Prove di democrazia autoritaria

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Mai come negli ultimi anni, la Francia è sotto l’attenzione dei media di movimento e dei social network frequentati da quello che una volta si chiamava “il popolo della sinistra”, ma per motivi del tutto opposti a quelli cui hanno dedicato nei mesi scorsi tutta la loro attenzione i grandi media del potere (attentati “islamici” con tutto il loro corollario di manifestazioni di regime; esecrazione di quelle di movimento colpevoli di non rispettare il dolore delle famiglie e della patria intera; ecc.).

Della reazione popolare e di massa alla sola ipotesi di un Jobs Act in salsa francese ne parla il comunicato IFA che pubblichiamo in queste stesse pagine; qui ripercorreremo la storia – a nostro avviso correlata – dell’instaurazione dello “Stato di Emergenza”, per oltre tre mesi, nell’intero territorio nazionale francese, e del successivo tentativo di approvare una riforma costituzionale che permettesse allo Stato di usare questo strumento repressivo praticamente senza limiti.

Cos’è lo “Stato di Emergenza”

Lo “Stato di Emergenza” o come diversamente si chiami nei vari Stati – pressoché tutti – che lo adottano (1) è, in pratica, l’erede giuridico nelle democrazie parlamentari della Dittatura nell’Impero Romano: di fronte ad una situazione di grave pericolo – vero o presunto, comunque dichiarato reale da un preciso organo politico – vengono sospese per un tempo determinato in tutto o in parte le libertà civili, politiche e sindacali per lasciare mano completamente libera all’azione dell’esecutivo.

È stato fatto ripetutamente notare (2) come questo processo istituzionale – presente, lo ripetiamo, in pressoché tutti gli Stati del mondo – rappresenti un pericolo costante per le libertà popolari conquistate dalle lotte del movimento operaio e socialista, soprattutto perché la constatazione di uno “stato di grave pericolo” effettivo è, sostanzialmente, lasciata all’arbitrio dei governi. Questi, al limite, possono crearsi addirittura da sé le circostanze emergenziali e/o favorirle e, in tal modo, la dichiarazione dello Stato di Emergenza diventa un vero e proprio colpo di Stato mascherato da una parvenza di legalità (si pensi all’instaurazione della dittatura nazista in Germania dopo l’incendio del Reichstag).

Lungo il corso della seconda metà del XX secolo, a tale strumento si è fatto ricorso in circostanze e luoghi molto specifici – in ogni caso, relativamente di rado – per cui si tendeva a considerarlo una sorta di retaggio del passato, una norma sostanzialmente desueta. Le cose hanno iniziato a cambiare tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, con l’apparizione del “terrorismo fondamentalista islamico”: dalla data fatidica dell’11 settembre 2001 e dal conseguente Patriot Act, il ricorso a strumenti emergenziali è tornato ad affacciarsi sulla scena, quanto meno del dibattito politico, invocato – nella sostanza se non nel nome – in varie occasioni da destra e da “sinistra”. Il tutto sempre in occasione di una minaccia terroristica vissuta come un pericolo gravissimo da combattere con ogni mezzo.

Le “nostre” libertà vanno difese ad ogni costo, ci dicono, perciò devono essere eliminate: il fatto che si tratti di una contraddizione in termini non impedisce a questa posizione di tenere banco sui media di regime e di strutturare il dibattito pubblico.

Lo Stato di Emergenza in Francia

Dicevamo prima che lo Stato di Emergenza, nei paesi occidentali, durante la seconda metà del XX secolo, era uno strumento politico – relativamente – in sordina. Tra le eccezioni, proprio la Francia e, non a caso, in qualche modo in riferimento ad attacchi terroristici e/o ritenuti tali e/o più o meno equiparati. Prima degli attentati del 13 novembre 2015, lo Stato di Emergenza era stato dichiarato:

  • nel1955 – esattamente l’anno in cui vi fu la creazione della legge attuale – lo Stato di Emergenza venne dichiarato per il territorio algerino per 12 mesi;

  • il 17 maggio 1958, dopo il colpo di stato del 13 maggio 1958 ad Algeri, lo Stato di Emergenza venne dichiarato in tutta la Francia per 3 mesi;

  • il 23 aprile 1961, in occasione del putsch dei generali del 21aprile 1961 ad Algeri, lo Stato di Emergenza venne dichiarato in tutta la Francia fino al 31 maggio 1963;

  • il 7 dicembre 1984, lo Stato di Emergenza è stato dichiarato in Nuova Caledonia fino al 30 giugno1985 .

  • l’8 novembre 2005, in occasione delle rivolte nelle banlieues francesi, lo Stato di Emergenza è stato dichiarato in 25 dipartimenti (tra i quali tutti quelli dell’Ile-de-France) fino al 4 gennaio 2006.

