Tra coerenza e ideologie, una strada ferrata chiamata civiltà!

ranxeroxuenneFa piacere vedere che il nostro comunicato (del collettivo anarchico Incubo Meccanico) abbia suscitato tutto questo interesse, e che contemporaneamente alla sua pubblicazione sulle pagine del numero 12/2017 di Umanità Nova (e sul numero successivo), alcuni solerti compagni abbiano ritenuto necessario attaccarlo immediatamente e tentare di screditare, assieme al comunicato, tutto il pensiero e la pratica anarchica di anti-civilizzazione. Due sono gli articoli che si son fatti carico di questo encomiabile compito: Il linguaggio come tecnica fondamentale di Enrico Voccia (pubblicato sul numero 12/2017 di Umanità Nova); Sempre su anarchismo, tecnologia e transumanesimo di Lorcon (pubblicato sul numero 13/2017). Rispondiamo alle diligenti note di questi attenti osservatori della realtà con questo nostro ulteriore articolo che speriamo possa chiarire una volta per tutte il pensiero che ci anima. È per questo, infatti, che ci siamo di nuovo rimessi davanti al computer a scrivere altre righe in linguaggio italiano, registrarle su di un supporto digitale, trascriverle con un “word processor” e dare rinnovata prova della nostra incoerenza.
A proposito di coerenza, e cominciando così dall’articolo del compagno Voccia, condividiamo perfettamente l’opinione – che vi è espressa – secondo la quale sarebbe davvero limitativo valutare la fallacia di una posizione politica per il solo fatto che chi la sostiene non si mostri integrale osservante di tutte le critiche formulate. Infatti, se così non fosse, l’intero articolo di Voccia non dovrebbe essere tenuto in alcuna considerazione. Tale articolo, infatti, è stato scritto da un anarchico che, in quanto tale, è sicuramente contro lo Stato; eppure, il suo irreprensibile estensore pare che di mestiere faccia… il professore, e cioè il Dipendente statale. Insomma, LAVORA PER LO STATO!!! Un anarchico coerente dovrebbe ben rendersi conto che lavorare per lo Stato non è proprio un mestiere anarchico. Come la mettiamo, allora, professor Voccia con questo “peccato”? Una volta, un certo Paolo (poi divenuto San Paolo) mise in bocca a un personaggio mai esistito e chiamato Gesù queste parole: “chi è senza peccato scagli la prima pietra!”. Stia fermo, professore! Non tiri la pietra! Ma siccome lo zelo e la premura gliel’ha già fatta scagliare, quel che possiamo dire è che noi non crediamo affatto alla coerenza, e dunque – diversamente da lei – non staremo qui a dire che tutte le sue dichiarate convinzioni anarchiche sono da buttare nel cesso solo perché lei prende soldi dallo Stato e, in cambio, ne svolge la funzione di istruire i giovani secondo i programmi stabiliti dal Governo.
In quanto categoria morale, solo i fedeli sono ossessionati dalla coerenza. In un mondo autoritario, impositivo e burocratico (come quello in cui tutti siamo costretti a vivere) non è sempre possibile comportarsi come si vorrebbe. Essere imprigionati non ci consente di poter fare tutto quello che vorremmo, e se qualcuno pensa di poter fare diversamente, di essere puro e sempre coerente con ciò che pensa o dichiara a livello di principio, ce lo dimostri con la pratica e non solo attraverso prediche da “peccatore” come tutti gli altri.
