Il reddito di cittadinanza è stato rilanciato dal grillino Di Maio, con lo scopo di fronteggiare la povertà che si sta diffondendo nei ceti popolari, e rilanciare i consumi per dare sbocco alle manifatture italiane, che potranno così aumentare la produzione e indirettamente l’occupazione.
La giunta comunale di Livorno, espressione del movimento grillino, ha applicato un proprio reddito di cittadinanza a partire dal 2016. Una breve analisi della situazione livornese ci potrà aiutare a capire come e se funziona questa misura.
Nuove risorse? Neanche per sogno
Il comune di Livorno presenta come un successo l’erogazione di 187 redditi di cittadinanza, ma nasconde il fatto che si tratta di una cifra inferiore, notevolmente inferiore agli aventi diritto, e comunque pagata con il taglio di quelle forme di integrazione del reddito che non avevano il carattere discriminatorio e selettivo del reddito di cittadinanza.
I beneficiari del reddito di cittadinanza sono solo una parte di quelli che beneficiavano di altre forme di integrazione del reddito; questo è dimostrato anche dal bilancio del sociale, che il comune di Livorno ha ridotto di un terzo rispetto al 2016.
In realtà, si tratta di dare attuazione alle promesse elettorali con le risorse a disposizione, sia dei comuni che per quanto riguarda il Governo. Alla fine, il provvedimento si rivela come un riconoscimento del diritto a chiedere un reddito, ad essere inseriti in una graduatoria. Che tutto questo si traduca in un reddito effettivo, dipende dal posizionamento in graduatoria, ed è inevitabile che non tutti gli aventi diritto siano soddisfatti.
Questo vale anche per la proposta elettorale dei grillini: la proposta elettorale prevede uno stanziamento annuo di 14,9 miliardi. È sufficiente questa cifra per dare una risposta alla crescente emergenza povertà? Secondo l’ISTAT, il reddito minimo mensile al di sotto del quale si è considerati in condizione di povertà assoluta è 780 euro. Per assicurare ai 5 milioni e 58 cittadini italiani in condizione di povertà assoluta un reddito mensile di 780 euro sono necessari quasi 47 miliardi di euro. La somma effettivamente erogata, però, tiene conto del reddito disponibile, quindi l’importo erogato coprirà solo la differenza fra il reddito disponibile e 780 euro. Facendo la media, comunque, è ipotizzabile che la cifra non sia molto lontana dai 24 miliardi. Non ci saranno quindi soldi per tutti. In un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” si stima che, in caso di assegno a 400 euro, i beneficiari non sarebbero più di 3 milioni, a fronte dei 5 milioni di aventi diritto.
Secondo il sottosegretario all’Economia, Castelli, è probabile che la cifra venga ulteriormente “limata”, e che per le risorse si pescherà all’interno del bilancio dello Stato, senza bisogno di nuove tasse. Una simulazione della rivista “Economia e politica” le risorse verrebbero dal prosciugamento di altre misure sociali: le varie forme di indennità di disoccupazione, il reddito d’inclusione, e le misure del governo Renzi, gli 80 euro e il bonus per l’acquisto di beni culturali. In tal modo si tratterebbe di una misura a saldo zero, senza nuove risorse destinate ai redditi più bassi.
Ma se il ministro Di Maio ha affermato che nel 2019 “partirà” il reddito di cittadinanza, ha anche detto che saranno attivate “quantomeno” quelle misure che incentivano l’occupazione dei 5 milioni di poveri, cioè implementare le politiche attive del lavoro, rafforzare i Centri per l’Impiego, sostenere la creazione di nuova impresa e di start up innovative, incrementare il fondo per l’abitazione, per un totale di 2 miliardi e cento milioni, questa per lo meno è la cifra prevista dalla proposta grillina. Quindi, se interpretiamo bene le parole di Di Maio, nel 2019 non partirà alcun sostegno del reddito, ma solo nuovi regali alle imprese e alle società che si faranno carico di queste “politiche attive”.
