“Le masse seguono gli uomini più che non seguano le idee. Il perché è chiaro.
Le masse sono artatamente mantenute nell’ignoranza e continuamente assillate dal problema della vita ch’esse non sanno risolvere.
Ora, è più che logico che chi non sa contare e ha bisogno di farlo, invochi e ricorra al computista.
Ecco perché il popolo è l’eterna vittima dei politicanti, dei preti, del militarismo, dei negrieri, e dei cattivi pastori, ed in onta dell’atroce esperienza millenaria non si decida ancora a emanciparsi, a camminare da se stesso”
Bartolomeo VANZETTI ne L’Adunata dei Refrattari 24 febbraio 1923
Nel 2017, al 90° anniversario della loro morte, a Villafalletto – paese del cuneese dove nacque Bartolomeo Vanzetti – Luigi Botta proiettò l’originale filmato dei funerali di Bartolomeo e Ferdinando “Nicola” Sacco del 29 agosto 1927; nel filmato si vedono, a funerale ultimato, l’arcivescovo di Boston e il governatore Fuller commentare “Grazie a dio è finita”. Non si immaginavano la storia dopo. In quei giorni a Parigi, il quartiere latino e l’ambasciata americana venivano messi a fuoco dalla rivolta operaia contro quella che era considerata un assassinio di Stato. Non era stato un errore quella esecuzione, ma l’applicazione della logica di Stato: erano stati uccisi proprio perché anarchici ben sapendo che, dell’accusa specifica, erano totalmente innocenti.
Luigi Botta è rimasto ormai l’unico ricercatore sul Caso Sacco e Vanzetti, dopo la morte degli storici Robert D’Attilio e Ronald Creagh, ed è dal 1972, da giovane giornalista di un giornale locale cuneese, che segue la vicenda, prima con Vincenzina Vanzetti e, dopo la sua morte, da solo, producendo i frutti della continua ricerca internazionale.
Dopo il funerale, i corpi dei nostri compagni furono cremati. Per decenni eravamo convinti che il Comitato di Difesa, animato dall’instancabile e generoso Aldino Felicani, avesse voluto tenere insieme le loro ceneri mischiandole e dividendole poi in urne conservate prima nell’impresa funebre e poi in una banca. Chi si recava, come chi scrive qui ora, nel cimitero del paese di Bart, Villafalletto, era convinto di avere di fronte, nel loculo ad altezza d’uomo, entrambi i resti. Eravamo convinti che le urne portate in Italia da Luigina Vanzetti fossero il tutto quello che rimaneva dei due.
Luigina attraversa, con due urne funerarie, tutta la mobilitazione degli anarchici americani, da una costa all’altra; attraversa l’accoglienza e la solidarietà delle organizzazioni operaie di Francia – e qui se ne occupano gli anarchici Luis Lecoin, pacifista, animatore dello storico periodico Union Pacifiste e Severin Ferandel – dal porto di Cherbourg il 4 ottobre, fino al confine di Modane con l’Italia. Luigi Botta ricostruisce, quasi ora per ora, tutto il tragitto e il travaglio delle due donne, Rosa per Nicola Sacco e Luigina per Bartolomeo. Le due ceneri non furono mai mischiate, ma messe in quattro urne, a due a due, e Luigina tornò in Italia con due urne, una di Sacco e una di Vanzetti. Il racconto di Botta la segue in questa odissea del Novecento. E racconta anche la costante corrispondenza tra Luigina Vanzetti e la famiglia Brini, che avevano avuto Bartolomeo come inquilino e compagno.
Intanto le due urne rimaste in USA, quella di Sacco fu data alla moglie e quella di Bart la ritroviamo alla Public Library, la Biblioteca Civica di Boston che conserva quello che rimane del processo e delle carte della vicenda, con la quale il Botta è in costante collegamento. Nell’Italia del 1927, in pieno regime fascista, nessuna delle due urne, sia a Villafalletto per Bart che a Torremaggiore per Nick, ebbero esequie pubbliche, ma una semplice cerimonia di benedizione con pochi familiari, e la polizia che accompagnò direttamente ai loculi.
Oggi Giovanni Vanzetti, figlio di Ettore, il fratello di Bart, è riuscito a riunire le ceneri di suo zio finalmente, grazie al lavoro certosino di Luigi Botta con la burocrazia formale e formalista degli americani. Quello che, a mio parere, ancora vale oggi è il rendersi conto di una memoria sociale oramai acquisita, come è acquisito l’assassinio di Giuseppe Pinelli e di Franco Serantini, di cosa vuol dire attraversare una giustizia di Stato per ogni prigioniero, per ogni uomo o donna colpiti e giustiziati in quanto ribelli, colpevoli di esistere in quanto tali anche se innocenti di un singolo reato inventato per alibi di Stato. Poi il travaglio che segue anche dopo aver dimostrato la verità storica, come il travaglio che produce morti anche dopo una guerra, anche dopo aver firmato la pace. Il Bene è il rendersi conto ed avere memoria che il comportamento della cosiddetta giustizia dello Stato non è un errore, è una logica applicata, a cui rispondere con tutti i mezzi a nostra disposizione. A tutti i casi Sacco e Vanzetti del mondo, alla loro memoria e a tutti i ribelli e le ribelli ad ogni ingiustizia, piccola o grande che sia.
Antonio Lombardo