Venendo poi al contenuto dell’articolo, e in particolare alle considerazioni esposte sul linguaggio, vogliamo qui manifestare tutto il nostro sconcerto nel riscontrare quanto poco attento sia il livello del confronto. Infatti, senza dover dire che il linguaggio NON è una tecnica ma una manifestazione simbolica della cultura, siamo costretti a prendere atto che il compagno Voccia, nel sostenere che non sarebbe possibile criticare la stanzialità, l’agricoltura e la tecnica senza aver prima criticato il linguaggio, dimostra semplicemente di non aver mai letto un libro primitivista. Ci sono pagine e pagine di testi anarco-primitivisti che criticano radicalmente il linguaggio, e se solo si facesse lo sforzo di leggere qualcosa (invece di giudicare senza conoscere) forse tanta inutile polemica potrebbe essere superata. Anche perché – e questo lo saprà sicuramente il compagno – non sono solo gli anarco-primitivisti ad aver criticato il linguaggio o ad averne evidenziato il carattere ideologico (e cioè non neutrale!).
Sin dai tempi delle teorie di Sapir e Whorf, anche la scienza linguistica ha più volte evidenziato questo carattere del parlato, e c’è una sconfinata letteratura sull’argomento. Noi «vediamo, udiamo e abbiamo esperienze sensibili così e non altrimenti perché le abitudini linguistiche della nostra società ci predispongono a certe scelte d’interpretazione», scriveva appunto Edward Sapir. «Da un punto di vista linguistico l’uomo non nasce libero», confermava Peter Farb; che continuava: «Egli eredita un linguaggio denso di modi di dire e di arcaismi, e un poderoso apparato grammaticale; e, fatto ancora più importante, egli eredita moduli prefissati di espressione che possono impastoiare il suo pensiero. Il linguaggio diventa così, più che un mero strumento per comunicare idee, un agente che interviene nel processo di formazione delle idee». Claude Lévis-Strauss era stato ancora più esplicito: «la funzione primaria della comunicazione scritta è facilitare l’asservimento». L’antropologo Pierre Clastres lo ha persino notato sul campo: «Parola e potere intrattengono rapporti tali che desiderio dell’una si realizza nella conquista dell’altro. Principe, despota o capo di Stato, l’uomo di potere è sempre non solo l’uomo che parla, ma la sola fonte di parola legittima».
Sulla questione tecnologica abbiamo già detto quello che pensiamo nel nostro primo articolo. Se qualcuno ancora crede alla neutralità (anche) della tecnologia, e pensa di poterla indirizzare a favore della rivoluzione, si guardi meglio attorno e provi a vedere a cosa serva la tecnica oggi e a cosa sia servita ieri. Anzi, se qualcuno pensa addirittura che l’aberrante progetto transumanista libererà l’umano (invece di trasformarlo progressivamente in macchina), continui pure a coltivare le proprie illusioni; noi restiamo dalla parte della Natura: quella che la tecnica sta stuprando anche grazie alle colpevoli dimostrazioni di antropocentrismo di chi continua a credere alla tecnica e a considerarla gestibile e controllabile. Ma si sa: le illusioni, i miti, le “teologie della liberazione” sono patrimonio esplicito della civiltà. E chi non è disposto a correre fino alla fonte dei malanni del nostro tempo per guardare alle ragioni della nostra condizione di prigionia, prima o poi cade nella trappola. Le trappole alternative sono tante, e le sconclusionate teorie di Riane Eisler ne sono soltanto uno dei numerosi esempi. Giustamente inquadrate dal compagno Voccia nel calderone del movimento New Age (e quindi con tutta la vaporosa sostanza tipica di quel movimento di religione laica), le elucubrazioni di questa sociologa americana (emula di Marija Gimbutas) sono semplicemente irrilevanti al nostro confronto anarchico. Intanto