Mercato editoriale: un sistema sostenibile?

Nonostante a partire dal 2008 abbia dovuto affrontare la crisi economica e finanziaria da una parte e dall’altra la forte concorrenza di altri prodotti per l’intrattenimento, l’editoria è ancora oggi il primo mercato culturale in Italia (e lo è rimasto anche durante i vari lockdown). Anzi, il 2019 sarà ricordato come un anno da record per l’editoria libraria italiana: secondo i dati di AIE (Associazione Italiana Editori) in quell’anno il fatturato dell’editoria italiana di varia (romanzi e saggi in formato cartaceo ed e-book) è cresciuto del 4,9% e, per la prima volta dal 2010, sono aumentate le copie vendute (+3,4%) nei canali trade, ovvero librerie, grande distribuzione organizzata e store online. I dati pubblicati nel rapporto di ottobre 2022 parlano di un mercato in crescita del 10,7% rispetto al 2020, che pure era stato un anno buono, se si conta che a ottobre dell’anno del Covid la percentuale di italiane/i (15-74 anni) che ha dichiarato di aver letto un libro (compresi ebook e audiolibri) negli ultimi dodici mesi si attestava al 61%, contro il 58% del 2019 e il 55% del 2018. Il trend per il 2023 appare ancora in crescita.

Lo stesso rapporto AIE afferma: “I libri sono al centro della produzione culturale (perché dai libri nascono anche spesso i film per la Pay tv e i videogiochi). Nessun altro settore genera un mercato così ricco. […] Il mondo del libro è un universo che dà lavoro a oltre 70.000 persone nella cosiddetta filiera. Le librerie sono 3.000. […] Tutte insieme le case editrici sono 5.200 […]. L’Europa è al centro dell’editoria mondiale, il nostro mercato si colloca al quarto posto e il catalogo italiano conta 1,3 milioni di titoli (con più di 85.000 titoli pubblicati ogni anno)”. Sempre secondo AIE, il mercato editoriale si regge su un “nocciolo duro” di lettori e lettrici: il 32% (di quel 61% sopra citato) dichiara di leggere più di sette libri l’anno, generando il 52% delle vendite.

Tra voi che mi leggete sono pronta a scommettere che ci sia chi appartiene a questo gruppo: l’oggetto libro è per noi una consuetudine, uno strumento di lavoro ovvio, un compagno fedele; la libreria è un luogo che frequentiamo, se non spesso, per lo meno con regolarità. Per questo motivo conoscere la filiera del libro, per noi, è importante: si tratta di guardare da vicino uno dei nostri strumenti preferiti. E, per farlo, mi sembra che ragionare sulla sostenibilità del settore entro cui i libri sono scritti, lavorati, distribuiti e venduti sia un buon punto di partenza.

La sostenibilità di un settore, come di una qualsiasi impresa, deve essere valutata rispetto a tre principali criteri: economico, ambientale, sociale. Il termine “sostenibile” non riguarda quindi solo l’impatto ambientale di un settore, ma anche il suo effetto sociale ed economico. Alcuni di questi aspetti non sono facili da misurare, poiché alcuni dati sono considerati “latenti”, cioè non direttamente rilevabili. Per questo motivo, esistono degli indicatori che dovrebbero aiutare a svolgere questa valutazione.

Il primo, definito “Conformità”, riguarda il rispetto delle leggi e degli standard nazionali e/o internazionali. Ad esempio, un indicatore misurabile può essere la quantità di multe ricevute per infrazioni. Per quanto riguarda il settore editoriale, un caso emblematico è quello di Grafica Veneta, tipografia che stampa i libri di molti e importanti editori italiani e che è stata accusata e condannata lo scorso anno (a una pena esclusivamente pecuniaria di 45.000 euro) per sfruttamento del lavoro. Vale la pena notare che nell’anno di riferimento, il 2020, l’azienda non versava in difficoltà economiche: l’anno si era chiuso con ricavi saliti dai 61 milioni del 2019 a oltre 137 milioni. Un altro caso di cui si è sentito parlare, perché ha letteralmente bloccato la distribuzione libraria, è quello della Città del libro di Stradella, il magazzino dal quale passa la stragrande maggioranza dei libri italiani. Per anni la Città del libro è stato teatro di scioperi e mobilitazioni di magazzinieri e facchini, che hanno portato infine al commissariamento per caporalato di un gigante della logistica come Ceva logistics.

Il secondo indicatore, detto “Uso dei materiali e Performance”, misura le quantità di risorse e materie prime utilizzate, la quantità di rifiuti e le emissioni che ne derivano di conseguenza. Include quindi l’aspetto di sostenibilità ambientale ed economica. Sono tante le questioni che si potrebbero trattare in riferimento al settore editoriale, a partire dall’annosa questione che ruota attorno alla domanda se l’ebook sia più o meno sostenibile del libro cartaceo (la risposta è complessa, perché per fare questa valutazione è necessario prendere in considerazione anche il ciclo di vita dell’e-reader). Un altro tema caldo è quello della crisi della carta, che ha visto lo scorso anno un aumento dei costi fino all’80%. Su questo punto, la prima cosa da osservare è che non è la stampa di libri ad aver causato un aumento esponenziale della richiesta di carta: la tendenza “green” – che spesso e volentieri non è che greenwashing – ha portato sempre più le aziende di tutti i settori a optare per sacchetti e packaging di carta e cartone, a volte ma non sempre riciclata. Inoltre, nella filiera delle carte grafiche le più richieste sono la carta stampata e i cataloghi pubblicitari, seguiti dalla carta da ufficio, da quotidiano e solo in ultimo libraria. A questo, si aggiunge l’aumento legato all’impennata dei prezzi dell’energia e di trasporto.

