo dico convintamente, per questo vi ringrazio sentitamente personalmente, a nome di tutto il management e di GKN che riconosce e apprezza lo sforzo profuso da tutti e i risultati raggiunti. Auguri per un 2021 ricco di saluti e soddisfazioni”. Così Andrea Ghezzi, Amministratore Delegato GKN, inviava i suoi auguri di Natale ai lavoratori GKN di Campi Bisenzio nel dicembre 2020.
Gli stessi lavoratori, ritenuti essenziali nel corso della pandemia e del primo lockdown, sarebbero diventati solo 7 mesi più tardi degli esuberi da licenziare.
Fino a qui, questa vicenda non ci dice niente di nuovo, ma ci ricorda la natura del capitalismo globale odierno: una grande multinazionale il cui profitto è in crescita, ovvero Melrose Industries, che dal lontano Regno Unito traccia una riga rossa sullo stabilimento di Campi Bisenzio: 422 operai e decine e decine di lavoratrici e lavoratori delle mense, pulizie e manutenzione mandatx a casa, con un solo semplice gesto. Un governo, quello italiano, che tentenna all’inizio, si mostra dispiaciuto, ma poi disvela la sua natura di stampella alle operazioni del capitale di cui è sempre salvatore di ultima istanza. Dal 9 luglio 2021, nonostante le dichiarazioni e operazioni avvenute, tra cui l’acquisizione di GKN da parte dell’imprenditore Francesco Borgomeo che avrebbe dovuto traghettare entro luglio 2022 la fabbrica verso un nuovo acquirente finale, non è mai stato presentato un piano di reindustrializzazione del sito produttivo. Nel frattempo, Borgomeo ha richiesto la cassa integrazione per i lavoratori, dimostrando da un lato di non aver alcuna seria proposta di riconversione (quando mai un imprenditore compra una fabbrica e dopo pochi mesi va in cassa integrazione?) e dall’altro di voler continuare in quel giochetto in cui il privato porta a termine le proprie manovre speculative e il pubblico, ovvero tuttx noi, sostiene economicamente tali manovre. Per poi concludere lasciando comunque i lavoratori a casa e le casse pubbliche ancora più dilapidate.
Di questo gioco ne erano più che consapevolx lavoratori e lavoratrici dello stabilimento di Campi Bisenzio, che sin dall’inizio hanno dichiarato in modo netto di non voler fare la fine della “rana bollita”, come avvenuto in molti processi di reindustrializzazione in questo paese.
Ed è qui che sta la novità di questa vicenda. Sin dai primi giorni, l’intera vertenza industriale è stata posta, dal Collettivo di Fabbrica e dall’assemblea permanente che dal 9 luglio dell’anno scorso presidia e vive lo stabilimento, su un duplice piano di mobilitazione da un lato e di proposta dal basso dall’altra.
Infatti, già il 5 dicembre 2021 in fabbrica si riunivano Collettivo e accademici solidali per formulare un piano di riconversione industriale del sito attraverso la creazione di un Polo per la Mobilità Pubblica e Sostenibile (PMPS). Un piano che contiene molti elementi interessanti e che – al contempo – è stato sin dall’inizio visto non come un’alternativa alla lotta ma come un piano che può vivere e farsi realtà solo attraverso la lotta e la trasformazione dei rapporti di forza.
Il PMPS prevede di preservare le competenze degli operai nella produzione di semiassi per veicoli, mutando però la destinazione della propria produzione dalle auto private – che siano queste a combustibili fossili o elettriche – a mezzi pubblici. Se infatti, dopo una accurata analisi, la “transizione” verso l’auto elettrica è stata definita dai lavoratori GKN come un modo di proseguire nella “follia estrattivista”, la prospettiva di mettere in discussione la mobilità privata e ripensare alla produzione non in termini di mercato ma in termini di utilità sociale ha portato il Collettivo su questa strada.
Una mobilità pubblica e sostenibile può intervenire realmente sulla diminuzione dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni climalteranti, i cui effetti disastrosi sono oramai sotto gli occhi di tuttx, e al contempo – attraverso la gestione non privatistica e prezzi accessibili – agevolare la mobilità per i quartieri più periferici, per le fasce più povere, per studentx, lavoratorx e ogni altra persona, arginando – se vista dentro l’attuale contingenza storica – anche l’impatto del caro vita sulle nostre esistenze.
Questo piano segna vari punti di svolta. Il primo riguarda il protagonismo operaio nel processo di riconversione industriale. Un protagonismo che si individua non solo nella scelta del core business del proprio sito, ma nel metodo con cui questo processo si snoda.
Il secondo punto di svolta riguarda la possibilità di una progettualità che metta in sintonia esigenze dex lavoratorx e la tutela del territorio e dell’ambiente in generale. Questo capovolge una lunga storia di conflitti che hanno visto operai da una parte e ecologistx dall’altra, e che si sono talmente tanto cristallizzati da sembrare naturali e inevitabili. E’ su questo supposto conflitto, che si è giocato sulle spalle di un lavoro e di una natura sempre più brutalizzate, che il capitale ha costruito il proprio impero.
