[…] Respingo forse ogni autorità? Lungi da me questo pensiero. Allorché si tratta di stivali, ricorro all’autorità del calzolaio; se si tratta di una casa, di un canale o di una ferrovia, consulto quella dell’architetto o dell’ingegnere. Per ogni scienza particolare mi rivolgo a chi ne è cultore. Ma non mi lascio imporre né il calzolaio, né l’architetto, né il sapiente. Li ascolto liberamente e con tutto il rispetto che meritano le loro intelligenze, il loro carattere, il loro sapere, riservandomi nondimeno il mio diritto incontestabile di critica e di controllo. Non mi accontento di consultare una sola autorità specializzata, ma ne consulto parecchie; confronto le loro opinioni e scelgo quella che mi pare la più giusta. Ma non riconosco alcuna autorità infallibile, neppure per le questioni del tutto specialistiche; di conseguenza, per quanto rispetto possa avere per l’onestà e la sincerità del tale o del tal altro individuo, non ho fede assoluta in alcuno. Una fede simile sarebbe fatale per la mia ragione, per la mia libertà e per lo stesso buon risultato delle mie iniziative; essa mi trasformerebbe immediatamente in uno stupido schiavo, in uno strumento della volontà e degli interessi altrui.
Se m’inchino davanti all’autorità degli specialisti, e mi dichiaro pronto a seguirne, in certa misura e per il tempo che mi pare necessario, le indicazioni ed anche la direzione, è perché questa autorità non mi è imposta da alcuno, né dagli uomini, né da Dio. Altrimenti la respingerei con orrore e me ne infischierei dei loro consigli, della loro direzione e della loro scienza, avendo la certezza che essi mi farebbero pagare con la perdita della mia libertà e della mia dignità, le briciole di verità, avviluppate di molte menzogne, che potrebbero elargirmi.
Io m’inchino davanti all’autorità degli specialisti perché è imposta dalla mia propria ragione. Ho coscienza di poter abbracciare in tutti i suoi dettagli e sviluppi positivi solo una piccolissima parte della scienza umana. La più eccelsa delle intelligenze non basterebbe per abbracciare il tutto. Dal che deriva, per la scienza come per l’industria, la necessità della divisione e dell’associazione del lavoro. Ricevo e do, ecco la vita umana. Ognuno è autorità dirigente e ognuno a sua volta è diretto. Non dunque autorità fissa e costante, ma scambio continuo di autorità e di subordinazioni vicendevoli, temporanee e soprattutto volontarie.
Questa stessa ragione mi vieta dunque di riconoscere un’autorità fissa, costante e universale perché non vi è uomo universale che sia capace di abbracciare in quella ricchezza di particolari, senza la quale l’applicazione della scienza alla vita non è possibile, tutte le scienze e tutti gli ambiti della vita sociale. E se una tale universalità potesse mai trovarsi realizzata in un uomo solo, ed egli volesse servirsene per imporre la sua autorità, bisognerebbe scacciare tale uomo dalla società, perché la sua autorità ridurrebbe inevitabilmente tutti gli altri alla scdi Michail Aleksandrovič Bakuninhiavitù e alla imbecillità. Non penso che la società debba maltrattare gli uomini di genio come essa ha fatto sino ad oggi, ma non penso neppure ch’essa debba troppo ingrassarli, né soprattutto accordare loro privilegi o diritti esclusivi. E ciò per tre ragioni: innanzi tutto perché accade spesso di scambiare un ciarlatano per un uomo di genio; poi perché, con un sistema di privilegi, si può trasformare un vero uomo di genio in un ciarlatano, corrompendolo e rimbecillendolo; e infine perché la società si darebbe così un padrone assoluto.
Riassumendo, noi riconosciamo l’autorità assoluta della scienza perché la scienza non ha altro oggetto che la riproduzione mentale, riflessa e più sistematica possibile delle leggi naturali inerenti alla vita materiale, intellettuale e morale del mondo fisico e di quello sociale, i quali costituiscono di fatto un solo e identico mondo naturale. Al di fuori di questa unica autorità legittima perché razionale e conforme alla libertà umana, dichiariamo tutte le altre autorità menzognere, tiranniche e funeste.
