Marco Celentano, nel suo articolo comparso sul numero precedente di Umanità Nova [1], ha posto il tema dell’ideologia transumanista e di una sua declinazione sovrumanista. La questione è assai interessante, ma credo che, per poterla porre e valutare nei suoi termini reali, occorra uscire dall’aspetto dell’analisi puramente ideologica e, invece, andare ad analizzare i contesti reali, materiali, in cui può svilupparsi una tale ideologia. Per fare quest’operazione occorre rivisitare brevemente la storia dell’influenza sulla storia umana dello sviluppo tecnologico così come si è andata delineando da circa due secoli e mezzo fa ad oggi: solo dopo un’analisi del genere può delinearsi nei suoi contorni esatti una comprensione effettiva dell’ideologia transumanista.
Fino agli inizi del XVIII secolo, l’influenza delle macchine nei processi produttivi – in termini sia di produzione di forza motrice sia di processi trasformativi delle materie prime – era minimo: salvo i limitati casi di applicazione della forza motrice dell’acqua e del vento, da un lato, e di qualche macchinario un po’ più complesso di un semplice strumento, dall’altro, nulla poteva far presagire lo sviluppo della Rivoluzione Industriale così come si è andata configurando dalla metà del XVIII secolo in poi. Poi, all’improvviso, dopo alcune false partenze, alcune condizioni si presentarono tutte insieme, nello stesso luogo e nello stesso tempo, creando quella tempesta perfetta che fu, appunto, la Rivoluzione Industriale[2].
“Rivoluzione” Industriale, appunto: siamo talmente abituati ad usare e sentire il termine che raramente ci poniamo il problema del perché si usi questo sostantivo – che solitamente rimanda ad un processo storico-sociale assai rapido – applicandolo ad un processo secolare, evidentemente, ancora in corso. La cosa ha senso perché il fenomeno in questione fa capo a quella che la scuola storica degli Annales avrebbe detto “il tempo della lunga durata”, quello in cui ad essere radicalmente modificata in caso di “rivoluzioni” è la storia materiale dei popoli e degli individui. Da questo punto di vista, la Rivoluzione Industriale è certamente tale e può essere paragonata, per ampiezza di trasformazioni indotte nella storia della specie umana, solo alla Rivoluzione Linguistica ed alla Rivoluzione Agricola.
Un periodo comunque così lungo dal punto di vista degli individui possiede delle fasi interne. Nella prima fase, approssimativamente databile dalla metà del XVIII secolo al 1820/30 circa, il fenomeno parte relativamente in sordina: i paesi coinvolti sono molto pochi, sostanzialmente la Gran Bretagna e le sue colonie/protettorati, ed anche i settori produttivi coinvolti non vanno oltre a quello tessile ed a quello metallurgico/estrattivo, anche se l’impatto delle innovazioni comincia a modificare la vita quotidiana di molti individui e, soprattutto, l’immaginario collettivo.
Già in una fase successiva, approssimativamente databile dal 1820/30 alla metà del XX secolo, vediamo però che la vita materiale delle persone comincia a subire notevoli mutamenti rispetto ai secoli precedenti: il numero di paesi coinvolti aumenta enormemente, così come i comparti produttivi coinvolti (si aprono i settori chimico chimico/farmaceutico, agricolo, alimentare, elettrico, elettronico, dei trasporti, delle comunicazioni). Oltre a ciò, si vede comparire una serie davvero enorme di oggetti che non erano mai passati precedentemente per la lavorazione artigianale, ma che sono pensati direttamente per la produzione a macchina e che trasformano radicalmente le condizioni materiali e quotidiane di vita degli individui. Fino al periodo precedente, gli individui vivevano, tra l’altro, in mezzo ad un numero di oggetti limitato e dal funzionamento facilmente comprensibile: ora gli oggetti mutano esponenzialmente di numero e la gran maggioranza di essi funziona in un modo inesplicabile a chi è fuori dal loro specifico processo produttivo. L’impatto sull’immaginario collettivo di questo processo è enorme e può essere misurato notando la nascita di un genere letterario (ma non solo) del tutto nuovo e diffusissimo ad ogni livello sociale: la fantascienza.