perché Eisler non si occupa di paleolitico (e cioè di vita primitiva) ma di neolitico (e cioè di società agricole). E poi perché, senza entrare troppo nel dettaglio, le sue ipotesi sul supposto egualitarismo delle cosiddette società gilaniche, sono semplicemente contraddittorie. Essa, infatti, ritiene che esistano nella storia SUCCESSIVA all’avvento dell’agricoltura due modelli di società: quella fondata sul principio del dominio e quella mutuale. Peccato che, oltre a non dire nulla su come nascerebbero le società del dominio, quando parla di quelle mutuali prende come riferimento la società minoica (così chiamata in onore del RE mitologico Minosse) la quale, stanziatasi sull’Isola di Creta e sviluppatasi soprattutto in età del bronzo (tra il 2500 e il 1500 a.C.), era appunto una società agricola, e per tanto già strutturata gerarchicamente, autoritaria, religiosa, aggressiva e improntata al dominio militare e commerciale, tanto che di essa si parla in termini di “talassocrazia minoica” (e cioè appunto del dominio militare e commerciale da essa esercitato nel Mare Egeo e sui territori in esso contenuti e che vi si affacciano). Nella civiltà minoica esisteva una rigida divisione di classe (dimostrata dall’esistenza di ville e palazzi – che erano insieme centri di governo, uffici amministrativi e santuari), si faceva la guerra (la costruzione di siti fortificati lo dimostra, così come la produzione di armi da guerra e di scudi), si poteva essere schiavizzati, si subivano tutte le violenze tipiche di una società civilizzata, dalla giustizia burocratica alla violenza portata dalla legge del mercato (scarsità/povertà, usura, speculazione); inoltre, si praticavano sport sanguinosi e iniziatici (come in tante società neolitiche) e, dulcis in fundo, si allestivano persino cerimonie rituali che prevedevano l’uccisione di esseri umani. Dunque una società terribile (come lo sono tutte quella successive alla comparsa dell’agricoltura), nella quale dominava il terrore, l’irreggimentazione culturale a tutti i livelli, la discriminazione di classe e la violenza.
Se sono questi gli esempi fulgidi di comunità mutuali, francamente a noi non avrebbe fatto molto piacere viverci. Anzi, se sono quelle le società “egualitarie” del passato che dovremmo tenere a mo’ di punto di riferimento e imitare, ne dovremmo dedurre che non c’è poi tanto lavoro da fare oggi, perché quelle società già esistono, e sono le attuali società democratiche occidentali: quelle che blaterano di uguaglianza millantando un’artefatta pacificazione sociale mantenuta con le armi e il controllo sociale, e che si basano sulla formale proclamazione di diritti, sulla repressione del dissenso e sulle pari opportunità.
Naturalmente, nell’osservare tutto questo, riusciamo perfettamente a comprendere che nell’articolo di Voccia, al di là delle posizioni non condivisibili che abbiamo evidenziato, traspare quantomeno un tentativo di interlocuzione. Che è quello che invece manca del tutto nelle “osservazioni” di Lorcon e dell’articolo a sua firma: Sempre su anarchismo, tecnologia e transumanesimo (UN n°13/2017).
Questo compagno, le cui gratuite invettive contro il primitivismo ci avevano costretto alla replica poi pubblicata sul numero 12/2017 di UN (e cioè il nostro comunicato così bersagliato oggi), non ha alcuna intenzione di cambiar registro, e nell’articolo in questione ribadisce, senza alcun tentativo di dialogare, tutte le sue furiose accuse. I temi a lui cari, triti e ritriti, sono purtroppo a noi ben noti, perché li sentiamo da anni provenire da tutti: comunisti, leghisti, frequentatori di osterie e terrorizzati cittadini del Mondo Nuovo che anelano a una non ben identificata tecno-liberazione da parte del dio di oggi (la tecno-scienza).