Riconosciamo l’autorità assoluta della scienza, ma respingiamo l’infallibilità e l’universalità dei suoi rappresentanti. Nella nostra chiesa – mi sia permesso di servirmi per un momento di questa espressione che d’altronde detesto: la Chiesa e lo Stato sono le mie due bestie nere – come in quella protestante noi abbiamo un capo, un Cristo invisibile, la scienza; e come i protestanti, anzi più coerenti di loro, noi non vogliamo sopportare né papa, né concilio, né conclavi di cardinali infallibili, né vescovi e neppure preti. Il nostro Cristo si distingue dal Cristo protestante e cristiano perché quest’ultimo è un essere personale, il nostro è impersonale; il Cristo cristiano, già definito in un passato eterno, si presenta come un essere perfetto, mentre il compimento e la perfezione del nostro Cristo, la scienza, sono nell’avvenire: il che equivale a dire che non si realizzeranno mai. Riconoscendo solo l’autorità assoluta della scienza assoluta, non impegniamo affatto la nostra libertà.
Con queste parole, scienza assoluta, intendo la scienza veramente universale che riprodurrebbe idealmente, in tutta la sua estensione e i suoi infiniti dettagli, l’universo, il sistema o la coordinazione di tutte le leggi naturali che si manifestano nello sviluppo incessante dei mondi. È evidente che questa scienza, obiettivo sublime di tutti gli sforzi dello spirito umano, non si realizzerà mai nella sua pienezza assoluta. Il nostro Cristo resterà dunque eternamente incompiuto, e questo deve temperare molto l’orgoglio dei suoi rappresentanti patentati fra noi. Contro questo Dio-figlio, in nome del quale essi pretenderebbero imporci la loro insolente e pedantesca autorità, noi faremo ricorso al Dio-padre che è il mondo reale, la vita reale di cui il Dio-figlio non è che l’espressione purtroppo imperfetta e del quale siamo i rappresentanti immediati, noi esseri reali che viviamo, lavoriamo, combattiamo, amiamo, desideriamo, godiamo, soffriamo.
Ma pur respingendo l’autorità assoluta, universale ed infallibile degli uomini di scienza, c’inchiniamo volentieri davanti all’autorità rispettabile, anche se relativa, molto transitoria e circoscritta, dei rappresentanti delle scienze particolari, non chiedendo di meglio che consultarli di volta in volta, riconoscentissimi per le indicazioni preziose che vorranno darci, a condizione che essi le accettino anche da noi sulle cose e nelle occasioni in cui ne sappiamo più di loro. In generale, non domandiamo di meglio che vedere gli uomini dotati di una grande cultura, e soprattutto di un grande cuore, esercitare su di noi un’influenza naturale e legittima, liberamente accettata e mai imposta in nome di una qualsiasi autorità ufficiale, celeste o terrena. Noi accettiamo tutte le autorità naturali e tutte le influenze di fatto, nessuna di diritto, giacché ogni autorità ed ogni influenza di diritto, e come tale ufficialmente imposta, diventando subito un’oppressione e una menzogna, ci imporrebbe sicuramente, come credo di avere sufficientemente dimostrato, la schiavitù e l’assurdo.
In una parola, noi respingiamo ogni legislazione, ogni autorità ed ogni influenza privilegiata, patentata, ufficiale e legale, anche uscita dal suffragio universale, convinti che essa non potrebbe che ridondare a profitto di una minoranza dominante e governante contro gli interessi dell’immensa maggioranza asservita.
Ecco in che senso siamo realmente anarchici.
Gli idealisti moderni intendono l’autorità in un modo affatto diverso. Benché liberi dalle superstizioni tradizionali di tutte le religioni positive esistenti, nondimeno essi attribuiscono a questa idea dell’autorità un senso divino, assoluto. Questa autorità non è affatto quella di una verità miracolosamente e scientificamente dimostrata. Essi la fondano su qualche argomentazione semi-filosofica, su una grande fede vagamente religiosa e su un forte sentimento idealmente ed astrattamente poetico. La loro religione è l’estrema prova della divinizzazione di tutto ciò che costituisce l’umanità degli uomini.
Questo è esattamente il contrario dell’opera che perseguiamo. Per amore della libertà, della dignità, della prosperità umane, crediamo di dover togliere al cielo i beni che ha rubato per restituirli alla terra. Gli idealisti, al contrario, sforzandosi di commettere un ulteriore furto religiosamente eroico, vorrebbero restituire al cielo – a questo ladro divino attualmente smascherato e sorpreso in flagrante dall’audace empietà e dall’analisi scientifica dei liberi pensatori – tutto ciò che l’umanità ha di più grande, di più bello e di più nobile.
