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Il cappio al collo

Il cappio al collo

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Il governo italiano aumenterà le spese militari. Lo ha sostenuto il presidente del consiglio Gentiloni incontrando il 27 aprile il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Stoltenberg: l’obiettivo da raggiungere è quello del 2% del Prodotto Interno Lordo; in altre parole gli stanziamenti per il settore militare passerebbero dai 25 miliardi e 400 milioni circa del 2016 a più di 36 miliardi nel 2020: l’aumento sarebbe di circa 10 miliardi e 600 milioni, quasi il 42%, alla faccia della spending rewiew.

Questo aumento delle spese militari risponde senza dubbio alle richieste dell’Alleanza Atlantica e alle pressioni del suo più autorevole membro, gli Stati Uniti, ma anche se non esistesse la NATO e Donald Trump non fosse il presidente degli USA, le cose non cambierebbero di molto, perché la corsa agli armamenti è un elemento fondamentale nel sostegno che ogni governo fornisce al modo di produzione capitalistico. La corsa agli armamenti, la crescente competizione fra le potenze imperialistiche di varia grandezza, la politica di destabilizzazione internazionale si traducono nel controllo da parte del governo di un’importante frazione del reddito nazionale. Come scriveva Ernest Mandel, un economista marxista, all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, “Se paragoniamo l’economia di tutti i grandi paesi capitalisti dell’epoca precedente la prima guerra mondiale, constatiamo subito che si è prodotto un cambiamento strutturale di estrema importanza, indipendente da qualsiasi considerazione e ricerca teorica. Si tratta del risultato dell’aumento del bilancio militare nel bilancio degli Stati”.

La fine della guerra fredda ha portato ad un ulteriore aumento delle spese militari. L’elezione di Bush nel 2000 portò con sé una spinta all’economia USA, dovuta all’aumento delle spese militari e finanziata con l’aumento del debito pubblico e la ripresa dell’inflazione.

L’importanza delle spese militari balza ancora di più agli occhi se si tiene conto del fatto che esse vanno ben oltre l’industria bellica e il bilancio del ministero della Difesa, coinvolgendo settori distanti dalla costruzione di armi, e che i soldi per il funzionamento delle Forze Armate spesso vengono nascosti sotto altre voci. Ci troviamo di fronte a spese militari permanenti, che tendono ad aumentare in termini assoluti e in percentuale sul PIL.

Dallo sviluppo delle spese militari scaturisce, in gran parte, anche l’importante ruolo dello Stato nella vita economica; l’intervento dello Stato, d’altra parte, favorisce la concentrazione e la centralizzazione del capitale, l’integrazione tra capitale industriale e finanziario, la stretta collaborazione tra vertici militari e vertici capitalisti. Nasce così quel complesso militare-industriale che un altro presidente USA, Eisenhower, denunciò come un pericolo per la democrazia negli anni ’50 del secolo scorso.

Sono molti i settori industriali che beneficiano delle spese militari, alcuni di essi, soprattutto quelli più innovativi, all’avanguardia del progresso tecnologico, lavorano essenzialmente su ordinazioni statali, e senza di esse scomparirebbero in poco tempo: l’elettronica, l’informatica, le telecomunicazioni, l’aerospaziale e, non ultima, l’industria nucleare sono tra questi.

Gli Stati Uniti sono all’avanguardia in questi settori, e l’economia di intere regioni si basa sulle commesse militari. L’espansione economica della California deve molto al bilancio militare degli Stati Uniti; essa ha ospitato per decenni le industrie missilistiche, dell’aviazione militare ed elettroniche. Non è quindi un caso che la ricerca elettronica e informatica abbia in California una punta di diamante!

Un ruolo simile alla spesa militare, sempre che possa essere distinta da essa, è la spesa per la sicurezza e per i sistemi di controllo, dalla videosorveglianza al controllo tramite cellulare, dal monitoraggio (intercettazioni) delle reti ai sistemi di rilevamento. Si tratta di un enorme apparato che provoca modifiche nei comportamenti e implica un ruolo attivo del soggetto controllato. Resta il fatto che anche la sicurezza vede un intervento pubblico crescente, accompagnato dalla concentrazione e centralizzazione del settore, mentre la sicurezza sociale (assistenza, sanità, pensioni) sta cadendo a pezzi.

La possibilità di produrre merci, beni e servizi che saranno sicuramente acquistati dallo Stato svolge un’importante funzione anticiclica nell’andamento dell’economia capitalistica. La spesa militare, garantendo uno sbocco costante alla produzione, sottrae parte della produzione capitalistica alle oscillazioni legate all’andamento del saggio medio di profitto e all’espansione e contrazione dei mercati. Ma tutto questo non avviene senza un costo sociale.

Le contraddizioni che prima si sviluppavano all’interno del processo di produzione capitalistica si sviluppano all’interno dello Stato, nei meccanismi della finanza pubblica e della politica monetaria.

Questa importanza economica dei settori militare e della sicurezza è la causa fondamentale dell’inflazione permanente. La spesa militare è finanziata a debito da parte dello Stato, aumentando così la circolazione monetaria e la spesa per gli interessi. La crisi del 2007, provocata dal rallentamento delle spese militari USA, ormai insostenibili, e la crisi finanziaria che ne è conseguita sono una dimostrazione di tutto ciò. La scelta di privilegiare i contribuenti più ricchi accentua l’impossibilità, per lo Stato, di coprire i costi della corsa agli armamenti. I costi del dissesto, come quelli delle guerre, sono pagati dai ceti popolari.

La corsa agli armamenti è quindi connaturata all’organizzazione capitalistica e statale della società, può essere fermata solo dall’azione diretta del movimento antimilitarista, non dalla fiducia nelle istituzioni nazionali e da una loro illusoria indipendenza.

Tiziano Antonelli


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