È curioso, in questo senso, vedere che una persona che si dichiara critica della Rivoluzione Industriale non sia quantomeno cauta verso la tecnologia. Non ci vuole molto a cogliere il fatto che la Rivoluzione Industriale è stata il campo di sperimentazione privilegiato e – insieme – l’ambito di attuazione più avanzato per l’affermazione della tecnica. Il luddismo, con la fortissima resistenza popolare che lo animò, ne è stata la conferma critica. Infatti, il principio di “conservazione dell’energia”, e cioè la scoperta che l’energia sarebbe indistruttibile e capace di essere trasferita da un contesto all’altro (che è alla base anche del principio del funzionamento del motore a vapore) generò un ottimismo eccezionale nelle classi dominanti di allora, perché spiegava che non ci sono apparenti limiti all’efficienza che la tecnologia può raggiungere. La mitizzazione della tecnica nasce anche da questi presupposti ideologici, e da queste sperimentazioni sociali di cui la fabbrica è stato il primo laboratorio. Associata al potere assoluto di “verità” attribuito sin da quel tempo alla matematica (ed era stato Galilei ad affermare il principio della matematicizzazione della scienza), l’idea che la tecnologia possa tutto, ivi compreso consegnare a un’umanità limitata, soggetta all’invecchiamento e poco efficiente, il Santo Graal della felicità (naturalmente scientifica e monitorabile in qualsiasi momento), descrive il destino di chi vi ha creduto allora e di chi, devoto positivista ancora oggi (in pieno ed evidente disastro) vi crede ancora; e, con vero spirito integralista, combatte dunque la sua crociata in favore di un tecno-mondo che ci libererà dalla diseguaglianza, dall’infelicità, dalla malattia, dalla morte… Che ci libererà insomma da tutto tranne che dal capitalismo, visto che è proprio il capitalismo a sostenere questo “progetto” e a presiedere a questa illusione. Ma i missionari laici di oggi, armati di computer, vaccini, respiratori artificiali al posto della Bibbia, hanno un’illusione in più: quella di convertire il capitalismo, di prenderne solo la parte “sana”, di metterlo a disposizione di tutti; di renderlo insomma buono. Come i democratici non sono contro il governo, ma lo vogliono buono, anche Lorcon non è contro la tecnologia, la vuole buona. Chissà se vorrà anche una guerra buona, un patriarcato buono, una buona scuola e un Potere buono… Perché, in questo caso, verrebbe da citare un artista anarchico di cui si è distrattamente dimenticato di far dotta menzione: Fabrizio De Andrè. Lui parlava così del Potere buono e di chi vi crede: “bisogna farne di strada… per essere così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni” …
Come se bastasse trasformare il potere monarchico in democratico per combattere il potere, i sostenitori della tecnologia (come il compagno Lorcon) non si curano di capire cosa sia il capitalismo: lo vogliono solo migliore, a favore dell’Umanità (alla faccia dell’antropocentrismo!). Nella loro visione ideologica il capitalismo c’è, punto e basta! Eppure il capitalismo non cade dal cielo. Come ha spiegato bene John Zerzan, il capitalismo è solo l’ultima fase della civilizzazione. Anzi, forse si dovrebbe dire la penultima, visto che l’ultima è proprio il tecno-capitalismo: quello che si nutre di eugenismo, cibernetica, transumanesimo, modificazione genetica della vita, ingegnerizzazione della biologia e di tutto ciò che serve oggi alla Megamacchina per affermarsi sulla Natura e sulla nostra natura.
Come ha spiegato bene Manicardi, non esiste una tecnologia buona, un’economia buona, una guerra buona, un patriarcato buono, una buona scuola, eccetera. Chi ancora oggi prega agli altari di questi miti e si nutre di queste illusioni (nonostante il disastro che dilaga oggi ovunque), è semplicemente un illuso. E valga, per tutti, il monito che Errico Malatesta lanciò a Francesco Saverio Merlino (ex anarchico convertitosi alla causa socialista del parlamentarismo) che credeva nella possibilità di entrare in parlamento per trasformare il governo in un governo socialista. Entrando in parlamento, gli replicava Malatesta, non sarà il governo a diventare socialista, ma voi socialisti a diventare strenui difensori del governo. La storia socialista del Novecento ha dimostrato chiaramente quanto Malatesta avesse ragione. Purtroppo, però, nemmeno questo servirà ai tanti “Merlino” di oggi che vogliono rendere la tecnologia buona, l’economia buona, la scienza buona, eccetera.
