Le tradizioni, vecchie o nuove che siano, vanno rispettate. Maggio, per la Chiesa cattolica, è il mese mariano, quindi, in ogni dove, si svolgono cerimonie, rosari, feste, processioni. Maggio, per le scuole italiane, quelle primarie (le vecchie elementari) e quelle secondarie di secondo grado (le cosiddette superiori), è il mese in cui si svolgono le prove Invalsi. Non ci dilunghiamo a spiegare che cosa esse siano e quanto siano discusse e criticate, anche a livello accademico e scientificissimo. Ci limitiamo a ricordare che queste prove dovrebbero servire ad accertare le competenze degli allievi di alcune classi riguardo alla lingua italiana ed alla matematica. Si tratta di prove che non vengono valutate in modo tradizionale (nessun voto sul registro per nessun allievo), ma che servirebbero, a dire dei loro creatori e sostenitori, per valutare le scuole ed intervenire di conseguenza, in seguito, per migliorarne le performances.
In maggio c’è anche la tradizione che alcuni sindacati di base della scuola indicano scioperi per i giorni di effettuazione di tali prove. Anche quest’anno la tradizione è stata rispettata: l’indizione c’è stata (da parte di Cobas e Unicobas), ma non è andata al solito modo. Infatti, lo sciopero del 3 maggio nelle scuole elementari si è svolto (con successo scarsino, per la verità), mentre quello del 9 maggio (quello che si sarebbe dovuto svolgere per stroncare nella ribellione felice lo svolgimento delle prove riguardanti la seconda classe delle scuole superiori) è stato revocato.
Rimandiamo i più curiosi studiosi del diritto sindacale contemporaneo alla compulsione di articoli ed interviste ai protagonisti della vicenda infelice. Se poi uno è particolarmente pignolo, e si picca di atteggiarsi a filologo, può anche andare a spulciare gli atti ufficiali con cui il MIUR (ministero delle scuole e delle università, nonché della ricerca) ci inonda, anche in rete, in nome di una trasparenza che ci sovraccarica occhi e menti. Qui ci limitiamo ad alcune considerazioni, che emergono dalla vita vissuta nella scuola (da ormai tanti anni da aver celebrato con essa le nozze d’argento) e da una passata esperienza sindacale (di base) che qualche beneficio di conoscenza ci ha di sicuro arrecato.
Punto primo: chi proclama deve avvisare e la commissione di garanzia deve rispondere. Ma in questo caso (a dire dei dirigenti di Cobas e Unicobas), essa commissione cincischiò, in modo da favorire un sindacato, l’USAE, che proclamò nel frattempo uno sciopero generale del pubblico impiego, coinvolgente anche la scuola, per il 12 maggio: ma il sindacato della scuola della confederazione succitata sarebbe microscopico, e il tutto apparirebbe come una manfrina creata ad arte per ostacolare la marcia quasi-inarrestabile dei ribelli contro gli Invalsi. Infatti, per il principio della rarefazione, se c’è uno sciopero il 12 non si può fare uno sciopero anche il 9 (anche se non sempre tale principio, nel passato, fu applicato rigorosamente).
Punto secondo: ci sarebbe da chiedersi come mai esperti ed attempati dirigenti sindacali (di Cobas ed Unicobas) possano essere vittima di trappoline siffatte; ma noi diamo per buone le loro tesi e scegliamo di segnalare alla riprovazione pubblica il nemico principale, cioè il governo infame e le sue commissioni tecniche al servizio di orridi scopi politici di repressione delle lotte giuste dei lavoratori.
Punto terzo: dal parere contrario proveniente dalla commissione di garanzia è seguita la revoca dello sciopero del 9 maggio da parte delle stesse organizzazioni che lo avevano indetto; sicuramente prendere multe in caso di non revoca sarebbe stata cosa sgradevole (specie per casse di esigua consistenza), e però tale dietrofront è leggermente dissonante con l’immagine di orda ribelle e trionfante che a volte tali organizzazioni pretenderebbero per sé, specie a fronte di altre organizzazioni sindacali di base della scuola sbeffeggiate ed accusate di essere davvero esigue, esse sì, non le coorti cobasiane di varia osservanza.
Punto quarto: ove lo sciopero ebbe a celebrarsi per distogliere i docenti dall’esecuzione servile degli Invalsi, cioè nelle scuole elementari, il 3 maggio, non si ebbe un gran risultato in quanto ad adesioni, salvo che in alcuni casi particolari, in alcune scuole di alcuni territori, magari anche con un’interpretazione estensiva del cosiddetto sciopero di mansione indetto da un altro sindacato di base che ha per sigla SGB.
Punto quinto: che in effetti, nella scolastica sindacale delle scuole italiche, si inventò anche questo espediente, giusto per non affliggere il lavoratore medio con la perdita dell’intero salario giornaliero; lo sciopero di mansione, in questo anno che stiamo vivendo, prevedeva lo sciopero di un’ora in occasione della correzione degli elaborati dei test Invalsi. Ora, siamo sinceri ed imparziali come se fossimo ispettori tecnici delle Scuole Pubbliche della Terza Luna di Saturno, come potrebbe un siffatto sciopero incartare davvero svolgimento e successiva correzione e successivo inserimento dati nel sistema degli Invalsi? Mistero. Eppure ci fu. E qualcuno ne approfittò, in modo da sfogare il suo istinto ribelle.
