Sono passati 50 anni dall’eccidio di Avola: la morte di due braccianti e di numerosi feriti pose in evidenza la violenza repressiva poliziesca e la solidarietà del proletariato italiano. La risposta dei partiti dei tempi fu una campagna o strombazzamento contro le armi utilizzate dalla polizia solo nelle manifestazioni politiche e lavorative. Quando la reazione popolare sull’eccidio di Avola cominciò a scemare, i partiti lasciarono morire questa questa campagna o strombazzamento.
I/le sopravvissuti/e a questo eccidio ebbero come unico risultato l’oblio e l’accettazione – quasi da personaggi verghiani oseremo dire – dello status quo.
Per non dimenticare quello che accade, pubblichiamo un estratto dal libro di
Domenico Tarantini, “L’ordine manipolato. La violenza pubblica da Avola a piazza Fontana”, De Donato, Bari, 1970.
Tutto avvenne, ad Avola, nel pomeriggio di lunedì 2 dicembre 1968, al ventesimo chilometro della strada statale 115, quasi alle porte del paese. Ancora molte ore dopo, verso le dieci di sera, giornalisti e fotografi accorsi dal «continente», giunti a quel punto della strada che collega Avola a Siracusa, non riuscivano a passare. Le automobili non potevano transitare per via delle pietre e dei bossoli che coprivano l’asfalto. Era uno «spettacolo desolante». I nuovi arrivati avevano l’impressione che in quel punto si fosse svolta una «accanita battaglia» tra polizia e dimostranti. Le carcasse di due automezzi della «forza pubblica» erano ancora fumanti, e qua e là, sull’asfalto, chiazze di sangue rappreso[1]. È Avola una cittadina di circa trentamila abitanti. Emerge tutta bianca in una campagna d’agrumeti e di mandorli e s’affaccia piena di speranze sul mare. Il prefetto, il questore, il vescovo —vale a dire i perni amministrativi, politici e religiosi della struttura sociale— non sono molto lontani: il capoluogo della província, Siracusa—nome caro ad antiche memorie è vicino. Avola è uno dei centri urbani politicamente piú attivi dell’isola. Vi sono state combattute «memorabili battaglie politiche e sindacali» [2], che hanno consentito un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione povera e bracciantile. Il paese si trova, tuttavia, in una zona caratterizzata da un’economia precária e disorganizzata e tutt’altro che avviata verso un processo di sviluppo programmato e razionalizzato. La situazione è quindi bloccata in una serie di problemi la cui soluzione si fa sempre piú pressante. Il 29 novembre 1968 i proprietari terrieri rompono con le organizzazioni sindacali dei braccianti le trattative per il nuovo contratto di lavoro, e la situazione, già tesa da qualche giorno, si aggrava. I braccianti invadono la strada per Siracusa e vi si siedono, bloccando il traffico. Un deputato comunista li convince a desistere promettendo di recarsi con alcuni scioperanti e qualche sindacalista dal prefetto per chiedere che intervenga convocando súbito nel suo ufficio una riunione tra agrari e lavoratori, per la ripresa delle trattative.