Una terza fase della Rivoluzione Industriale nasce all’incirca con la Seconda Guerra Mondiale e consiste nella meccanizzazione del lavoro intellettuale, in altre parole, nella nascita degli elaboratori elettronici e, più tardi, del “personal” computer in tutte le sue declinazioni odierne (smartphone compreso, per essere chiari). Il processo di proliferazione esponenziale degli oggetti che condizionano la vita materiale degli individui iniziato nella fase precedente si amplifica ancora di più; la cosa però più importante è la scomparsa/proletarizzazione delle classi e dei ceti medi. Questi, infatti, si posizionavano in uno spazio intermedio tra i lavoratori manuali e gli imprenditori proprio in virtù di una loro serie di competenze intellettuali all’epoca non meccanizzabili: ora, con lo sviluppo sempre maggiore di hardware e software, il loro lavoro si svolge sempre più in maniera meccanizzata e, di conseguenza, la loro posizione sociale si è sempre più avvicinata – oramai nella maggior parte dei casi sino a confondersi – a quella del lavoratore manuale. Un processo, questo, che sembra inarrestabile: con la diffusione dei software di gestione aziendale, si comincia a parlare di “proletarizzazione” persino per i livelli medio/bassi dei cosiddetti “manager”. Anche qui, l’immaginario collettivo è stato profondamente colpito: per tornare al precedente esempio della fantascienza, si pensi allo sviluppo del cyberpunk nei vari campi della produzione artistica di massa.
Ora, decenni prima del Transumanesimo, qualcuno aveva ipotizzato che ci stavamo avviando verso una sorta di quarta fase della Rivoluzione Industriale: la meccanizzazione del corpo umano come convergenza degli sviluppi dell’informatica e dell’ingegneria (genetica e non). Riflessioni come quella che il filosofo morale Hans Jonas (1903-1993) [3] , ma non solo lui – si pensi allo sviluppo delle tematiche bioetiche ed in generale della filosofia della tecnica – hanno sviluppato già negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale vanno tutte in questa direzione.
Insomma, ben prima del Transumanesimo, le prefigurazioni di un futuro “transumano” erano ben presenti, sia nella riflessione morale, sia nella produzione artistica. Qual è, allora, la specificità dell’ideologia transumanista? Come fa notare Celentano, nell’aspetto valutativo di questo processo: autori cyberpunk e filosofi della tecnica, in qualche modo, tendono solitamente a mostrare anche gli aspetti potenzialmente negativi di un tale sviluppo, i transumanisti, invece, se ne fanno alfieri ed apologeti – il livello critico resta decisamente sullo sfondo.
Posso così giungere agli aspetti che non mi convincono dell’articolo di Celentano. Innanzitutto, rispetto a fenomeni di portata epocale come la Rivoluzione Industriale, i processi valutativi lasciano il tempo che trovano: se si giungerà o meno al transumano, non lo si dovrà certamente ai cantori del transumanesimo e nemmeno a retaggi illuministico/positivistici ritenuti ancora presenti e dominanti nella cultura [4]. Si tratta infatti di un processo che con ogni probabilità può essere interrotto solo da un evento catastrofico – una guerra nucleare e/o chimica e/o batteriologico-virale – che interrompa la Rivoluzione Industriale e ci riporti ad una fase precedente ad essa (dove non necessariamente l’umanità e forse la stessa vita esistono).
Il luddismo non è stato sconfitto dalla repressione o, almeno, non fondamentalmente da quella: è stato sconfitto dai milioni di persone comuni, ex artigiani impoveriti compresi, che acquistavano il panno di cotone industriale perché costava meno, si risparmiava e/o se ne poteva comprare di più. Con le tecnologie di quella che potrebbe essere la quarta fase della Rivoluzione Industriale sarà assai probabilmente la stessa cosa: ciascuno di noi le utilizzerà per sé e per i suoi cari, specie di fronte all’alternativa della morte – e sarà una cosa buona, come è stata una buona cosa il panno di cotone a basso prezzo.
Non dobbiamo, infatti, confondere industrializzazione e capitalismo e, in generale, tecnologia e capitalismo. Il potere gerarchico – di cui il capitalismo è uno degli aspetti – è una relazione sociale di dominio, che sottrae alla maggioranza il controllo dei beni utili alla vita, tecnologie comprese, e li utilizza ai suoi fini. Non usa il telaio meccanico per liberare le donne ed i bambini dalla schiavitù del lavoro casalingo, ma per ridurne alla fame la maggior parte e costringere ad un lavoro ancora più usurante chi resta a lavorare alla macchina. Senza le relazioni gerarchiche di dominio, il telaio meccanico poteva essere usato per lavorare tutti, lavorare meno ed avere tutti più beni a disposizione. Usando un’immagine di Riane Eisler,[5] un calice, simbolo di vita, ed una spada, simbolo di morte, provengono entrambi dalla stessa tecnologia metallurgica: quello che fa la differenza sono le relazioni di potere e non il procedimento tecnico in sé.
