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Per la sanità gratuita e universale

Per la sanità gratuita e universale

Giovedì 15 giugno scende in piazza l’Intersindacale medica in difesa del Servizio Sanitario Nazionale.

L’Intersindacale medica riunisce i sindacati di medici, veterinari e dirigenti sanitari; ad essa partecipano, oltre alle federazioni di categoria di CGIL, CISL e UIL, anche l’AANAO, la CIMO, l’AAROI-EMAC, la FASSID, la FVM. La manifestazione si inserisce nella mobilitazione promossa per la difesa del servizio sanitario nazionale, per le assunzioni di nuovo personale e per il rinnovo del contratto. Le iniziative di piazza, previste in otto città, saranno poco più che simboliche, anche se i segretari dei sindacati fanno un gran parlare di sciopero.

A Firenze sarà presente anche il neonato Coordinamento Toscano Salute-Ambiente-Sanità, l’organismo nato alla fine di maggio su iniziativa dei sindacati di base e conflittuali e che riunisce anche una quindicina di realtà locali impegnate in difesa della salute. Il Coordinamento diffonderà un proprio volantino, incentrato fra l’altro sulla critica della politica sanitaria della Regione Toscana, per le assunzioni a tempo indeterminato, per la medicina territoriale e per la riattivazione dei consultori per la salute delle donne, contro le spese militari.

Questo appuntamento sarà un passaggio importante per capire se sulla questione della sanità sarà possibile costruire un movimento di massa autonomo e unitario, o se queste scadenze continueranno a barcamenarsi tra le pulsioni corporative delle varie figure professionali e gli appuntamenti elettorali locali e regionali, che accendono e spengono i riflettori sui problemi della sanità rispondendo alle spinte delle varie liste in competizione.

Un primo passaggio è capire che un movimento di questo tipo non può prescindere dal collegamento con le lavoratrici e i lavoratori del settore, collegamento che però non può essere rappresentato dal rapporto con chi ha condiviso le scelte governative sulla sanità, scelte che il governo Meloni ha solo ribadito. CGIL, CISL e UIL, al di là delle dichiarazioni roboanti, sono stati complici dei tagli, delle privatizzazioni, della precarizzazione del personale. Se i grandi gruppi che controllano la sanità privata, privati e clericali, i boss degli appalti, i governi locali e nazionali sono i nostri avversari, i sindacati concertativi sono al loro fianco e non possono, non devono essere un interlocutore per il movimento.

Un altro passaggio importante è comprendere che il servizio sanitario nazionale rappresenta reddito indiretto, e le classi sfruttate hanno un interesse immediato al suo buon funzionamento. I comitati quindi devono uscire dall’equivoco di rappresentanti dei cittadini e porsi in modo chiaro sul terreno di classe, come momento unitario di organizzazione delle classi sfruttate per la gestione di un importante servizio sociale.

Balza immediatamente agli occhi come il peggioramento delle prestazioni fornite dal SSN si sia riflesso sulle condizioni di vita della classi a basso reddito, aumentando il peso dei costi della salute sul magro bilancio familiare, o addirittura costringendo a rinunciare a prestazioni indispensabili per una vita decente.

Il finanziamento de servizio sanitario nazionale deriva principalmente dai contributi sanitari pagati fino al 1997 dal datore di lavoro. Dal 1980 ad oggi si sono manifestate quattro tendenze:

1) lo spostamento dai contributi a carico del datore di lavoro alla fiscalità generale;

2) il crescente ruolo fiscale delle regioni;

3) un forte spostamento dei costi dalle imprese alle famiglie

4) il costante finanziamento in deficit.

Lo spostamento sulla fiscalità generale è dimostrato dal peso crescente dell’IVA tra le fonti di finanziamento. L’IVA è un’imposta che pesa maggiormente sui ceti a redditi più bassi, addirittura viene pagata anche dai senza reddito quando acquistano beni e servizi necessari al proprio sostentamento; quando si parla di famiglie, ovviamente, si parla di peso diverso a seconda dei livelli di reddito.

Dal 1997 l’IRAP e l’addizionale IRPEF rappresentano la capacità impositiva attribuita dal governo centrale alle regioni. Da quella data risulta evidente quanto è grande lo sforzo fiscale autonomo delle regioni e quanto sono necessari i “trasferimenti perequativi” dello Stato. Secondo quanto riporta la Voce.info, nel 2017 in Lombardia il primo era del 40 per cento, in Lazio del 37 per cento, in Emilia-Romagna del 35 per cento, mentre in Calabria e Basilicata solo dell’8 per cento e in Campania e Puglia del 16 per cento. In altri termini, nelle quattro regioni meridionali i trasferimenti statali coprono rispettivamente il 92 e l’84 per cento dei costi del SSN e senza questi trasferimenti non vi sarebbe una sanità regionale al Sud (dove oltretutto si registrano i maggiori deficit). Oggi solo il Veneto e altre cinque regioni e province a statuto speciale applicano ancora l’aliquota-base. Un possibile aumento di 0,5 punti dell’addizionale Irpef produce un gettito di 630 milioni in Lombardia, solo di 135 in Campania, di 51 in Calabria e di 19 milioni in Basilicata. Il federalismo fiscale in campo sanitario è un federalismo molto sperequato e a volte irresponsabile, dove è più facile essere virtuosi (e vantarsi) se si dispone di maggiore gettito.

I contributi sanitari a carico delle imprese (e della pubblica amministrazione) negli anni Ottanta e Novanta finanziavano il 40 per cento circa del sistema sanitario. Percentuale scesa con l’Irap al 35 per cento, tra il 1997 e il 2009, poi ancora al 26 per cento e ora stabilizzata al 18 per cento. Oggi, l’Irap grava sulle imprese e la Pa per 20 miliardi circa, quando dieci anni prima pesava per 30-33 miliardi. Si è registrato quindi un forte spostamento del carico fiscale dalle imprese alle famiglie, che oggi finanziano almeno il 65-70 per cento del Ssn. Questo processo verrà ulteriormente accentuato dalla ventilata abolizione dell’IRAP, questa abolizione escluderà del tutto le imprese dal finanziamento del Servizio Sanitario, nascondendo il fatto che la stessa IRAP assorbiva i contributi a carico del datore di lavoro, e nascondendo altresì che il luogo di lavoro è fonte di disagio e di malessere, spesso non identificabile con gli infortuni o le malattie professionali. D’altra parte sono le imprese le principali responsabili dell’inquinamento che è un’altra fonte del peggioramento della salute della popolazione.

Dal 1980 al 2017 il Servizio Sanitario Nazionale ha accumulato deficit per 98,9 miliardi (149,4 al valore del 2017). La ragione principale è da ricercarsi nel sotto-finanziamento ad opera del governo centrale; sotto-finanziamento che ha denunciato drammaticamente i suoi limiti nella recente crisi sanitaria.

Aziendalizzazione, vincolo di bilancio, sforzo fiscale, sussidiarietà sono le nuove parole d’ordine dei dirigenti del servizio sanitario nazionale. Parole d’ordine forse utili ad affrontare le sfide della finanza, a fornire al governo i fondi per nuove spese militari, non certo per rispondere alle esigenze della salute e dell’ambiente.

Ecco, a partire da un dibattito sul peso del servizio Sanitario Nazionale sulle classi proletarie è possibile costruire un fronte unitario di lotta contro il governo, i grandi gruppi privati e i sindacati collaborazionisti e corporativi.

Avis Everhard

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