Il prefetto dapprima rifiuta («per ragioni di prestigio personale»), poi acconsente a convocare le parti, ma non per quella sera: «essendo stanco, ed avendo perduto sonno tutta la notte, non era in grado di affrontare un’altra lunga discussione». La riunione viene fissata per l’indomani, ma i proprietari terrieri non si presentano: fanno sapere che attendono da Roma un loro rappresentante nazionale. Il prefetto comunica le notizie ai sindacalisti «lasciandoli in piedi, in pochissimi secondi, e senza permettere che prendano la parola». A uno della CISL, che tenta di dire qualcosa, impone perentoriamente di tacere:«Non ammetto discussioni». L’indomani, però, dopo un nuovo intervento di un altro deputato e del sindaco di Floridia, il prefetto consente a convocare le parti per quella sera stessa; ma ancora una volta gli agrari non si presentano, e la riunione viene definitivamente fissata per il 3 dicembre. La notizia fa esplodere il risentimento dei braccianti, e ad Avola viene proclamato lo sciopero generale. Fin dal mattino del 2 dicembre, il paese è fermo. Verso le 8 il prefetto telefona al sindaco annunciandogli che arriverà la forza necessária per sbloccare il traffico stradale. Il sindaco lo scongiura di non mandare la polizia, perché «la situazione potrebbe precipitare».Ma verso le 11 arriva la célere, e si ferma davanti agli scioperanti, che sono in parte seduti in mezzo alla strada, al bivio del lido di Avola. Ma leggiamo il racconto del sindaco:
Mi reco sul posto, parlo con il vice-questore,invitandolo a non fare precipitare la situazione: mi risponde che ha ricevuto ordine di sgombrare il campo per passare e deve mettere in esecuzione l’ordine. Lo prego di attendere per darmi il tempo di telefonare al prefetto. È ciò che ho fatto. [Gli] dico che la situazione è sempre piú delicata, in quanto si stanno dirigendo sul posto donne e bambini. Lo invito a far ritornare indietro la polizia. Il prefetto mi risponde che l’ordine è stato dato: la polizia deve passare. Mi invita a cingere la sciarpa tricolore e a collaborarci per il ripristino della legalità. Gli rispondo che mi recherò sul posto per tentare di scongiurare ciò che poi è avvenuto. [Dal commissariato] parlo via radio con il vicequestore che comanda le forze di polizia al bivio di Avola Lido. Lo prego di attendere il mio arrivo sul posto […] ma quando arrivo trovo già i commissári con la sciarpa tricolore pronti a dare gli ordini e gli agenti che, scesi dalle auto, avevano messo gli elmetti e si preparavano ad innescare le bombe lacrimogene nei fucili. Cerco di fermarli, ma mi si impone di allontanarmi e di mettermi da parte. Contemporaneamente vengono suonati gli squilli di tromba e lanciate le bombe lacrimogene. Volano sassi e si spara da parte degli agenti […] il fuoco è durato a lungo, 25 minuti circa. [3]
A questi tragici avvenimenti —narrati con tanta amara franchezza dal sindaco la stampa italiana dedica molto spazio. Se si tralasciano le sfumature non significative, è possibile tentare un’analisi, sia pure sommaria, dell’atteggiamento dei giornali raggruppandoli in:
a) quotidiani che gravitano nell’area politica della destra;
b) quotidiani definibili moderati;
c) quotidiani governativi o di centro-sinistra;
d) organi d’informazione dei partiti.
I giornali del gruppo b) assumono un atteggiamento simile a quelli del gruppo a). Le corrispondenze sono ispirate da un senso di disappunto per l’accaduto e di pietà per le vittime. I cronisti si domandano «perché» si è sparato, se era proprio necessario arrivare a questi estremi rimedi, se non vi sono state manchevolezze, colpe, errori. Tutto è detto con avvedutezza: si cerca di far sentire il dispiacere per l’accaduto, ma senza emettere giudizi. Il comunicato delle autorità di polizia viene integrato da qualche notizia attinta tra la popolazione. Negli editoriali l’atteggiamento cambia. Si afferma che il diritto al lavoro è sacro e si riconosce che le masse hanno ragione se lottano per ottenere o conservare il lavoro o per migliorarne le condizioni. E s’arriva al sodo: la libertà non va confusa con la licenza; la violenza è ingiustificabile; la colpa non è delle masse, ma di una minoranza di provocatori. Non si esita ad affermare perfino che ci si trova di fronte addirittura ad operazioni di «guerriglia», la quale, ovviamente, è promossa e organizzata dai comunisti. I giornali del gruppo c) denunciano generalmente una vivace insofferenza per l’accaduto. L’eco degli spari, rimbalzando dalla Sicilia alla Penisola, turba improvvisamente l’equilibrio politico che si cerca di riassestare, minaccia la ricostituzione del centro-sinistra e la formazione del nuovo governo, è insomma una improvvisa e dura mazzata sulla testa. Nelle corrispondenze si sente perciò un taglio nuovo. I fatti sono raccontati in base alle testimonianze raccolte tra la gente, anziché riferendo le prime versioni fornite dalle autorità. [4] L’insofferenza di questi giornali è chiara negli editoriali. Talvolta perfino la cautela è dimenticata.