Lavoratorɜ in lotta a Milano. Spezzare la repressione, lo sfruttamento e il ricatto

È un quadro sempre più fosco quello che si sta delineando sul piano generale ed internazionale. Tecnocrati belligeranti come Putin, Netanyahu, Erdogan, Meloni, da ultimo il ciclone Trump ed altri, stanno portando politiche di morte e devastazione in tutto il pianeta. I governi ormai parlano solo di guerre, di riarmo e di aumentare le spese militari, ad unico beneficio dei fabbricanti di armi e a scapito delle classi lavoratrici e dei ceti popolari che subiscono il continuo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. In Italia, come conseguenza dell’economia di guerra, salari e pensioni già tra i più bassi d’Europa vengono risucchiati dalla inflazione in crescita e dal costo della vita in continuo aumento. Uno scenario fertile per la crescita di movimenti di estrema destra nazifascista in una prospettiva di un ritorno al passato. Stiamo assistendo alla tristissima competizione tra Meloni e Salvini a chi è più trumpiano, mentre Trump con la sua politica di elevare dazi altissimi apre una prospettiva di chiusura di luoghi di lavoro e di forti espulsioni della mano d’opera.

In questo scenario complessivo si inquadrano le situazioni dei vari settori lavorativi, alcuni dei quali stanno attraversando fasi di lotta cruciali.

Nel settore metalmeccanico il contratto è scaduto da circa un anno e le trattative si sono interrotte, avendo Federmeccanica presentato una sua contro piattaforma per la riduzione di conquiste precedenti. Mentre Stellantis sta attuando incentivi ai prepensionamenti per 300 esuberi a Pomigliano e 50 a Pratola Serra, invece di nuove assunzioni per il rilancio, all’Arcelor Mittal si preannuncia la chiusura dell’azienda multinazionale, con il licenziamento di 71 dipendenti di San Mango sul Calore. Tante altre sono le aziende in analoghe situazioni e presto sarà ancora peggio.