D’altra parte, la visione del mondo che esce dall’articolo di Lorcon è ancora una volta superficiale, banale e banalizzante, infarcita di luoghi comuni e contraddittoria. Si pensi solo alla critica che ci viene mossa di essere specisti, e che è portata da chi, pur definendosi antispecista, si preoccupa solamente della libertà degli umani, dei diritti degli umani, della felicità degli umani (non ci risulta infatti che la tecnologia serva a leoni, gazzelle, oceani e baobab per essere più felici…). E questo senza considerare che, chi porta a noi quest’accusa di specismo, concepisce poi i muli come oggetti naturalmente destinati alla macina (!?).
Ciò chiarisce bene le velleità critico-analitiche di Lorcon. Così come lo chiarisce la sua esplicitata idea di considerare la vita non civilizzata (e cioè libera e selvatica) come una “vita di merda”. Qui siamo veramente al culmine della manifestazione di fastidio che si nasconde dietro alle parole irose di Lorcon. La sua rabbia verso la vita selvatica è infatti inversamente proporzionale al suo amore per provette, cemento e computer. Pensando a questa affermazione agghiacciante, vengono in mente le più avanzate punte demagogiche che la propaganda di regime ha elaborato per far attecchire la domesticazione fin nei recessi più profondi della coscienza di tutti. In particolare pensiamo alla funzione pedagogica di quei recenti film di animazione come Madagascar, in cui degli animali selvatici, fuggiti dallo zoo di New York in cui erano stati rinchiusi (lo zoo!!!), riscoprono invece le comodità della prigionia saggiando le “difficoltà” della vita fuori dalle gabbie (e cioè di quella che Lorcon chiama appunto “vita di merda”). “Contro la vita nella jungla, me ne torno a New York a nuoto” viene fatto dire a un leone. E ancora, andiamo a memoria: “Quello che nella jungla si chiama sopravvivenza, nello zoo si chiama esercizio ginnico”; “quello che nella jungla si chiama fame, allo zoo si chiama cena tra amici”; e via dicendo… Poveri animali! Poveri bambini che sono sottoposti a questi devastanti lavaggi di cervello! E poveri adulti che vi sono stati sottoposti a suo tempo e che, ancora oggi, non riescono a liberarsi di quei condizionamenti!!! È veramente disarmante sentire argomentazioni in difesa della cattività. E leggerle poi su di un giornale anarchico da un soggetto che si definisce tale, rende tutto ancor più triste.
Eppure, nel mondo postmoderno, c’è anche questo. C’è anche chi si fa promotore esplicito di tali difese del Sistema e, nel sostenere tutta questa bella zuppa di convenzionalità e conformismi, rivendica persino una profonda competenza intellettuale da lettore di libri anarchici…
Sul punto, poi, noi abbiamo un’opinione molto particolare. Pensiamo che solo i cristiani (e i comunisti) leggano solo libri cristiani (o comunisti). Tuttavia, qui la cosa è ancor più paradossale, perché non soltanto Lorcon non legge libri, li apre solamente (come ha confessato lui stesso in quello che Freud avrebbe definito un classico esempio di lapsus calami), ma non legge nemmeno libri anarchici visto che ha dimostrato in maniera egregia di non aver mai letto un libro primitivista. Si dirà che non li ha letti perché non li considera libri anarchici; giusta osservazione! Resta il fatto che la critica dovrebbe sorgere a posteriori di una constatazione non a priori, perché altrimenti non è una critica ma un PREGIUDIZIO.