Il terzo punto di svolta riguarda l’obiettivo di sottoporre la propria scelta produttiva all’utilità sociale. Questa non è una vera e propria novità nello scenario italiano. Già negli anni ’70 infatti, dalle fabbriche sempre più febbricitanti come quella di Porto Marghera, si diceva che “Cosa, come e quanto produrre devono essere i nostri parametri di lotta”. Si diceva, in sostanza, che la produzione doveva mettersi a servizio delle necessità collettive, e non dei capricci del mercato. Oggi il Collettivo di Fabbrica insiste nel ripetere che il Piano vuole dare vita ad una “fabbrica pubblica, socialmente integrata, difesa dal territorio, a disposizione del territorio”. Infatti, se da un lato è stata la solidarietà del territorio circostante a sostenere i lavoratori, dall’altro questi non si sono tirati indietro nel dire che la fabbrica è del territorio e non dei padroni, che vuole servire i bisogni del territorio e di questo si vuole prendere cura, anziché avvelenarlo per garantire profitti ai padroni.
Il quarto punto è legato al ruolo delle organizzazioni operaie nell’intero processo produttivo. Sin dall’inizio, il Piano presentato dal Collettivo di Fabbrica mette al centro gli operai tanto nel processo decisionale su cosa produrre, quanto nel monitoraggio del processo produttivo stesso. L’organizzazione capillare degli operai in fabbrica, non solo e non tanto tramite i sindacati e l’RSU, ma soprattutto attraverso il Collettivo di Fabbrica e i delegati di Raccordo, ha consentito di dare una risposta immediata ai licenziamenti avvenuti con gli operai già fuori dallo stabile e di poter organizzare in pochissimo tempo un presidio permanente che ha ripreso il controllo della fabbrica e che prosegue tutt’oggi dopo 16 mesi. Questo modello di democrazia operaia interno alla fabbrica garantisce una capacità e autonomia di intervento fondamentale da preservare e alimentare.
Infine, il quinto punto di svolta è rappresentato dalla centralità riconosciuta ai saperi operai, che in un dialogo paritario con le conoscenze accademiche hanno dato vita al PMPS. Questo segna un ribaltamento della logica per cui i soli saperi prodotti dentro l’università sono degni di essere considerati scientifici e legittimi, una logica che ha prodotto un approccio tecnocratico e “neutrale” alle questioni politiche e alle scelte produttive-industriali. Nessun tecnico può conoscere meglio dellx operaix l’ambiente della fabbrica, i cicli produttivi, i rischi esistenti e le necessità e i bisogni di chi lavora. Mettere al centro questa conoscenza, che non proviene dalle cattedre ma dall’esperienza quotidiana, apre la strada ad un ripensamento delle relazioni tra diverse forme e sistemi di conoscenza, a lungo lasciati nell’ombra a favore di un unico paradigma tecno-scientifico.
A diversi mesi dall’elaborazione del Piano, che non è mai stato preso in considerazione da nessuna azienda o istituzione lungo tutto il processo di negoziazione, il Collettivo di Fabbrica ha messo in campo una nuova possibilità da perseguire, ovvero quella della Società Operaia di Mutuo Soccorso, per tentare un processo di recupero e reindustrializzazione della fabbrica. Lo spazio – già risicato – per una delega alle istituzioni affinché intervenissero in modo risolutivo a difesa dei lavoratori, oggi è esaurito.
“Partiamo per un viaggio mai tentato, risultato di peculiarità di questa lotta ma anche di processi generali del capitalismo. Questo è uno spiraglio dove praticare l’errore e la sperimentazione, dove costruire una vicenda che sovverta completamente le modalità con cui vengono affrontate le crisi industriali e non solo” (volantino GKN 9/10/22).
Con la lucida consapevolezza dei limiti del mutualismo, il Collettivo di Fabbrica si sta muovendo in questa direzione, promettendo ancora battaglia. Per governi e aziende vi è tutto l’interesse che questa vicenda si concluda il prima possibile, con uno sgombero dei lavoratori dalla fabbrica (come minacciato la settimana scorsa dal salvatore Borgomeo), una riacquisizione dei macchinari rimasti in fabbrica da parte di GKN, un po’ di cassa integrazione e poi a casa. Non deve passare l’esempio che è possibile ribellarsi, che ecologistx e operaix possano unirsi contro le logiche di sfruttamento capitaliste, che lavoratorx possano organizzarsi in autonomia, possano scegliere cosa produrre, possano mettere i propri saperi al centro. Basterebbe un solo esempio riuscito per innescarne altri cento.
“Da questi uomini non esce un lamento, non una lacrima, sono duri, organizzati, politici. Non se ne andranno da qui facilmente. Pensano e agiscono come fratelli di lotta”. Commentava così un servizio su La7, nei primi giorni successivi ai licenziamenti e al presidio della fabbrica.
Chi lucra alle e sulle nostre spalle, ha bisogno ed è abituato a vederci deboli, divisi, scoraggiati. E ha paura della nostra forza, del nostro entusiasmo, della nostra organizzazione. Per questo dovremo continuare a lottare, a stringerci intorno alla comunità che lavoratorx GKN hanno creato. A farlo fino a che ce ne sarà, fino a che non saranno padroni e governanti a versare le lacrime che meritano di versare.
Ps.: da questo mese ai lavoratori non arriveranno gli stipendi, uno dei tanti modi per assediare questa esperienza. Potete sostenere la lotta anche con una donazione alla “Cassa di mutuo soccorso” (Iban IT 24 C 05018 02800 000017089491) Causale: mutuo soccorso
Paola Imperatore