L’idea generale è sempre un’astrazione e, per ciò stesso, in qualche modo una negazione della vita reale. Ho rilevato nell’«Appendice» che questa proprietà del pensiero umano, e conseguentemente anche della scienza, non può cogliere nei fatti reali che il loro senso generale, i loro rapporti generali, le loro leggi generali; in breve ciò che è permanente nelle loro trasformazioni continue, ma non già il loro lato individuale e per così dire palpitante di realtà e di vita, che di per sé è fugace ed inafferrabile. La scienza comprende il pensiero della realtà, non la realtà stessa; il pensiero della vita, non la vita. Ecco il suo limite, il solo limite che essa non può varcare perché è un limite dato dalla natura stessa del pensiero, che è l’unico organo della scienza.
Da questo suo carattere derivano i diritti incontestabili e la missione della scienza, ma ne derivano altresì la sua impotenza vitale e la sua azione nefasta ogni volta che, attraverso i suoi rappresentanti ufficiali e patentati, si arroga il diritto di governare la vita. La missione della scienza è di constatare i rapporti generali delle cose, effimere e reali, di riconoscere le leggi generali inerenti allo sviluppo dei fenomeni del mondo fisico e del mondo sociale; così operando, essa fissa le pietre miliari della marcia progressiva dell’umanità. In una parola, la scienza è la bussola della vita, ma non è la vita. La scienza è immutabile, impersonale, generale, insensibile, come le leggi di natura di cui essa è la riproduzione ideale, riflessa o mentale, cioè cerebrale. (Per ricordarci che la scienza stessa è il prodotto di un organo materiale dell’organismo materiale dell’uomo: il cervello). La vita è fuggitiva ed effimera, ma palpitante di realtà e di individualità, di sensibilità, di sofferenze, di gioie, di aspirazioni, di bisogni e di passioni. È essa sola che crea, spontaneamente, le cose e gli esseri reali. La scienza non crea nulla; si limita a constatare e riconoscere le creazioni della vita. E tutte le volte che gli uomini di scienza, uscendo dal loro mondo astratto, si occupano della creazione vivente nel mondo reale, tutto ciò che propongono o creano è povero, ridicolmente astratto, privo di sangue e di vita, nato morto, simile all’homunculus creato da Wagner, il discepolo pedante dell’immortale dottor Faust. Ne consegue che la scienza ha per unica missione quella di illuminare la vita, non di governarla.
Il governo della scienza e degli uomini di scienza, fossero anche dei positivisti, dei discepoli di August Comte o anche dei discepoli della scuola dottrinaria del socialismo tedesco, non può essere che impotente, ridicolo, inumano, crudele, oppressivo, sfruttatore, nefasto. Si può dire degli uomini di scienza come tali ciò che si disse dei teologi e dei metafisici: essi non hanno né senso né cuore per gli esseri individuali e viventi. Né di ciò si deve far loro rimprovero, perché è conseguenza naturale del loro mestiere. Come uomini di scienza, essi non possono interessarsi che delle generalità e delle leggi.
Essi però non sono esclusivamente uomini di scienza, ma anche, più o meno, di vita.
Tuttavia non bisogna fidarsene. E se si può essere abbastanza certi che nessuno scienziato osi attualmente trattare un uomo come tratta un coniglio, c’è da temere sempre che la casta degli scienziati, se la si lascia fare, possa sottoporre gli uomini viventi ad esperimenti scientifici certamente meno crudeli ma non meno rovinosi per le vittime umane. Se poi gli scienziati non possono fare esperimenti sui singoli corpi degli uomini, non chiederanno di meglio che di farne sul corpo sociale: ecco ciò che bisogna assolutamente impedire.
Nella attuale organizzazione, in quanto monopolisti della scienza che restano come tali al di fuori della vita sociale, gli scienziati formano certamente una casta a parte che offre molte analogie con la casta dei preti. L’astrazione scientifica è il loro Dio, le individualità viventi e reali sono le vittime ed essi ne sono gli immolatori consacrati e patentati.