Passando alla sanità, dobbiamo dire che quello della sanità è uno dei settori più tartassati. Ci ricordiamo tutti all’epoca del covid come i dipendenti del settore venivano elogiati dal governo e le tante promesse per migliorare le loro condizioni e quelle del servizio pubblico. Una volta finita l’emergenza si è fatto l’esatto contrario. I salari sono perfino diminuiti, stretti nella tenaglia dell’inflazione in continuo aumento e dei rincari del costo della vita. Per non parlare poi del continuo peggioramento del servizio pubblico, e soprattutto dei tempi di attesa di importanti prestazioni, a meno che non ci si rivolga a pagamento alla sanità privata oppure si rinunci alle cure. Tutto questo perché non si investe nel settore della sanità pubblica, preferendo indirizzare le risorse nelle spese militari e missioni militari all’estero. Se il rinnovo dei contratti della sanità pubblica è molto penalizzante sul piano dei salari, è pesantissima la situazione nelle strutture sanitarie private convenzionate, molto presenti in Lombardia, in cui i contratti si rinnovano con il ricatto che la metà dei costi deve andare a carico del servizio pubblico. Siamo di fronte ad una giungla di contratti privati, l’uno peggiore dell’altro, senza regole, per cui è il datore di lavoro (spesso rappresentato da enti ecclesiastici) a scegliere il contratto più conveniente da applicare, spesso anche con la facoltà di poter applicare più contratti nella stessa azienda allo scopo di dividere i propri dipendenti. È quello che è avvenuto alla “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone (MI), dove dal contratto della sanità pubblica si è passati al contratto privato Aris. In seguito è stato introdotto un secondo contratto privato Uneba, fino a quando nel 2020 a tutti i dipendenti è stato applicato quest’ultimo contratto Uneba, notevolmente peggiorativo, con l’accordo di Cgil, Cisl, Uil che penalizzava molto gli ex Aris. Tutto questo ha prodotto due effetti: l’USI sanità all’interno è diventato il sindacato maggiore per la sua coerente opposizione, assieme al Cobas P.I., ma nello stesso tempo si è generalizzato un clima di sfiducia tra le lavoratrici e lavoratori. Comunque, in questa fase l’USI all’interno è riuscita a mettere in campo numerose proteste e azioni di lotta per rispondere, come è già avvenuto, a turnazioni imposte troppo pesanti. L’ultimo accordo interno ancora una volta non è stato sottoscritto né da USI, non essendo state accolte le indennità di turno di 3,50 euro, già concesse agli ex Aris, estese a tutti, né dal Cobas, anche se rispetto ad accordi precedenti questo era migliorativo. Inoltre, c’è stata la conclusione del rinnovo del contratto Uneba con un aumento salariale di 145 euro spalmato in tre anni, una miseria se si tiene conto dell’inflazione e del risucchio della tassazione progressiva. La questione dei bassi salari è la maggior causa dell’esodo dei dipendenti, che scappano dall’azienda, con un ulteriore aggravio di sfruttamento per quelli che restano. Analogo problema lo ritroviamo all’ospedale San Raffaele di Milano, dove molti, soprattutto infermieri e tecnici, scappano via dall’azienda. Da quando nel 2020 è stato imposto il passaggio dal contratto della sanità pubblica al contratto privato Aiop, la situazione è via via peggiorata. Anche qui la causa dell’esodo è soprattutto quella dei bassi salari, con l’aggravio dell’aumento dei carichi di lavoro che a sua volta diventa una concausa per ulteriori dismissioni. La risposta dell’azienda a questa situazione di degrado è esternalizzare alcuni settori del servizio, anche parte di sale operatorie, con ricadute sulla qualità stessa del servizio. L’USI sanità ha avuto sempre una importante presenza, assieme alla CUB, all’interno dell’azienda.  Di recente la RSU ha indetto l’assemblea generale dove è stata approvata una piattaforma rivendicativa con i seguenti punti: equiparazione salariale ai livelli della sanità pubblica; progressione economica con lo scatto di fascia per valorizzare competenze ed esperienza; un piano d’incentivi legato al fatturato, per riconoscere il lavoro svolto; miglioramento delle condizioni di lavoro, riportando i reparti sotto la gestione di personale dipendente per garantire stabilità e qualità al servizio. L’azienda ha proposto aumenti salariali solo ad alcune categorie, come gli infermieri, proposta respinta dall’assemblea generale. Ora si darà inizio alla fase della mobilitazione e dello sciopero. L’USI sanità da sempre porta avanti nelle situazioni dove è presente la prospettiva di una mobilitazione generale per la rivendicazione del contratto unico in tutto il settore della sanità. Questo porrebbe fine ad una situazione di discriminazione di cui si avvantaggia solo chi utilizza il comparto per fare profitto sulla salute.

Passiamo al settore trasporti, attraversato da scioperi che sono una grossa spina nel fianco per il governo, anche perché il Ministro dei Trasporti Salvini già ci mette del suo nel mal funzionamento degli stessi. Anche qui il malessere principale dei lavoratori e lavoratrici della categoria sono i bassi salari derivanti da contratti “bidone” sottoscritti in precedenza dai sindacati confederali. È tuttora in corso la vertenza per il rinnovo del contratto scaduto, che sta avendo un percorso molto complicato. Da una parte c’è la piattaforma del rinnovo decisa da Cgil, Cisl, Uil, una piattaforma molto fumosa decisa dalle stesse burocrazie sindacali, mentre i sindacati di base, non riconoscendosi in essa, scioperano in autonomia su una propria piattaforma alternativa. Ad un certo punto i Confederali hanno sottoscritto una preintesa, senza sottoporla a referendum. L’accordo raggiunto è stato giudicato inaccettabile dai sindacati di base, a cominciare dalla questione salariale del tutto inadeguata e come risposta hanno continuato a scioperare in autonomia. Il Ministro Salvini ha tentato in tutti i modi di ridurre gli effetti di tali scioperi abusando nell’interpretazione delle norme che regolamentano gli scioperi nei servizi pubblici, come quella di ridurre a metà tempo gli scioperi proclamati nell’intera giornata del venerdì. Ma un ricorso al tribunale da parte di USB su tali divieti ha dato nettamente torto al Ministro dei Trasporti. Di fronte a una lotta che continua ad essere portata avanti con successo da parte dei sindacati di base, Cgil, Cisl, Uil sono stati costretti a tentare di riaprire la trattativa sul contratto. Sono previsti numerosi scioperi del trasporto pubblico locale nel mese di aprile.

