Generalmente trovo difficile rimanere colpito o emotivamente coinvolto dalla scomparsa di personaggi più o meno famosi: la distanza creata dalla non conoscenza diretta, dalla lontananza reale, dall’appartenenza a mondi diversi crea una barriera che impedisce una vicinanza concreta, una partecipazione sentita e un dolore effettivo che possa andare oltre allo smarrimento e allo sconcerto immediato. Generalmente però non significa sempre e una delle eccezioni a questa mia mancanza di empatia è sicuramente rappresentata da Stefano Benni, scrittore che ho iniziato a leggere quando ero poco più che bambino e che continuo ad ammirare adesso che sono poco meno che anziano. Nel corso di tutti questi anni le sue storie e i suoi romanzi mi hanno accompagnato, prima come favole moderne, divertenti e appassionanti, e in seguito come un modo alternativo e sorprendente di raccontare una realtà che mentre crescevo mi si rivelava sempre meno a misura d’uomo e sempre più dominata da dinamiche tanto incomprensibili quanto assurde e ingiustificabili. Ecco allora che nel suo mostrare il lato ridicolo del potere, di ogni potere, svelandone debolezze e fragilità, nel suo denunciare con impareggiabile ironia l’insensatezza della società in cui viviamo irreggimentati e contenti, nel suo esaltare le diversità che rendono ogni individuo unico e prezioso, nel suo raccontare le gesta di antieroi ribelli che conoscono paure e incertezze ma che non si arrendono e cercano di cambiare il mondo prima che il mondo cambi loro, ho trovato un’incredibile assonanza, unica e geniale, con quelle idee e valori che cominciavo a ritenere sempre più irrinunciabili, una sorta di anarchismo letterario che ha accompagnato, arricchito, rafforzato e umanizzato il mio anarchismo politico-sociale.
Riuscire a salutare in maniera adeguata un virtuoso equilibrista della parola scritta non è certamente un compito facile, usare vocaboli come dissacrante, corrosivo, irriverente o scomodo, che lui considerava non propriamente elogiativi, o frasi stereotipate e convenzionali rischierebbe di trasformare quello che vuole essere un omaggio sincero e un ringraziamento appassionato in uno dei tanti coccodrilli preconfezionati e pronti all’uso e di far urlare a Stefano Benni: “Aiuto! Un coccodrillo! Il coccodrillo del direttore! Mi mangia! Apre la bocca e… ecco, escono le parole… collega esemplare… aiuto! Limpida carriera professionale… donò tutta la sua carica di entusiasmo… aiuto. Nooo! Lo vedo! Il coccodrillo in terza pagina!” (Terra!). Forse allora il modo migliore per ricordarlo è farsi guidare dalle emozioni che ha saputo suscitare: a me piace immaginarlo come il Primo Alchimista Ermete Trismegisto uno dei personaggi di “Elianto”, il suo libro che ho amato di più, intento a costruire neologismi inarrivabili mescolando sapientemente aggettivi e nomi, preposizioni e verbi, articoli e pronomi, a creare eroi memorabili miscelando paure e speranze, debolezze e virtù, vulnerabilità e determinazione, per far emergere dalle acque ribollenti di Protoplas, Margherite e Achilli, Saltatempi e Prendilune, Nonni Stregoni e Memorini, Elianti e Carmille…
È sempre complicato trovare una ragione e una giustificazione alla morte, a meno che non si voglia accettare la teoria esposta da Talete Fuschini: “Io credo, disse Talete, che la morte di
una persona non dipenda mai dalla malattia o morbo che dir si voglia. Le malattie sono, diciamo così, dei trucchi con cui il Supremo Manovratore dissimula il vero meccanismo della vita e della morte e cioè il Bonus Vitale Individuale. Codesta teoria sostiene che a ogni essere vivente prima della nascita viene assegnato un Bonus di attività vitali, che lo accompagnerà nel suo cammino terreno. Per fare un esempio, nel Bonus sono compresi: trecentomila birre, un milione e diciassettemila starnuti, (…) seicentoventi pediluvi, quarantasei chilometri di spaghetti, trecentosettantamila errori di ortografia” (Elianto). Forse Benni ha semplicemente esaurito il suo Bonus Vitale Individuale, facendoci sorridere, pensare, versare una lacrima, sorgere un dubbio una volta in più di quanto gli fosse stato concesso.
Si sa, il lupo è un animale che non si lascia addomesticare, e così anche Lupo Benni ha talvolta sentito il bisogno di digrignare i denti e ululare alla luna la sua disperata speranza per un mondo migliore e insieme la sua frustrazione per l’indifferenza dei più, ormai assuefatti e incapaci di vedere oltre il proprio presunto utile immediato, riuscendo ancora una volta a interpretare i sentimenti, le aspirazioni e le delusioni di coloro che non si vogliono arrendere e continuano a lottare, affannarsi e sperare: “Mi rimane solo questo maestro, questa dignità che è così poca ma basta a far abbassare il loro sguardo, e questa è la strada, maestro, in cui io non trovai alla fine la mitezza che tu insegnavi. E chi difenderà ora le offese fatte a chi non può difendersi, e l’ordine al soldato impaurito e il dolore cancellato e deriso, porci servi di servi assassini ogni volta che siete cinici e parlate di realismo e siete egoisti e lo chiamate buonsenso e grondate indignazione per i crimini altrui mentre ogni giorno preparate i vostri con cura (…) la gente cade per terra, parla da sola, vomita e crepa e tutti passano e non hanno visto niente” (Comici spaventati guerrieri).
Aldilà delle idee e delle teorie politiche, delle critiche alle ingiustizie e alle disuguaglianze della società attuale, gli antieroi benniani si ribellano soprattutto per un motivo che potremmo definire “umanistico”, l’impossibilità cioè di poter esprimere tutto il proprio essere, completo e complesso, di inseguire i propri sogni senza costrizioni e imposizioni, di realizzare le proprie aspirazioni, di essere artefici del proprio destino e della propria felicità, di essere diversi da come gli altri li vogliono, di rivendicare la propria unicità contro l’omologazione di una realtà ormai standardizzata e gerarchizzata, e nel fare questo cercano di demolire il mondo egoistico che nega loro ogni opportunità e di costruirne al suo posto uno nuovo, più solidale e adatto a un’ “umanità nova” , concetto magistralmente riassunto da Benni con tredici semplici parole: “Se i tempi non richiedono la parte migliore di te, inventa tempi nuovi.”
Alessandro Fini