La scienza non può uscire dalla sfera delle astrazioni. Sotto questo profilo è infinitamente inferiore all’arte. Questa ha anch’essa a che fare precisamente con tipi e situazioni generali, ma per un artificio che le è proprio sa incarnarli in forme che, pur non essendo affatto vive nel senso della vita reale, nondimeno provocano nella nostra immaginazione il senso o l’evocazione di questa vita. In certo qual modo individualizza i tipi e le situazioni che concepisce e per mezzo di queste individualità che ha il potere di creare – senza carne né ossa e, in quanto tali, durevoli o immortali – ci ricorda le individualità viventi, reali, che compaiono e scompaiono ai nostri occhi. L’arte è quindi, in qualche modo, il ritorno dell’astrazione alla vita. La scienza, al contrario, è l’eterno olocausto della vita fugace, effimera ma reale, sull’altare delle eterne astrazioni.
La scienza è dunque poco capace di cogliere sia l’individualità di un uomo sia quella di un coniglio; essa è, cioè, indifferente verso entrambi. E non già perché ignora il principio dell’individualità, che viene concepita appunto come principio ma non come fatto. Essa sa benissimo che tutte le specie animali, compresa la specie umana, hanno esistenza reale solo in un numero definito di individui che nascono e muoiono; e che più ci si innalza dalle specie animali inferiori alle superiori, più il principio dell’industriosità si definisce e gli individui appaiono più completi e liberi. Essa sa infine che l’uomo, l’ultimo e più perfetto animale di questa terra, presenta l’individualità più completa e notevole per effetto della sua facoltà di concepire, realizzare e personificare, in se stesso e nella sua esistenza sociale e privata, la legge universale. La scienza sa – quando non è viziata dal dottrinarismo teologico o metafisico, politico o giuridico, oppure da un meschino orgoglio strettamente scientifico, e quando non è del tutto sorda agli istinti e alle spontanee aspirazioni della vita – che il rispetto dell’uomo è la legge suprema dell’umanità, e che il grande, vero, scopo della storia, il solo legittimo, è l’umanizzazione e l’emancipazione, è la libertà reale, la prosperità reale, la felicità di ciascun individuo vivente nella società. Perché in fin dei conti, a meno di ricadere nella funzione liberticida del bene pubblico rappresentata dallo Stato e fondata sempre sull’olocausto sistematico del popolo, bisogna pur riconoscere che la libertà e la prosperità collettive non sono reali se non quando rappresentano la somma delle libertà e delle prosperità individuali.
La scienza sa tutte queste cose, ma essa non va e non può andare oltre. Poiché l’astrazione costituisce la sua natura, essa non può interessarsi agli individui reali e viventi. Si occupa degli individui in generale, ma non di Pietro o di Giacomo, non del tale o tal altro individuo, che non esistono, che non possono esistere per lei. I suoi individui non sono altro che astrazioni.
Eppure non sono le individualità astratte che fanno la storia, ma gli individui operanti e viventi. Le astrazioni non hanno gambe per camminare e camminano solo quando sono portate dagli uomini reali. Ma per questi esseri reali fatti non solo di idee, ma concretamente di idee, di carne e di sangue, la scienza non ha cuore. Essa, tutt’al più, li considera come carne intellettualmente e socialmente sviluppata. Che le importano le condizioni particolari di Pietro e di Giacomo? Essa si renderebbe ridicola, abdicherebbe alla sua autorità, si annienterebbe se volesse valersene altrimenti che come esemplificazioni in appoggio delle sue teorie eterne. E sarebbe grottesco serbarle rancore per ciò, giacché la sua missione non è questa. Essa non può afferrare il reale; essa può muoversi soltanto nelle astrazioni. La sua missione è di occuparsi delle situazioni e delle condizioni generali dell’esistenza e dello sviluppo, sia della specie umana nel suo insieme, sia di questa o quella razza, di questo o quel popolo, di questa o quella classe e categoria di individui. È di occuparsi altresì delle cause generali della loro prosperità o della loro decadenza, e dei mezzi generali per farli avanzare in ogni sorta di progresso. Se essa compie estesamente e razionalmente questo lavoro, ha fatto tutto il suo dovere e sarebbe veramente ridicolo ed ingiusto chiederle di più.