Anche in ATM (Azienda Trasporti Pubblici di Milano) si manifesta con grandi numeri il fenomeno di fuga dei dipendenti, soprattutto nel settore dei conducenti dei mezzi. E pensare che una volta l’ATM era uno dei posti di lavoro più ambiti! Anche qui la causa principale di esodo sono i bassi salari. Per i giovani assunti che entrano e che spesso vengono dal Sud, i salari d’entrata sono bassissimi e non coprono le spese per la loro sistemazione. A questo si aggiunge, per i conducenti, lo stress del traffico, turnazioni notturne anche pesanti, dirigenti che fanno carriera sui provvedimenti disciplinari e il rischio di aggressioni, anche a causa del mal funzionamento delle corse per responsabilità aziendali. L’azienda ATM, seguendo la generale politica di privatizzazione propria della giunta e del sindaco Sala, la applica anche nei trasporti pubblici, con salari bassi e tagli delle corse, mentre i profitti, anche derivanti dai forti aumenti sui biglietti (2,20 euro a corsa) consentono all’azienda di fare investimenti anche all’estero. La situazione ha portato alla nascita di comitati di protesta di cittadini. Come USI partecipiamo, con CUB e Sol Cobas, ad “Autoferrotranvieri Uniti”, una aggregazione di sindacati di base. La proposta che come USI abbiamo lanciato dallo scorso Primo Maggio per un trasporto pubblico gratuito, anche legato alla lotta ambientale, oggi è stata fatta propria da tutti i sindacati di base presenti all’interno dell’ATM.

Da qualche anno la logistica rappresenta un settore particolarmente “caldo”, in cui viene spesso utilizzata manodopera composta da immigrati sui quali si pratica un pesante sfruttamento, anche con il ricatto di perdere il permesso di soggiorno. Le stesse regole contrattuali spesso non vengono rispettate, come il pagamento degli straordinari o i passaggi di categoria previsti oppure il non riconoscimento degli scatti di anzianità oltre al mancato rispetto dei carichi di lavoro e della sicurezza sul lavoro. La struttura che li rende particolarmente deboli e ricattabili è lo stesso sistema degli appalti su cui questo comparto si regge, per cui ogni volta che c’è il rinnovo con la gara dell’appalto i lavoratori sono a rischio. L’appalto lo vince chi fa l’offerta al minor costo per l’azienda committente. Per cui la ditta che vince si rifà sugli stessi dipendenti, non rispettando spesso le norme contrattuali o addirittura utilizzando contratti di minor costo come quello delle pulizie. Quando poi i lavoratori prendono coscienza dei propri diritti e iniziano delle lotte molto decise, con scioperi, picchetti, blocco delle merci, interviene una forte repressione con aggressioni da parte delle forze di polizia e dei carabinieri, con denunce, licenziamenti, a volte cause legali contro lavoratori e sindacati per risarcimenti danni. Ci sono stati anche casi di utilizzo da parte del padronato di squadracce private pagate per aggredire gli scioperanti. Accade anche che si vincono con la lotta le vertenze, ma che la ditta che ha l’appalto scompare, perfino scioglie la società, perché non trova più conveniente la gestione, lasciando i propri dipendenti senza neanche pagare le liquidazioni spettanti, per cui inizia un lungo iter per cercare di recuperare dall’Inps tale rimborso. Malgrado tutto ciò le tante lotte importanti e mobilitazioni che si sono verificate negli ultimi anni nel settore hanno complessivamente migliorato le condizioni soprattutto salariali, di minor sfruttamento e di maggior rispetto contrattuale che hanno consentito ai sindacati di base di togliere spesso l’egemonia a Cgil, Cisl e Uil, complici nel creare tali condizioni di super sfruttamento. Come USI stiamo organizzando a breve un Convegno di una giornata per affrontare con i lavoratori del settore i nodi principali per una risposta sindacale adeguata.

Sicuramente Milano sta diventando un laboratorio del conflitto sociale. Tutti i giorni ci sono iniziative di mobilitazioni, anche più di una nella stessa giornata, accanto a iniziative di contro cultura. Davvero caratterizzanti sono i tentativi sempre più frequenti, sebbene faticosi, di trovare l’unità delle varie aree d’opposizione su obiettivi comuni, come nel caso della manifestazione nazionale dell’11 aprile a Milano per la cessazione della guerra e del genocidio del popolo palestinese organizzata da tutti i sindacati di base.

Enrico Moroni

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