Un tempo gli uomini (e le donne) dell’establishment ironizzavano sulle manifestazioni oceaniche delle opposizioni politiche e sociali: dicevano la famosa frase derisoria “piazze piene, urne vuote”. Ora possiamo dire che questa affermazione è stata ampiamente superata: infatti possiamo finalmente vedere che alle urne vuote si sono affiancate anche piazze quasi vuote.
Prova ulteriore di questo fenomeno già in atto da qualche anno è stata la recente iniziativa lanciata dal cartello Eurostop per il 16 gennaio scorso: le manifestazioni contro la guerra che si sono svolte a Milano e a Roma.
Il cartello succitato è promosso in Italia dalla Rete dei comunisti e dal periodico Contropiano, insieme alla loro emanazione sindacale, cioè USB. A questo nucleo organizzativo, chiaramente ML, si sono aggiunti quasi tutti i partitini comunisti residui. Scopo del cartello è la costruzione di una sorta di federazione geopolitica mediterranea da contrapporre agli orrendi sfruttatori centro- e nordeuropei, che spremono il felice sud grazie alla perfida invenzione della moneta comune.
L’uscita di piazza del 16 gennaio è stata escogitata con nemmeno due mesi di anticipo, allo scopo di ricordare in chiave protestataria lo scoppio della prima guerra del Golfo, iniziata appunto con i bombardamenti su Baghdad tra la notte del 16 e quella del 17 gennaio di venticinque anni fa.
L’occasione era ghiotta, ma è stata colta da meno di un migliaio di persone a Milano e da poco più di un migliaio di manifestanti a Roma: per piazze convocate a livello nazionale si tratta di un insuccesso evidente.
Ma forse gli organizzatori degli eventi del 16 gennaio non considerano un insuccesso l’operazione da essi programmata, quasi di nascosto, nei due mesi precedenti. Questa loro asserzione ottimista potrebbe derivare dal fatto che Eurostop si intende porre come rete generalista, con una pluralità di scopi politici e quindi non limitata alle azioni di contrasto alle guerre e alla militarizzazione delle vite. In questo senso anche gli eventi del 16 possono essere visti dai loro creatori come utile passo verso la strutturazione di una rete che intende essere protagonista sulla scena affollata dai movimenti populisti e antieuropeisti, occupando una posizione di sinistra marx-leninista che in questo momento risulta piuttosto sguarnita. A questo riguardo si può ben affermare che il fine del contrasto delle guerre dell’Italia e della NATO è diventato uno tra i mezzi utili per raggiungere altri scopi. La stessa cosa si può affermare se si considera che uno dei principali soggetti che hanno sostenuto le iniziative del 16 gennaio è stato il sindacato USB, il quale, ribaltando in parte le idee programmatiche sostenute al momento della sua nascita dalla scissione di CUB, tende a porsi come soggetto di orientamento politico e sociale più generale, non limitato quindi alle azioni nel mondo del lavoro (nel quale, tra l’altro, va sempre più istituzionalizzandosi, dopo la firma dell’accordo interconfederale del gennaio 2014). Il comportamento di USB è certo condizionato dalla piccola e ben strutturata lobby che lo dirige, cioè dalla Rete dei comunisti, che, di tanto in tanto, esce fuori dal nascondiglio sindacale in cui si è dissimulata diversi anni fa (già in RdB), per adoperare le sue risorse fuori dal campo strettamente sindacale.
Torniamo però al mondo reale, cioè quello in cui le iniziative del 16 gennaio hanno in sostanza fallito il loro scopo dichiarato, che era quello di portare in piazza una gran massa di persone. Quali possono essere le cause principali di questo scarso successo? Proviamo a fare un breve elenco ragionato di ipotesi tutte da verificare.
Gli organizzatori non hanno ben compreso la complessità e la rissosità interna del piccolo mondo del movimento italiano contro la guerra. Tavola della Pace, Rete della Pace, Rete Nowar (che non è proprio una rete), Rete Italiana Disarmo, Rete Nowar NoNATO (quella del fallimento della manifestazione napoletana contro Trident), alcune reti in via di costituzione che in parte si sovrappongono alle precedenti (Forum contro la guerra, Rete contro la guerra, Cantiere di Pace), reti informali antimilitariste che si costituiscono e si sciolgono rapidamente, grandi associazioni come Assopace che partecipano ad alcune reti ma che conservano una loro autonomia di azione, associazioni di tipo confessionale come Pax Christi che gestiscono la loro presenza su più tavoli, sindacati di Stato che fanno gli equilibristi tra tutela dei posti di lavoro nella fabbriche di armi e dichiarazioni di principio a favore della pace nel mondo e dell’universale “volemose bene”, sindacati di base e alternativi che riescono a scontrarsi tra loro anche riguardo alla guerra e alla militarizzazione della società: una situazione complessa e ingestibile con una semplice chiamata unilaterale, poiché il ragionamento dei potenziali partecipanti si riduce spesso alla selezione degli eventi in base all’identificazione degli organizzatori.