Ma sarebbe altrettanto ridicolo, oltre che disastroso, affidare alla scienza una missione che è incapace di compiere. Poiché la sua propria natura la costringe ad ignorare l’esistenza e la sorte di Pietro e di Giacomo, non bisogna mai consentire né ad essa, né ad alcuno in suo nome, di governare Pietro e Giacomo, giacché essa sarebbe ben capace di trattarli all’incirca come tratta i conigli. O, piuttosto, continuerebbe ad ignorarli. Ma i suoi rappresentanti patentati, uomini niente affatto astratti ma vivissimi, con interessi molto reali, cedendo all’influenza perniciosa che il privilegio fatalmente esercita sugli uomini, finirebbe con scorticarli in nome della scienza, come li hanno scorticati i preti, i politicanti di ogni colore e gli uomini di legge, nel nome di Dio, dello Stato e del diritto positivo.
Ciò che predico è, quindi, in certa misura, la rivolta della vita contro la scienza o, meglio, contro il governo della scienza. Non per distruggere la scienza – che sarebbe un delitto di lesa maestà – ma per rimetterla al suo posto, in modo che non possa allontanarsene mai più. Fino ad oggi, tutta la storia umana è stata una perpetua e cruenta immolazione di milioni di poveri esseri umani a una qualunque astrazione spietata: dei, patria, potenza dello Stato, onore nazionale, diritti storici, diritti giuridici, libertà, libertà politica, bene pubblico.
Tale è stato sino ad oggi l’andamento naturale, spontaneo e fatale delle società umane. Non possiamo farci nulla e, per quanto riguarda il passato, non possiamo che accettarlo come accettiamo tutte le fatalità naturali. Perché non bisogna illudersi: anche dando ampio riconoscimento agli artifici machiavellici delle classi governanti, dobbiamo riconoscere che nessuna minoranza sarebbe stata abbastanza potente da imporre tutti questi orribili sacrifici alle masse se non vi fosse stato in queste stesse masse un moto vertiginoso, spontaneo, che le spingeva continuamente a sacrificarsi a una di quelle voraci astrazioni che, come i vampiri della storia, si sono sempre nutrite di sangue umano.
Ben si comprende perché teologi, politicanti e giuristi trovino tutto ciò ottimo. Quali sacerdoti di tali astrazioni, essi non vivono che della continua immolazione delle masse popolari. Che la metafisica dia il suo assenso a tutto ciò, non ci deve meravigliare. Essa non ha altra missione che di legittimare e di razionalizzare al meglio quel che è iniquo e assurdo. Ma che la scienza positiva abbia mostrato sino ad oggi le stesse tendenze, ecco ciò che dobbiamo constatare e deplorare. La scienza lo ha fatto per due ragioni: la prima perché, formatasi al di fuori della vita popolare, è rappresentata da una casta privilegiata; la seconda perché essa stessa, sino ad oggi, si è posta come lo scopo assoluto ed ultimo di ogni sviluppo umano, mentre, attraverso un’autocritica serena di cui è capace e che alla fine sarà costretta a fare, avrebbe dovuto comprendere che essa è un mezzo necessario per la realizzazione d’uno scopo ben più alto: quello della completa umanizzazione della condizione reale di tutti gli individui reali che nascono, vivono e muoiono sulla terra.
L’immenso vantaggio della scienza positiva sulla teologia, sulla metafisica, sulla politica e sul diritto positivo consiste in questo: che al posto delle astrazioni menzognere e funeste, esaltate da queste dottrine, essa pone delle astrazioni vere che esprimono la natura generale o la logica stessa delle cose, i loro rapporti generali e le leggi generali del loro sviluppo. Ecco ciò che la distingue profondamente da tutte le dottrine precedenti e che le assicurerà sempre una posizione cruciale nella società. Essa costituirà in qualche modo la sua coscienza collettiva. Ma c’è un punto col quale essa si ricollega a tutte le suddette dottrine: essa non ha e non ha potuto avere per oggetto che delle astrazioni e, quindi, è costretta dalla sua stessa natura ad ignorare gli individui reali, al di fuori dei quali anche le più vere astrazioni non hanno reale esistenza. Per rimediare a questo difetto radicale, ecco la differenza che dovrà stabilirsi tra l’azione pratica delle predette dottrine e quello della scienza positiva: le prime hanno approfittato dell’ignoranza delle masse per sacrificarle con voluttà alle loro astrazioni, d’altronde sempre assai lucrose per i loro fautori; la seconda, dopo aver riconosciuto la sua assoluta incapacità di comprendere gli individui reali e di potersene interessare, deve definitivamente ed assolutamente rinunciare al governo della società. E questo perché, se essa se ne occupasse, non potrebbe che sacrificare sempre gli uomini viventi, che non conosce, alle sue astrazioni, le quali formano l’unico oggetto delle sue legittime preoccupazioni.