«Il giorno»,per esempio non esita, a scrivere che bisogna togliere il mitra alla polizia e che i prefetti, se vogliono sopravvivere, debbono imparare a comportarsi diversamente. [5] Tra i giornali di partito,«l’Unità» si distingue per la violenza della sua reazione. Riferendo quanto appreso dagli scioperanti, il giornale (4 dicembre ’68) afferma che i poliziotti, «dopo aver lanciato un gran numero di bombe lacrimogene e incendiato con colpi d’arma da fuoco le motociclette dei lavoratori», hanno «sparato a zero sui braccianti». Dalla consultazione della stampa quotidiana è possibile trarre una considerazione di carattere generale: per la prima volta, un fatto come quello di Avola suscita reazioni di compianto anche in certi giornali chiusi in una sfacciata política reazionaria. Occorre però rilevare che un altro fatto nuovo è accaduto dopo la sparatoria: un comunicato del Quirinale ha annunciato che «i luttuosi fatti di Avola sono stati appresi con costernazione». Piú tardi, verrà diffusa la notizia che il Ministro degli Interni ha «messo a disposizione», cioè ha rimosso dal suo posto, il questore di Siracusa. Ed anche questo non era mai accaduto prima. I due morti di Avola hanno dunque veramente addolorato tutto il paese? Si è commossa anche l’ltalia ufficiale? Oppure è un’ipocrisia?[6] II paese si trova in una delicata congiuntura politica. Il governo-ponte del senatore Giovanni Leone è dimissionario ed i partiti del centro-sinistra stanno laboriosamente trattando la formazione di quello che sarà poi il primo governo Rumor. In questa situazione il piombo di Avola è per lo meno inopportuno. I tre chili di bossoli raccolti sull’asfalto potrebbero trasformarsi in un peso intollerabile perfino da parte delle forze politiche piú conservatrici. Ma non accade. La tradizione ha radici rigogliose nel terreno della società italiana. Per la crisi del governo, il Parlamento — secondo la tradizione — è chiuso. Non può, pertanto, occuparsi di Avola. Il presidente della Camera, Pertini, per iniziativa dei comunisti, consente però che se ne possa discutere, eccezionalmente, in sede di commissioni riunite, degli Affari interni e del Lavoro (la sparatoria, infatti, è un affare interno ed è stata causata da motivi di lavoro). Il discorso del Ministro degli Interni si basa sui seguenti punti fondamentali:
1) mantenere l’ordine è indispensabile;
2) la formazione degli agenti e le direttive del Ministero circa l’uso della forza si ispirano al rispetto della vita umana e alla tutela dei diritti civili di tutti i cittadini;
3) le forze di polizia rendono al paese un «grande servizio», che non può essere in alcun modo offuscato da singoli fatti, per quanto dolorosi. [7]
Lo scontro, dice Restivo, si è avuto dopo che i dimostranti hanno cominciato a lanciare sassi: la polizia ha impiegato i «candelotti fumogeni», però «con scarso risultato, data la natura del terreno e il vento contrario». Esauriti i candelotti, «gli agenti erano costretti a ripararsi negli automezzi, due dei quali venivano rovesciati dai dimostranti e incendiati». II vicequestore, alcuni funzionari ed ufficiali e vari agenti venivano colpiti dalle sassate, ed il reparto «venne a trovarsi scompaginato e privo di una efficiente direzione». Ne derivava una confusione generale «aggravata dal fumo degli incendi, dalle grida della folla e dal lamento delle persone colpite», ed «i militari, temendo per la loro incolumità, esplodevano numerosi colpi d’arma da fuoco». Alla discussione di questa relazione partecipano vari deputati. Le tesi democristiane non sono concordi. Marcello Sgarlata (DC) parla di «atteggiamenti esasperati» degli scioperanti e ritiene «di dover dare atto che […] le forze di polizia hanno usato notevole moderazione».