Vi sono differenze oggettive tra i vari gruppi e movimenti contro la guerra. E queste differenze oggettive rendono difficile l’incontro e l’agire di concerto. Infatti ci sono nonviolenti (scritto tutto attaccato) e sostenitori delle lotte armate di liberazione, vi sono terzisti e schierati da una parte o dall’altra; tra gli schierati ci sono i filo Assad e i putiniani (eroi antiamerikani e antimperialisti, poiché, a loro dire, ogni guerra è scatenata da amerikani e NATO), ci sono gli europeisti fascisti ma anche gli europeisti democratico-federalisti che sognano un’iniziativa politico-diplomatico europea che porterebbe ad una nuova età dell’oro (non si sa come, visti i precedenti colonialisti della dolce e civilissima Europa), ci sono i filo curdi antagonisti e libertari (affascinati dalla svolta comunalista di Ocalan e dalle realtà del Rojava), ci sono i cattolici governisti in ogni caso (come la Comunità di Sant’Egidio, impegnata in complesse trattative diplomatiche, in affiancamento alla Santa Sede) e i cattolici “antagonisti” in stile Zanotelli (che predicano l’unità tra tutte le forze pacifiste: quell’unità che non riescono a conseguire neanche all’interno della loro Chiesa, dove, per fare solo un esempio, il corpo dei cappellani militari ha un suo significato e un suo rilievo), ci sono gli antimilitaristi classici (che però hanno uno scarso successo tra le masse) e gli antimilitaristi-antagonisti che concentrano la loro attenzione sulla militarizzazione della nostra società (ancora più incompresi dei precedenti). C’è di tutto e di più. E, quando le cose non vanno troppo bene, la frammentazione tende ad accentuarsi: lo si vede osservando le decine di partiti e partitini comunisti ML, che tendono a moltiplicarsi quando subiscono sconfitte.
Vi sono anche notevoli problemi pratici. Le grandi marce che si sono svolte in occasione della seconda guerra del Golfo sono state sostenute dalla struttura organizzativa dei sindacati confederali, specie di CGIL, che metteva a disposizione mezzi di trasporto a prezzo popolare per raggiungere Roma o altre piazze. Persino il partito papà del PD partecipava abbastanza in forze a queste iniziative contro la guerra, per lo più in odio al governo del perfido Berluska, e portava persone e mezzi. Ora le cose sono molto diverse. Persino CGIL ha mollato quasi la presa e resta in standby, occupando una posizione ma agendo poco e male. E del resto gli interessi attuali di queste organizzazioni di massa della sinistra socialdemocratica e neoliberale sono altri e non hanno a che fare con il contrasto di guerre e di militarizzazione.
Per quanto concerne la partecipazione popolare spontanea a eventi da chiunque organizzati, bisogna constatare che questo è il momento peggiore. L’irruzione di Daesh sulla scena mondiale e il verificarsi di azioni terroristiche devastanti anche sul territorio europeo hanno portato la maggior parte delle persone comuni (di solito impolitiche) ad aderire alle indicazioni dei loro governi: prima di tutto bisogna annientare i terroristi islamisti, con i quali non si può certo discutere. Si tratta del nemico assoluto: quello davvero cattivo e considerato tale praticamente da tutti. Il nemico perfetto, che non ha diritto di vivere e di agire. Il nemico da annientare, anche con azioni di guerra sul suo territorio. La guerra quindi ritorna a essere santa e giusta secondo la teoria definita in campo cristiano da più di un millennio e formalizzata dalla tradizione scolastica.
Le guerre attuali sono frammentate nel tempo: non si capisce più quando iniziano e quando finiscono. In Siria, per esempio, si è quasi capito quando è cominciata la guerra civile. Ma l’intervento delle potenze esterne quando è cominciato davvero? Chi sta bombardando dall’alto in questo momento? In parte si sa, ma non è del tutto chiaro. E quali sono le truppe presenti sul terreno? Per non parlare della Libia: le forze speciali inglesi, statunitensi, francesi sono già presenti tra città, deserti e giacimenti petroliferi; si dice che ci siano anche gli incursori della marina italiana; ma quando è cominciata la guerra di Libia? In tali frangenti, come si fa a organizzare una grande manifestazione di massa come quella diffusa sui territori di mezzo mondo allo scoppio evidente della seconda guerra del Golfo?
In questa situazione complessa e in parte inedita si moltiplicano le difficoltà di azione per chi vuole contrastare la guerra esterna e la guerra interna che viene condotta nei nostri territori contro i poveri e contro i ribelli. La necessità di organizzarsi si scontra con l’incapacità di farlo e con la scarsità delle risorse a disposizione degli antimilitaristi, i quali, tra l’altro, trovano scarso spazio nei media tradizionali e faticano a emergere dal rumore di fondo di un web sempre più caotico e, a volte, condizionato da centri di potere ben definiti. Non resta quindi altro da fare che rimboccarsi le maniche e ricercare nuovi mezzi che ci aiutino a percorrere nuove strade. Non c’è alternativa, se non quella di rassegnarsi alla lotta tra potenze (e tra i loro tifosi) e all’affaccendarsi di “pacifisti” furbacchioni che usano questo tema, insieme ad altri, come semplice mezzo per il consolidamento della propria organizzazione politica.
Dom Argiropulo di Zab.