Era dunque necessario, mentre la storiografia sull’anarchismo vive una straordinaria stagione di rinascita, creare un’occasione irripetibile come questa: un seminario / convegno sui generis e davvero impegnativo, un appuntamento con obiettivi ambiziosi, che faccia emergere nuove fonti, soprattutto di tipo soggettivo, per la storia della FAI. I contributi, già anticipati e resi pubblici in abstract, coprono un arco temporale vastissimo e, partendo dal dopoguerra, si concentrano poi sul lungo Sessantotto italiano e sui decenni successivi fino ai giorni nostri. La giornata di studi si articola in tre parti corrispondenti ad altrettante macro-sezioni tematiche (memoria militante, esperienze territoriali e storiografia), ciascuna animata da un discussant che organizzerà piccole tavole rotonde e momenti di dibattito con gli intervenuti su specifiche questioni. Successivamente, con la pubblicazione degli atti, si richiederà ai contributors di produrre veri e propri saggi.
Dalla lettura degli abstract emergono i contenuti degli interventi, che sono parecchio eterogenei, e che si qualificano spesso per la loro riflessione personale e originale, per una dimensione militante intrecciata talvolta con quella variegata del vissuto esperienziale.
Dopo gli approcci da storici dei partiti e dei movimenti politici, dopo la straordinaria esperienza di redattori di biografie e storie di vita, ci avviciniamo con fiducia e umiltà alle pratiche della storia orale che, riteniamo, non debbano essere considerate di rango inferiore rispetto agli atti e ai documenti ufficiali. Nel caso la “leggerezza” non ci disturba ed anzi ci permette di andare ancora più in profondità.
Nel volgere degli anni Settanta del secolo scorso, durante alcuni animati congressi della Federazione, vennero evocate – in contesti di discussioni diverse – alcune figure retoriche che oramai sono rimaste impresse nell’immaginario di quella generazione di militanti. “La FAI è un sentimento!”, vero refrain inventato dal creativo Pasquale Masciotra indicava un senso di appartenenza che avrebbe dovuto essere affidato anche alla forza del cuore e delle emozioni. Il “costume anarchico” era invece il richiamo all’etica dei comportamenti del nostro caro Umberto Marzocchi (classe 1900!), che volentieri sopportava i lazzi e gli scherzi di quelli nati mezzo secolo dopo di lui proprio sul “costume”… da bagno, dicevano i settantasettini, e magari rosso e nero. Un’altra frase rimase famosa, però in ambito più ristretto: “La FAI deve essere come un miccia!”, intendendo con questo che la Federazione dovesse svolgere funzioni propedeutiche allo scoppio dell’evento rivoluzionario. Ma la “miccia”, per i contadini della Toscana meridionale, altro non è che la ciuca, ossia un collaborativo e prestevole animale da soma. E rimase allora l’equivoco.
Ricapitolando allora ecco gli ingredienti della nostra ricerca rivoluzionaria: sentimento, costume e perché no, anche una bella ed efficiente miccia.
Giorgio Sacchetti