La vera scienza della storia non esiste ancora ed è già molto se oggi incominciamo a intravedere le sue linee estremamente complicate. Ma supponiamola per un momento realizzata: che cosa potrebbe darci? Riprodurrebbe il quadro ragionato e fedele della naturale evoluzione delle condizioni generali, sia materiali che ideali, sia economiche che politiche, sociali, religiose, filosofiche, estetiche e scientifiche, delle società che hanno avuto una storia. Ma questo quadro della civiltà umana, per quanto particolareggiato, non potrà contenere se non valutazioni generiche e, per conseguenza, astratte, nel senso che i miliardi di individui umani che hanno formato la materia vivente e sofferente di questa storia vittoriosa e lugubre ad un tempo – vittoriosa dal punto di vista dei suoi risultati generali e lugubre dal punto di vista dell’immensa ecatombe di vittime umane «schiacciate sotto il suo carro» – che questi miliardi d’individui oscuri senza i quali però non si sarebbe ottenuto nessuno di quei grandi risultati astratti della storia e che, si badi, non si sono mai avvantaggiati di alcuno di quei risultati, che questi individui non troveranno neanche il più piccolo posto nella storia. Hanno vissuto e sono stati immolati, schiacciati, per il bene dell’umanità astratta. Ecco tutto!
Bisognerà rimproverare per questo la scienza della storia? Sarebbe ridicolo ed ingiusto. Gli individui sono inafferrabili per il pensiero, per la riflessione ed anche per la parola umana, la quale è capace di esprimere solo delle astrazioni, inafferrabili nel presente come nel passato. Pertanto la scienza sociale, la scienza dell’avvenire, continuerà necessariamente ad ignorarli. Tutto ciò che abbiamo il diritto di pretendere da lei è che ci indichi, con mano ferma e sicura, le cause generali delle sofferenze individuali: e, tra queste, essa non dimenticherà senza dubbio l’immolazione e la subordinazione, ancora assai frequenti purtroppo, degli individui viventi alle generalità astratte, mostrandoci nello stesso tempo le condizioni generali necessarie all’emancipazione reale degli esseri viventi nella società. Tale è la sua missione; tali anche i limiti, al di là dei quali l’azione della scienza sociale non potrebbe essere che impotente e funesta. Al di là di questi limiti cominciano le pretese dottrinarie e governative da parte dei suoi rappresentanti patentati e dei suoi preti. È tempo ormai di finirla con tutti i pontefici e con tutti i poeti, non vogliamo più saperne di loro, anche se si chiamano democratici socialisti.
Ribadiamo che l’unica missione della scienza è quella di illuminare la via. Ma liberata da tutte le pastoie dottrinarie e di governo, e restituita alla pienezza della sua azione: solo la vita può creare.
Ma come risolvere questa antinomia? Da un lato, infatti, la scienza è indispensabile all’organizzazione razionale della società, d’altro, incapace di curarsi di ciò che è vivo e reale, non deve occuparsi dell’organizzazione reale o pratica della società.
Questa contraddizione non può essere risolta liquidando la scienza come entità morale esterna alla vita sociale di tutti, anzi è necessario che la scienza non resti più esterna, rappresentata da un corpo di sapienti brevettati, ma si diffonda tra le masse popolari. La scienza, essendo ormai chiamata a rappresentare la coscienza collettiva della società, deve realmente diventare proprietà di tutti. In tal modo, senza nulla perdere del suo carattere universale, che non potrà mai abbandonare sotto pena di cessare d’essere scienza, e continuando ad occuparsi delle cause, delle condizioni e dei rapporti generali degli individui e delle cose, si fonderà di fatto con la vita immediata e reale di tutti gli individui umani. Si formerà così un movimento analogo a quello che fece dire ai protestanti, agli inizi della Riforma religiosa, che non vi era più bisogno di preti per l’uomo ormai divenuto prete di se stesso, dal momento che ogni uomo, grazie all’intervento invisibile di nostro signore Gesù Cristo, era finalmente riuscito ad ingoiare il suo buon Dio. Ma qui non si tratta né di Gesù Cristo, né del buon Dio, né della libertà politica, né del diritto giuridico, tutte cose teologicamente o metafisicamente rivelate, e tutte ugualmente indigeste, come si sa. Il mondo delle astrazioni scientifiche non è svelato; esso è inerente al mondo reale, di cui è espressione e rappresentazione generale o astratta conoscenza reale. Ma finché esso forma una zona separata, rappresentata in particolare dal corpo dei sapienti, questo mondo ideale minaccia di prendere, in rapporto al mondo reale, il posto del buon Dio e di riservare ai suoi rappresentanti patentati l’ufficio di preti. È per questo che bisogna annullare un’organizzazione sociale separata dalla scienza tramite l’istruzione integrale, uguale per tutti e per tutte, così che le masse, cessando d’esser greggi guidate e tosate da preti privilegiati, possano prendere finalmente nelle loro mani la direzione dei loro destini storici.