Perché lavoro forzato
Un elemento che l’esperimento livornese condivide sia con la proposta del M5S, sia con il reddito di inclusione varato dal Governo Gentiloni, è la previsione della partecipazione attiva del beneficiario alla ricerca del lavoro. Oltre ad iscriversi ad un centro per l’impiego e sottoscrivere la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, il beneficiario deve fra l’altro dare la disponibilità al lavoro gratuito per otto ore settimanali e dedicarsi alla ricerca di un lavoro per almeno due ore al giorno. Deve inoltre accettare uno dei primi tre lavori che gli verranno offerti: né la proposta grillina, né il contrtto di governo fanno alcun riferimento a rispetto dei minimi contrattuali, professionalità, distanza dall’abitazione. In caso di mancato rispetto di uno di questi requisiti, il reddito di cittadinanza verrà revocato.
Il modello del reddito di cittadinanza è il piano Hartz, verato in Germania dal governo socialdemocratico di Gerhard Schroeder. Il piano, giunto alla quarta fase, ha eliminato ogni residua discrezionalità ai disoccupati che ancora volessero lavorare ma non a condizioni schiavistiche. Sette milioni di persone sono state costrette ad accettare minilavori per 4 o 500 euro al mese.
Nonostante i pretesi contrasti con l’Unione Europea, si tratta dell’ennesima misura contro i ceti popolari che il governo italiano vara in accordo con la Commissione Europea. Cambiano le maggioranze, ma la politica resta la stessa.
Il familismo
La questione delle risorse è aggravata dalla condizione dei conti pubblici, grazie ai regali che sono stati fatti da questo e dai governi precedenti alla Chiesa, ai generali, ai banchieri, ai capitalisti.
Il reddito di cittadinanza si inserisce nel progressivo smantellamento dei servizi pubblici portato avanti dai governi che si sono succeduti, indipendentemente dal colore. A fronte del contributo in denaro, non viene garantito quello che una volta si chiamava salario indiretto, la sanità, l’istruzione, l’assistenza, quei servizi che andavano ad integrare il reddito dei cittadini.
L’impatto sociale di questo progressivo smantellamento non viene colto da nessuna forza politica istituzionale. Il ritiro dei servizi sociali dalle attività di cura, fa sì che queste ultime vengano scaricate sulla famiglia. Questi nuovi compiti assunti dalle famiglie ristabiliscono, ribadiscono, rafforzano la divisione del lavoro all’interno della famiglia in base al genere. Si restaura la famiglia patriarcale, che proprio la conquista di maggiori servizi sociali aveva permesso di mettere in crisi all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso.
Questo impatto sociale ha ripercussioni sul piano ideologico, perché sulla base del ripristino dei meccanismi tipici del patriarcato si sviluppano le ideologie maschiliste, si sviluppa una vera e propria persecuzione nei confronti delle donne per costringerle a rinunciare alla propria libertà, per far loro assumere quel ruolo che la divisione del lavoro all’interno della famiglia ha stabilito da millenni. Nella misura in cui il reddito di cittadinanza è un reddito destinato alla famiglia e non al singolo, disoccupato, povero, maschio, femmina, genitore, figlio, questa proposta ribadisce la divisione del lavoro nella famiglia.
Conclusioni
Alla base di questa proposta c’è l’idea che l’incremento del reddito monetario delle classi meno abbienti permetterebbe di rilanciare i consumi, aprendo quegli sbocchi ai prodotti che rimetterebbero in moto il processo produttivo, rilanciando così l’occupazione. In realtà il capitalismo non funziona così.
Lo scopo del capitalismo non è produrre merci, non è produrre beni e servizi. Quello che interessa al capitalista è il profitto, profitto che si realizza grazie alla presenza di acquirenti solvibili, ma che è molto basso nel settore dei beni e servizi di massa, anche nel caso di clienti solvibili.
Per questo la produzione si orienta sui beni di lusso, sui beni e servizi per le imprese sulla produzione di armi. Indipendentemente dal reddito disponibile, la produzione di beni e servizi di massa, non di lusso, rappresenta una parte residuale all’interno del processo produttivo. Per migliorare il reddito reale, per aumentare la massa di beni e servizi a disposizione non basta aumentare il reddito monetario, occorre pianificare la produzione e riproduzione sociale sulla base dei bisogni delle collettività, e non sugli interessi personali dei proprietari dei mezzi di produzione.
Tiziano Antonelli