Amelia Miotti Carli (DC) afferma che «nessuno può pensare che [lo scontro] sia stato premeditato, e si deve ritenere che si sia creato uno stato d’orgasmo e di eccitazione che hanno fatto precipitare gli avvenimenti».
Ines Boffardi (DC), invece, deplora l’accaduto, è «convinta che la polizia nei conflitti di lavoro debba essere disarmata» e si «associa a coloro che hanno decisamente riprovato il comportamento degli agrari, i quali hanno atteso la tragédia per addivenire a una soluzione della vertenza».
Per il PSI parlano Lupis e Servadei. Lupis —che sarà ministro nel nuovo governo di centro-sinistra —afferma che «è mancato il senso della responsabilità nelle forze dell’ordine». Servadei indica le cause degli avvenimenti negli «squilibri socio-economici esistenti nella zona» e nelle «responsabilità non soltanto dei ceti padronali ma anche degli organi amministrativi periferici, che mostrano scarsa sensibilità nei confronti dei problemi dei lavoratori». Per il PLI Benedetto Cottone sostiene che «gli avvenimenti di Avola dimostrano l’esistenza di carenze politiche a vario livello».
Per i missini, Franchi afferma che ad Avola «sono stati messi allo sbaraglio da una parte i lavoratori, dall’altra la pubblica sicurezza» e che ciò «probabilmente non sarebbe accaduto se fosse stato regolamentato il diritto di sciopero».
Per i comunisti, Antonio Piscitiello, premesso di aver partecipato agli avvenimenti, afferma che il prefetto ed il direttore provinciale dell’ufficio del lavoro hanno sostenuto la resistenza degli agrari. Asserisce di aver informato telegralicamente, prima degli scontri, il Ministero del Lavoro sulla situazione drammatica della zona, e di aver ottenuto dal prefetto che la polizia non sarebbe intervenuta. Dichiara che la polizia non sparò per legittima difesa e chiede che vengano puniti i responsabili e disarmate le forze dell’ordine impiegate in simili occasioni. La sparatoria e le vittime di Avola sono una doccia fredda per il paese. Non è la prima volta che i colpi delle armi da fuoco pubbliche riecheggiano dalla Sicilia alle Alpi, ma ora questi colpi esplodono in un momento delicato. La reazione generale è quindi vivace. Dopo il comunicato che rende nota agli italiani la «costernazione» del presidente della Repubblica, il presidente della Camera, Pertini, invia al sindaco di Avola un telegramma di cordoglio a nome dell’assemblea. La commozione e la riprovazione, scrive qualche giornale, suscitate in tutto il paese accomunano le forze politiche. La segreteria della democrazia cristiana chiede una sollecita inchiesta che accerti ogni responsabilità. Il segretario del PSI invia Lupis ad Avola «per collaborare ad ogni accertamento e d’intervento». L’ufficio politico del PCI esprime «sdegno e dolore» ed «attribuisce le cause remote della tragédia alla campagna condotta dalle forze reazionarie contro le lotte in corso nel paese per ottenere migliori condizioni di vita, di lavoro e di studio ed un ampliamento reale della democrazia». Il governo, il parlamento, le segreterie dei partiti mandano ad Avola decine di corone di fiori per i solenni funerali pubblici delle vittime. Il governo invia anche un próprio rappresentante alle onoranze funebri. L’«Avanti!» (4 dicembre 1968) può constatare perciò che «mai si era verificata una così vasta, totale manifestazione di condanna».