In ogni caso, Lorcon, nelle sue invettive furiose contro il primitivismo, dimostra proprio di non aver mai letto nemmeno tanti dei libri di quegli anarchici che ha citato, perché se lo avesse fatto saprebbe che:

  • Reclus ha scritto in favore di Madre Terra;
  • Kropotkin ne Il mutuo appoggio tra i selvaggi ha ammirato la vita salubre e vigorosa dei cacciatori-raccoglitori;
  • Bookchin, pur essendo un pacifico e acerrimo difensore della civilizzazione, ha più volte dovuto riconoscere e ammettere che, nella storia degli umani, le uniche ipotesi di relazioni non gerarchiche vissute all’interno di comunità sono state quelle dei cacciatori-raccoglitori primitivi (così in: L’ecologia della libertà; Per una società ecologica; ecc.). Di più, nella sua prima opera, Our synthetic environment, egli ha persino compreso che fu solo con il passaggio da cacciatore-raccoglitore a coltivatore che l’essere umano cominciò ad alterare drasticamente il suolo naturale…
  • Bakunin ha scritto parole chiarissime contro il governo della scienza;
  • Malatesta, poi, ci hai spiegato molto bene che l’essenza dell’essere anarchici sta nel fornire una lettura d’insieme dei fatti della vita e un’analisi politica in anticipo sui tempi, che miri ad evitare il tracollo e il dramma. Quando il fondatore di Umanità Nova criticava il suffragio universale, ad esempio, lo faceva alla fine dell’800, e cioè in tempi in cui ancora il suffragio non c’era. E lo criticava perché aveva compreso, in anticipo su tutti gli altri, che il voto è “il diritto di rinunciare ai propri diritti”, e che appena i governi fossero stati certi che la gente avrebbe accettato di nominare da sola i propri carcerieri, si sarebbe concesso a tutti il diritto di votare.

Non basta definirsi anarchici per non essere dei santi inquisitori. Quello che il Sant’Uffizio fece a Galileo Galilei, condannandolo per i suoi pensieri non ortodossi sul movimento dei pianeti, oggi qualche anarchista intransigente, che si crede appunto a capo della Santa Inquisizione “anti-classista”, lo fa coi primitivisti, attaccandone il pensiero senza nemmeno conoscerlo. Del resto, le osservazioni mosse contro di noi, e che uniscono chi le ha portate alle identiche osservazioni che provengono da tutto il pensiero politico dominante (da Renzi a Salvini), testimoniano soltanto che i nostri critici non la vedono semplicemente in maniera diversa dai primitivisti (che non conoscono), ma li hanno in odio.
La forza della domesticazione sta proprio nella capacità di rendere illegittima la critica alla civilizzazione stessa, di screditarla. Chiunque s’intrattenga in simili attività (esattamente come fanno tutti gli altri, da Renzi a Salvini) fa solo il gioco di questa “vita di merda”, e cioè di quella che, tra sballi e antidepressivi, conduciamo oggi alla dipendenza di macchine, laboratori, specialisti e che sta portando tutto e tutti alla distruzione. I luoghi comuni e la mediocrità con la quale è stato attaccato il nostro comunicato originario (scritto solo per rispondere alle accuse di Lorcon), dimostra che l’osso duro della civilizzazione/domesticazione agisce prima di tutto dentro di noi, trasformandoci – spesso inconsapevolmente – in acerrimi sostenitori del mondo che ci sta distruggendo. La retorica sulla medicina che guarisce le malattie, sulla scienza buona che libera la vita, sulla tecnologia salvifica che rende gli umani felici è la stessa che usano da sempre i governi, le multinazionali, le curie e i loro fedeli servitori per impedire ad ognuno di noi di prendere consapevolezza della nostra condizione di prigionieri. L’idea che gli OGM, le nanotecnologie, le scienze convergenti, la medicina renderanno il mondo migliore è talmente ingenua da essere disarmante.
Se, come anarchici, abbiamo persino perduto la capacità di immaginare un mondo diverso (e non soltanto migliore come fanno anche i grillini), vuol dire proprio che la civilizzazione è arrivata al suo punto estremo.
Auguriamoci di essere in errore.
 

Collettivo Anarchico Incubo Meccanico

(incubomeccanico@gmail.com)

Qui la risposta di Lorcon

Qui la risposta di Enrico Voccia

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