La cosa più penosa, in giorni come questi, è di trovare nei movimenti di lotta facce incantate dal ritornello reazionario del sovranismo.
Il 25 marzo la piattaforma Eurostop sarà in piazza per chiedere la rottura dell’Unione Europea e l’uscita dall’euro.
Per fare un esempio, il fondo per l’integrazione salariale nelle aree di crisi complessa è stato ridotto, nel 2017, a 117 milioni di euro, da 216 che era nel 2016. Che la consistenza del fondo sia espressa in euro, in lire o in buoni-lavoro, la riduzione resta. Il cambio della moneta sarà solo un’altra occasione, per gli speculatori di sempre, per fare lauti guadagni alle spalle degli sfruttati.
E pensare che Giorgio Cremaschi, uno degli esponenti più conosciuti della piattaforma, un po’ questi argomenti li ha masticati; si vede che la speranza di raggranellare qualche voto fa premio sulla chiarezza delle analisi e degli obiettivi.
Le forze reazionarie sono a proprio agio con i temi del sovranismo: l’immigrazione, le oligarchie finanziarie, il grande complotto internazionale che penalizza il popolo d’Italia stanno alla base della richiesta di nuove elezioni, richiesta che unisce il Movimento 5 Stelle al Movimento sovranista di Alemanno e Storace, passando per Italia Sovrana di Meloni e Salvini.
La contrapposizione fra gli interessi del popolo e quelli delle lobbies è il motivo conduttore della politica sovranista: un riassunto di quello che è successo negli ultimi mesi e una riflessione delle implicazioni delle elezioni anticipate ci aiuteranno a capire quanto le forze politiche reazionarie abbiano a cuore le esigenze degli sfruttati e quanto al contrario siano prone agli interessi delle classi privilegiate.
All’indomani del referendum, il presidente del consiglio Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni, ma il presidente della repubblica Mattarella ha respinto le dimissioni, per fare approvare a tamburo battente la legge di stabilità. Anche quest’anno il dibattito parlamentare sulle scelte di politica economica per i prossimi tre anni è stato tarpato da un emendamento e dalla fiducia imposta dal governo Renzi, in attesa di dimettersi.
In pratica, il malcontento sociale, che si è espresso nella sconfitta del SI’ al referendum, nell’alto numero di astensioni e nella sfiducia crescente, non ha trovato risposta nell’opposizione parlamentare, un’opposizione che si è limitata al voto contrario e non ha chiamato gli oppositori del sì alla protesta in piazza contro la forzatura della fiducia, contro le politiche economiche ispirate dall’Unione Europea, rinunciando così all’unica arma efficace che può fermare l’arroganza del governo, la protesta popolare.
Oggi la sceneggiata si ripete: si lancia l’appello alle elezioni, alle elezioni che non hanno mai cambiato niente, ma che a primavera tornerebbero utili a chi ha paura del referendum sui voucher e sugli appalti. Sul tema del referendum si scontrano varie posizioni al’interno della borghesia, si scontrano gli interessi dei grandi gruppi finanziari e industriali con quelli delle piccole e medie aziende, fra le imprese manifatturiere e quelle di fornitura di servizi, più o meno interessate ad una regolazione del meccanismo dei voucher. A questo si aggiunge una contrapposizione fra gli interessi dei capitalisti e quelli del ceto politico; all’interno di quest’ultimo sussistono diverse posizioni: da chi intende riacquistare credibilità davanti alle masse con una regolazione dei voucher che lasci in vita il meccanismo, a chi intende usare il referendum per provare a illudere ancora gli sfruttati che il voto, il suffragio universale servano a qualcosa. In realtà, i tempi e i modi dello sfruttamento capitalistico sono dettati dalla dinamica del saggio di profitto, il ceto politico , come quello accademico ha l’unica funzione di organizzare il consenso attorno ad esso. All’interno di questo schieramento, la posizione sovranista che richiede elezioni subito e con qualunque mezzo, e quindi un rinvio a tempo indeterminato del referendum, risponde agli interessi della frazione più debole della classe dominante, quella che riesce a costruire i propri margini di profitto solo sullo sfruttamento spinto all’estremo della forza lavoro.
Al di là degli slogan, la destra reazionaria, sostenuta dai gruppi tradizionalisti cattolici, dai circoli militari, da settori della proprietà fondiaria ed immobiliare, da settori industriali e finanziari, si candida a rappresentare gli interessi dell’intera classe dominante italiana, lasciando passare sottobanco le misure predisposte dall’alta finanza, e facendo gli interessi della Confindustria.
Lo slogan “Italia sovrana” serve alla destra reazionaria per conquistare favori tra i ceti popolari; le forze politiche che la compongono, in realtà, prendono parte a tutte le misure antipopolari.
Queste forze reazionarie sventolano la sacca del barbone come fosse la loro bandiera, cercando di radunare le masse dietro quelle parole d’ordine; ma basta un po’ di attenzione, ed è possibile scoprire sotto la maschera del poveraccio le scarpe di Prada e i lugubri simboli del ventennio fascista.
Tiziano Antonelli