Per il giornale socialista:
ciò vuol dire che avvenimenti come quelli che hanno visto ancora una volta il sangue dei lavoratori macchiare le strade e le piazze del Paese non sono piú tollerati. Il ricorso alla violenza, l’uso delle armi contro i cittadini che manifestano per le proprie idee o difendono i propri interessi di lavoro sono metodi che non hanno piú alcun rapporto con la coscienza generale del Paese. Sono dunque metodi da bandire per sempre e questa deve essere la volta in cui il basta degli italiani deve trovare nelle iniziative e nei provvedimenti dei pubblici poteri la dimostrazione che basta per davvero. [8]
Ma «basta per davvero»? Sembra di sì: molti affermano che è necessário un rinnovamento di certi metodi e pratiche sbrigativi ,e chiedono a gran voce il disarmo della polizia. Si badi: non un disarmo generale e totale, ma il disarmo delle forze dell’ordine impiegate «per ragioni politiche e sindacali». Siamo dunque a una svolta? In questo clima proseguono e si concludono le trattative per la formazione del nuovo governo. Il centro-sinistra riprende, dopo una interruzione di pochi mesi, il suo cammino. Nuovi e gravi problemi incombono,e il discorso sull’«ordine pubblico» a poco a poco si attenua, finisce per spegnersi. […]
Note
[1] “I contadini uccisi ad Avola volevano solo trecento lire in più”, “L’Espresso”, 8 Dicembre 1968. Articolo scritto da Mauro de Mauro. Link: http://temi.repubblica.it/espresso-il68/1968/12/08/volevano-solo-trecento-lire-in-piu/?printpage=undefined
[2] “I fatti di Avola”, La voce repubblicana, 4 Dicembre 1968
[3] “La verità su Avola”, Avanti, 8 Dicembre 1968. Link: https://avanti.senato.it/avanti/js/pdfjs-dist/web/viewer.html?file=/avanti/files/reader.php?f%3DAvanti%201896-1993%20PDF/Avanti-Lotto2/CFI0422392_19681208_284.pdf
[4] Tratto da «Il Giorno», 4 Dicembre 1968: «Molti affermano di aver udito una voce gridare piú volte: “Sparate”. Giuseppe Maggio, un contadino di 22 anni, racconta come è morto Scibilia: «L’ho visto cadere, poi si è rialzato, è cascato di nuovo. Mi sono accovacciato vicino a lui e gli ho detto che aveva una ferita: ha risposto di no, non sentiva piú niente; aveva un buco nel fianco destro, già nero di sangue. L’abbiamo portato in un posto riparato e ha detto: “Lasciatemi riposare perché sto soffocando.” L’abbiamo messo sulla 500 del sensale Nuzzo Bellomo, che l’ha portato all’ospedale, ma non c’era proprio piú niente da fare». Allo scontro di ieri ha assistito anche un bambino, Paolo Petroncini, di 7 anni: «Ero andato a vedere» dice «quando ho sentito gli spari mi sono nascosto sotto un ponticello; vicino a me c’era Paolo Caldarelli [è uno dei feriti]; è arrivato un poliziotto e ci sparau».Ti sei spaventato? Hai pianto? «No» risponde Paolo «io m’ammucciava [mi nascondevo]»
[5] Forcella, «Il Giorno», 4 Dicembre 1968:«A una polizia che dimostra di avere il mitra facile non resta che toglierci il mitra. I prefetti, se vogliono dimostrare di poter sopravvivere al riordinamento in corso delle strutture statali (le Regioni,la eventuale abolizione delle Province), debbono imparare a comportarsi diversamente»
[6] Scrive il mensile torinese «Resistenza» (Dicembre 1968):
«L’elemento nuovo è stato, questa volta, l’ipocrita partecipazione al dolore dei lavoratori. Parliamo di ipocrisia perché si sono vestiti a lutto persone e organizzazioni che anche nei mesi scorsi hanno incitato la polizia a picchiare gli studenti e gli operai, che hanno guardato con malcelata invídia ai metodi criminali della polizia americana o di quella francese in recenti disordini, che infine negli ultimi anni hanno anche dedicato un occhio distratto a tragedie simili e nel ‘60 hanno sostenuto fino all’ultimo il governo Tambroni, nonostante i morti di Modena e di Palermo».
[7] Cfr. anche per le citazioni seguenti: Camera dei Deputati, «Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari», N. 56, 5 dicembre1968.
Link: http://legislature.camera.it/_dati/leg05/lavori/Bollet/19681205_00.pdf
[8] “Perchè non vacilli la fiducia nello Stato”, Avanti!, 4 Dicembre 1968. Link: https://avanti.senato.it/avanti/js/pdfjs-dist/web/viewer.html?file=/avanti/files/reader.php?f%3DAvanti%201896-1993%20PDF/Avanti-Lotto2/CFI0422392_19681204_280.pdf