Ci siamo lasciati alle spalle gli anni della pandemia che hanno messo a dura prova molte persone e come se non bastasse in questa situazione già difficile è scoppiata una guerra. Questo creerà ancora più divario sociale: i disoccupati e le disoccupate e le fasce di reddito più basse saranno sempre più relegate ai margini, i lavoratori vedranno svanire quel benessere da classe media conquistato con anni di fatica, traditi proprio da quel liberismo che ha permesso loro la scalata sociale a colpi di consumismo; molte piccole imprese salteranno e quelle più grosse per sopravvivere effettueranno tagli e riorganizzazioni. Certamente c’è anche chi ci guadagnerà: chi saprà intercettare i soldi che arriveranno dall’Europa e chi si schiererà con la politica della guerra.
La ripresa economica e la rivoluzione ecologica sono ormai un miraggio; è invece chiara e tangibile la recessione. In questa situazione drammatica piuttosto che creare politiche d’aiuto per chi è in difficoltà e pensare a una ridistribuzione delle risorse viene proposto il taglio al reddito di cittadinanza e la “flat tax” per ridurre la tassazione dei più ricchi. Inoltre aumenteranno ulteriormente i tagli ai servizi pubblici come conseguenza alla proposta del taglio del “cuneo fiscale” dato che lo Stato dovrà pagare i salari che dovrebbero pagare le imprese. I lavoratori di fronte a false promesse, agli aumenti della benzina, del gas e dei beni di prima necessità cosa possono fare? Chi ha un’attività commerciale per far fronte alla crisi può aumentare i prezzi ma i lavoratori e le lavoratrici dipendenti cosa aumentano? Stanno già da anni subendo tagli dei vari governi per la sanità e l’istruzione. Chi non ha fatto un confronto del costo dell’affitto attuale con quello di cinque anni fa? Già adesso il salario non riesce a far fronte al costo della vita per sempre più persone.
Non possiamo restare a guardare, non reagire e farci travolgere dalle mareggiate della crisi; abbiamo delle alternative come vie di uscita. La principale alternativa è riassumibile in una parola che racchiude una propensione all’azione e che può determinare la realtà: la solidarietà all’interno della classe operaia. Questo implica organizzarci, avanzare delle richieste e far sentire la nostra voce utilizzando l’unico strumento per noi veramente efficace: lo sciopero. Dobbiamo essere compatti, spalla contro spalla per affrontare questa crisi. Indubbiamente il conflitto aumenterà, ed è probabile che molte piazze si riempiranno per urlare il disagio e la paura. Per non lasciarle in mano alle destre dobbiamo noi riempire le piazze con i nostri contenuti, dobbiamo noi compagne e compagni dare l’esempio e prendere in mano le rivendicazioni.
I sindacati di base e conflittuali da qualche tempo ormai hanno intrapreso un percorso unitario per portare avanti delle rivendicazioni e hanno organizzato vari scioperi riempiendo molte piazze d’Italia. L’Unione Sindacale Italiana è tra le organizzazioni sindacali che hanno dato vita a questo percorso, impegnandosi in assemblee pubbliche, scioperi generali per espandere il conflitto e renderlo il più impattante possibile. In questo contesto di guerra non potevamo non spenderci per creare uno sciopero generale che andava dal nostro rifiuto a tutte le guerre e alle produzioni di armi fino ad arrivare alle rivendicazioni per le condizioni delle fasce meno abbienti della società. I sindacati conflittuali scenderanno in piazza il 2 dicembre, cercando di fermare le imprese e i mezzi di trasporto dando così la reale consapevolezza della loro forza per essere di maggior impatto, volendo veramente cambiare le condizioni lavorative ed economiche. Per funzionare veramente uno sciopero generale deve essere il più diffuso possibile e dannoso per i padroni, utilizzando tutte le forme di lotta e astensione dal lavoro. Non sarà una ritualità come sono stati in passato molti scioperi autunnali in passato.
Lo sciopero sarà preceduto da un’assemblea nazionale che si terrà a Milano il giorno 15 ottobre al Circolo ARCI Bellezza per discutere della pace, dei diritti e dei salari contro la crisi e l’economia di guerra. Tutte le realtà sono invitate a parlare della costruzione dello sciopero generale. L’assemblea sarà un importante momento di confronto per creare una rete tra le realtà sindacali. Dopo il 15 ottobre e dopo lo sciopero del 2 dicembre noi non ci fermeremo, proseguiremo e andremo avanti perché le conquiste non si raggiungono in un giorno. Stiamo anche costruendo una rete europea con i sindacati per generalizzare il conflitto, rendere internazionale la solidarietà ed essere più incisivi contro la guerra e la sua economia.
Da subito dobbiamo organizzarci nei posti di lavoro e negli spazi sociali. Dobbiamo bloccare il Paese per ribadire il nostro no alla guerra e alla sua economia, il nostro no alle armi, il nostro no ai tagli alla sanità e alle privatizzazioni. Vigliamo gli aumenti salariali, i diritti civili e sindacali, per il salario minimo.
Il nostro futuro sarà in piazza, non tra quattro mura di un parlamento.
Cisco