Punto sesto: l’orrido comportamento dei sindacati di Stato presenti nella scuola pubblica (CGIL, CISL, UIL, SNALS, GILDA) è noto a tutti; il loro cogestire perennemente i destini del sistema di istruzione (con la parziale e sporadica eccezione di GILDA, che però non la salva, come non salverebbe dall’Inferno la sua omonima rossochiomata il fatto di andare a seguire una messa una volta ogni tre anni…) è noto: se davvero volessero fare conflitto, se davvero sostenessero le ragioni dei loro iscritti e non solo quelle dei loro apparati, quale occasione migliore per dichiarare uno sciopero ci sarebbe, se non proprio la concomitanza con lo svolgimento degli spregevoli test Invalsi (che quasi tutti i docenti odiano, ma che, come fossero un drago invincibile, nessuno osa contrastare, restando in attesa di un San Giorgio davvero valente che possa operare al riguardo)? Ed Essi, cgilcisluilsnalsgilda, perché non lo proclamano? Perché non si fanno San Giorgio e salvano dall’abisso della testificazione meccanica i poveri docenti afflitti e derelitti? Ma perché Essi, cgilcisluilsnalsgilda, sono Moltitudine ma sono malvagi e compromessi con il Cattivo Demiurgo che regge il Governo: lo sappiamo, e quindi che cosa possiamo aspettarci da Essi se non inganni e miserie?
Punto settimo: ed allora perché, alcuni ancora se lo chiedono, perché mai i sindacati alternativi (o di base o come meglio vogliono farsi chiamare) non si danno una mossa per cercare di sfuggire alla loro microdimensione e sollevarsi dalla condizione quasi permanente (salvo rarissime eccezioni come il glorioso 2000 contro il perfido ministro Berlinguer) di debolezza commovente ed inefficiente? Ci vuol davvero tanto a trovare la quadra di una unificazione programmatica e, in un futuro non troppo lontano (ad anticipare almeno la prossima era geologica), addirittura organizzativa?
Punto ottavo: perché un sindacato è una cosa proprio sindacale, cari i miei dirigenti sindacali dei sindacati alternativi (o di base, se preferite); ed un’organizzazione sindacale fa cose sindacali, giorno per giorno, magari umili, ma le deve fare; e se non fa cose sindacali, umili ed ogni giorno, essa organizzazione non è un sindacato, ma un’altra cosa: un club di intellettuali più o meno spostati, una congrega al servizio di un capo carismatico, un espediente per alcuni (pochissimi) per non tornare alle fatiche dell’aula per anni ed anni, un modo per partecipare a riunioni pensose tra leader di movimenti ribelli che rimandano sine die il momento decisivo della ribellione definitiva, eccetera eccetera.
Punto nono: infatti un sindacato che non raggiunge una sua dimensione organizzativa adeguata non può fare davvero il sindacato; non lo può fare né nel modo losco e compromissorio di cgilcisluilsnalsgilda, le orrende corporazioni dello Stato Capitalista delle Corporazioni e dei Partiti, né al modo felice e ribelle di ipotetici sindacati conflittuali che, per fare conflitto con continuità ed in modo efficace, abbisognerebbero di strutture e di mezzi, cose che chi vanta al massimo mille o cinquemila iscritti nella scuola non potrà mai avere.
Punto decimo: se poi ci accontentiamo di far lotte di retroguardia o di ammirare l’efficacia (ipotetica) di lotte apparentemente non perdenti in altri settori condotte da sindacati alternativi (penso alla logistica), se pensiamo di imitare queste microesperienze ultradifensive e che, in sostanza, poco spostano i rapporti di forza, tra una manganellata degli sbirri ed un processo penale, ebbene, significa che non abbiamo la percezione esatta di che cosa sia un grande comparto come quello della scuola, dove allignano e trovano alimenti tantissimi lavoratori (un milione circa), moltissimi dei quali davvero sconcertanti quanto a capacità di giudizio critico sulla loro condizione. E però alcuni ci sono: nella scuola, eccezione tra i vari luoghi in cui si svolgono mansioni “intellettuali”, ci sono ancora diversi ribelli, che attendono un’organizzazione adeguata che da soli, dal basso, non sanno darsi. Magari basterebbe solo accendere la miccia: dare ad essi una prospettiva davvero unitaria e sindacale (se si vuole far altro dal sindacato, ci sono altre espressioni organizzate dell’azione umana disponibili, dal partito al club scacchistico) e poi, siccome siamo in fondo ottimisti sulla possibilità di essere liberi, l’autoconsapevolezza sboccerebbe in mille fiori dai colori sgargianti.
Dom Argiropulo di Zab