Quando avvennero gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, dunque, in qualche modo, la dichiarazione dello Stato di Emergenza diramata la notte stessa ed estesa a tutto il territorio francese non poteva essere considerata una novità. Ad esso si accompagnava il Piano Rosso Alfa (una sorta di “codice rosso” rivolto alla difesa civile: ospedali, vigile del fuoco, ecc.) e la chiusura delle frontiere (in realtà un anticipo della stessa, già prevista per le manifestazioni del COP 21).

Il governo Hollande, però, non si è limitato ad usare i soli poteri presidenziali (la Costituzione prevede che il Presidente possa autonomamente dichiarare lo Stato di Emergenza per soli dodici giorni), ma si è rivolto al Parlamento perché estendesse la durata del provvedimento di ulteriori tre mesi – cosa immediatamente concessagli, in un clima di Sacra Unione Patriottica che ricordava da vicino la convocazione dei parlamenti USA all’epoca del Patriot Act. La sospensione dei diritti civili si è vista immediatamente: non certo contro gli eventuali “terroristi fondamentalisti islamici operanti in cellule dormienti”, ma contro la popolazione francese che, nell’immediato, si è vista prima negare il diritto di manifestare contro i potenti della terra in occasione del COP 21, poi, di fronte alla coraggiosa volontà di fregarsene dello Stato di Emergenza, massacrare di botte e, infine, venire esibita al pubblico ludibrio come irresponsabile, fiancheggiatrice di fatto del terrorismo islamico.

Anche il progetto di riforma del mercato del lavoro francese è nato in questo clima, nella speranza che lo Stato di Emergenza e la reazione muscolare mostrata nel corso del COP 21 tenesse buone le masse e che queste, sul modello italiano, accettassero pecoronescamente le nuove normative. Non è andata, fortunatamente, proprio così. Nel frattempo, Hollande ha tentato di estendere la discrezionalità dei poteri presidenziali, inserendo direttamente nella Costituzione la possibilità, da parte dell’esecutivo, di usare lo strumento in questione con estrema libertà e con minimi se non nulli controlli, particolarmente da parte di quegli organi giuridici volti a garantire l’accesso a quelle libertà politiche, civili e sindacali che lo Stato di Emergenza va ad intaccare. Si è trovato, però, di fronte ad una reazione popolare inaspettata, in cui le proteste di massa per il Jobs Act alla francese si sono saldate con il rifiuto di una tale riforma costituzionale.

Eppure, le cose sembravano inizialmente andargli lisce. Con 103 voti a favore, 26 contrari e 7 astensioni, a febbraio la Camera aveva approvato l’articolo 1 del disegno di riforma costituzionale: lo Stato di Emergenza sarebbe stato decretato direttamente dal Consiglio dei ministri, sia “in caso di pericolo imminente che risulti da gravi attacchi all’ordine pubblico” sia “in caso di calamità pubblica” derivante da eventi naturali, con un controllo da parte del Parlamento relativamente limitato. I deputati dovevano poi pronunciarsi sull’estensione della revoca della cittadinanza francese per le persone condannate per terrorismo e su altri aspetti della proposta di legge, che sarebbe poi dovuta passare al Senato per l’approvazione definitiva a marzo.

Come dicevamo, però, le cose sono andate in direzione opposta: la mobilitazione popolare complessiva ha costretto, alla fine, il governo a ritirare il progetto. Al momento in cui scriviamo, domenica 3 marzo 2016, anche il progetto di riforma del Codice del Lavoro sembra traballare, tra il tentativo del governo “socialista” di giungere ad una sorta di mediazione e le pressioni confindustriali che ne chiedono l’integrale approvazione nella forma già presentata, alcuni sindacati minori che si accontenterebbero della mediazione governativa e la maggioranza del movimento che rilancia, con due nuove giornate di sciopero (il 5 ed il 9 aprile) e la minaccia di uno sciopero ad oltranza.

La Lezione della Francia

Libertà politiche, civili e sindacali non sono, come ci ricorda la vicenda francese, nemmeno alla lontana connaturate al sistema liberal/democratico: questo le ha subite, è stato costretto ad accettarle, spinto da lunghe lotte del movimento dei lavoratori (e prima di farlo ha fatto versare fiumi di sangue e di vite distrutte in galera). Non appena può, perciò, cerca di annullarle – e solo la lotta delle classi subalterne riesce a mantenerle in vita. Non dimentichiamolo mai, specie quando qualche apologeta dello stato di cose presente ce le presenta come una sorta di regalie del sistema liberal/democratico: in sé e per sé non significherebbe nulla, ma di fronte a cose di questo genere è magari utile ricordare che il fondatore del pensiero liberale, John Locke, era un mercante di schiavi.

(1) “Stato di Guerra” in Italia, “Stato di Urgenza” in Francia, “Stato di Tensione” e “Stato di Difesa” in Germania, “Stato di Allarme”, “Stato di Eccezione” e “Stato di Assedio” in Spagna, Portogallo e Grecia, ecc.

(2) Vedi il classico AGAMBEN, Giorgio, Homo Sacer: Il Potere Sovrano E La Nuda Vita(particolarmente il capitolo“Stato Di Eccezione”),Torino, Einaudi, 2004.

di Enrico Voccia

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