D’altra parte, non è che il settore editoriale non abbia le sue ombre. Con più di 85.000 opere proposte sul mercato ogni anno, non si può certo dire che di libri non ne siano stampati a sufficienza. In molti casi, però, queste copie stampate rimangono invendute: secondo Istat, nel 2020 le copie cartacee stampate sono state circa 173 milioni a fronte di una quota di lettori e lettrici di libri cartacei che non raggiungeva i 22 milioni di individui (di cui, se vi ricordate, il 32% legge più di sette libri l’anno, ma per “coprire” il numero di copie stampate sarebbe necessario che ognuno di questi 22 milioni di lettori e lettrici leggesse otto libri l’anno). Pertanto, nello stesso 2020 il 24,8% degli operatori del settore ha dichiarato una giacenza di copie invendute nei magazzini e rese per oltre la metà dei titoli pubblicati. Ecco come funziona: quando un libro è pronto per essere messo in commercio, alle librerie sono inviate le copie richieste e la società distributrice dovrebbe accreditare quanto dovuto agli editori. Spesso, specialmente se un editore è piccolo e con poco potere di contrattazione, quei soldi arriveranno dopo un periodo che va da quattro a sei mesi. Nel frattempo le librerie, se si accorgono che dopo un trimestre le copie non sono ancora state vendute, possono decidere di restituirle al distributore, che le rimette in magazzino e ne detrae il valore dalla cifra comunicata in precedenza all’editore. Questo meccanismo determina prima di tutto il fatto che molti editori pubblicano novità a ciclo continuo per compensare i resi con nuovi titoli e tenere artificialmente alto il credito di cui godono con la distribuzione. Quando i resi cominciano a diventare troppi, il distributore scrive all’editore chiedendogli di riprendersi i volumi e questi ritira dunque a proprie spese i libri invenduti. Talvolta, ma non sempre, si tratta di volumi danneggiati, che hanno subito vari trasporti, sono stati toccati dai clienti delle librerie, oppure trattano temi ormai obsoleti. Insomma, non più vendibili. E cosa succede a queste copie invendute che tornano all’editore? Spesso il loro destino è il macero, perché macerare i libri conviene più che conservarli.

Il terzo indicatore, “Effetti”, mette insieme una valutazione dell’impatto ambientale totale, delle norme di sicurezza adottate per tutelare i lavoratori, verifica quanti sono stati gli incidenti sul lavoro. Si tratta quindi di un indicatore che tiene conto degli ambiti sia sociale che ambientale e si ricollega con quanto detto riguardo ai due indicatori precedenti.

Abbiamo poi l’indicatore “Supply Chain e Ciclo di Vita del Prodotto”, che esamina in modo specifico il ciclo di vita del prodotto, dal reperimento delle materie prime fino allo smaltimento finale. Per questo è utile conoscere, ad esempio, se i fornitori utilizzano fonti di energia rinnovabile, la quantità di CO2 emessa, di nuovo, per il trasporto del prodotto, o, ancora, se il prodotto può essere riciclato.

Infine, c’è il “Sistema sostenibile”, che indaga come il settore si inserisce nel contesto sociale. Valuta i rapporti nazionali o internazionali e l’impatto sul territorio locale, mostrando anche come influisce sulla qualità di vita dei propri lavoratori e della comunità di riferimento. In questo senso, uno dei principali problemi del settore che stiamo prendendo in esame è l’invisibilità del lavoro in alcuni nodi fondamentali della filiera: chi legge spesso non ha idea del processo attraverso cui il libro è arrivato nelle sue mani. Nelle statistiche AIE sull’andamento del mercato non si parla quasi mai di lavoro: tornando al già citato rapporto in cui si riportava di 70.000 impiegati nel settore, non si approfondisce dove questi siano collocati e quale sia la loro forma di inquadramento (spoiler: il settore si appoggia su finte partite iva e stagisti sottopagati). Quest’ultimo è l’indicatore più interessante in virtù della sua definizione come “sistema”, che ben esprime come tutti i dati vadano valutati sempre in rapporto l’uno con l’altro, poiché spesso si sovrappongono e si rafforzano, o indeboliscono, a vicenda.

Siamo d’accordo: i libri, almeno alcuni, sono molto più di oggetti e merci. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che dietro a ognuno di essi c’è un processo di produzione altamente professionalizzato atto a garantirne, almeno in teoria, la qualità e l’efficacia come strumento culturale. Svalutare il processo di produzione editoriale (e, visto come vanno le cose, più in generale “culturale”) vuol dire togliere cura e attenzione al perfezionamento di un delicato mezzo di comunicazione e sviluppo di saperi e coscienza.

Sara Marchesi

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