Ma finché le masse non saranno arrivate a questo grado di istruzione, dovranno lasciarsi governare dagli uomini di scienza? No di certo. Sarebbe meglio per esse fare a meno della scienza piuttosto che lasciarsi governare dagli scienziati. Il governo di questi uomini avrebbe per prima conseguenza quella di rendere la scienza inaccessibile al popolo e sarebbe necessariamente un governo aristocratico, perché l’istituzione attuale della scienza porta a un’istruzione aristocratica. All’aristocrazia dell’intelligenza! La più implacabile dal punto di vista pratico, e la più arrogante e la più insolente dal punto di vista sociale: tale sarebbe il potere costituito nel nome della scienza. Questo regime sarebbe capace di paralizzare la vita e il moto della società. I sapienti, sempre presuntuosi, sempre boriosi e sempre impotenti, vorrebbero occuparsi di ogni cosa, e tutte le sorgenti della vita si disseccherebbero sotto il loro soffio astratto ed erudito.
Ancora una volta, la vita, e non la scienza, crea la vita; solo l’azione spontanea del popolo può creare la libertà popolare. Certamente sarebbe una grande fortuna se la scienza potesse, sin d’ora, illuminare il cammino spontaneo del popolo verso la sua emancipazione. Ma è meglio la mancanza di luce che una falsa luce accesa parsimoniosamente dal di fuori con lo scopo evidente di fuorviare il popolo. D’altro canto, al popolo non mancherà certamente la luce, perché non ha percorso invano una lunga carriera storica pagando i suoi errori con secoli di orribili sofferenze. La sintesi pratica di queste dolorose esperienze costituisce una specie di scienza tradizionale che, sotto alcuni aspetti, val bene la scienza teorica. Infine, una parte della gioventù impegnata e quelli che anche tra i borghesi riflettono sentiranno abbastanza odio contro la menzogna, l’ipocrisia, l’iniquità e la viltà della borghesia per trovare in sé il coraggio di voltarle le spalle e la passione sufficiente per abbracciare senza riserve la giusta ed umana causa del proletariato; costoro saranno, come ho detto, gli istruttori fraterni del popolo, e dando ad esso le conoscenze di cui ancora manca, renderanno perfettamente inutile il governo dei sapienti.
Se il popolo deve guardarsi dal governo dei sapienti, a maggior ragione deve premunirsi contro quello degli idealisti ispirati. Quanto più questi credenti e questi preti del cielo sono sinceri, tanto più diventano perniciosi. Ho detto che l’astrazione scientifica è un’astrazione razionale, vera nella sua essenza e necessaria alla vita, di cui è la rappresentazione teorica, la coscienza. Essa può e deve essere assorbita ed assimilata dalla vita. L’astrazione idealista, Dio, è un veleno corrosivo che distrugge e decompone la vita, che la falsa e la uccide. L’orgoglio degli idealisti, non essendo personale ma divino, è invincibile ed implacabile. Può – deve – morire, ma non cederà mai, e sino a quando gli resterà un alito di vita cercherà di asservire il mondo sotto il tallone del suo Dio, come i luogotenenti prussiani, questi idealisti pratici della Germania, volevano vederlo schiacciato sotto lo stivale speronato del loro re. È la stessa fede – gli obiettivi non sono neppure tanto diversi – che porta allo stesso risultato della fede: la schiavitù.
di Michail Aleksandrovič Bakunin