Il problema del Transumanesimo non è la mancata critica ai rischi della tecnologia: è la mancata critica alla sopravvivenza del capitalismo e delle relazioni gerarchiche in genere come gestori di tali tecnologie. Aumento della durata e della qualità della vita, “uploading”, ecc. sono tutte cose in sé positive, frutto dell’ingegno umano e non delle relazioni di potere, che noi per primi invocheremo quando ci serviranno. La battaglia politica e sociale va fatta sulla gestione di queste tecnologie, senza rischiare di offrire al potere gerarchico l’occasione di presentarsi come il difensore dei diritti dell’umanità, contro un branco di folli retrogradi che vorrebbero veder soffrire e morire esseri umani quando ci fosse la possibilità di evitarlo.
Finora non ho parlato del “sovrumanismo”, per cui qualche nota finale. Come è evidente dalle stesse citazioni che Celentano fa degli uni e degli altri nel suo articolo, c’è una differenza radicale tra transumanisti e sovrumanisti: i primi, pur con i limiti politici evidenziati sopra, sanno di che cosa stanno parlando; i secondi, no, utilizzano semplicemente ai loro scopi determinate analisi futurologiche come faceva ai suoi tempi il futurismo fascista. I sovrumanisti, insomma, ne sanno di scienza e/o di tecnologia più o meno quanto Marinetti ne sapeva di ingegneria, di meccanica quantistica o di relatività generale, e non metto in dubbio che, come il futurista originale, sappiano spillare soldi a capitalisti e grandi manager, felici di sentirsi rappresentare ideologicamente un loro superominismo in chiave tecnologica. Insomma, la critica che va loro fatta è quella al pensiero fascista in generale: il transumanesimo in loro è solo un paravento che gli va tolto di mezzo ai fini della critica stessa.
Enrico Voccia
NOTE
[1] CELENTANO, Marco, “Transumanesimo” e “Sovrumanismo”. Tecno-Fascismo ed Eugenetica nell’Era della Bio-Cibernetica, in Umanità Nova, anno 96, n. 36 del 4/12/2016, pp. 6-7.
[2] Gli storici si sono posti il problema: perché la Rivoluzione Industriale avvenne inizialmente sostanzialmente in Gran Bretagna e solo a partire dal XVIII secolo? Perché non altrove e/o in precedenza? La questione non è oziosa, dal momento che più volte nel corso della storia umana (si pensi, per fare un esempio, all’epoca ellenistico-romana) – osservando le cose dal punto di vista odierno col senno di poi – l’umanità sembra essere stata ad un passo da essa, pur senza mai raggiungerla. La risposta che è stata data a questa domanda è la seguente: perché si dia un fenomeno così complesso come la Rivoluzione Industriale occorre la compresenza di tutta una serie di fattori. Fattori che, in altri tempi, o non erano tutti compresenti, o si ritrovavano in nazioni diverse o non avevano la possibilità di interagire. Solo in Gran Bretagna e solo alla metà del XVIII secolo esse si ritrovarono tutte insieme. Sinteticamente, nella Gran Bretagna degli inizi del XVIII secolo, furono compresenti le seguenti circostanze, tra loro ovviamente intrecciate:
un numero superiore alla media di completi nullatenenti, disposti ad accettare le tremende condizioni di lavoro della fabbrica;
una disponibilità di capitali pubblici e privati superiori alla media;
un mercato estero notevolmente sviluppato;
un gran numero di colonie e protettorati sotto controllo;
una notevole, anzi la migliore, scuola ingegneristica al mondo (vedi p. e. CAMERON, Rondo e NEAL, Larry, Storia economica del mondo. Vol. 2: Dal XVIII secolo ai nostri giorni, Bologna, Il Mulino, 2005).
[3] Vedi di JONAS, Hans: Il Principio Responsabilità. Un’Etica per la Civiltà Tecnologica, Torino, Einaudi, 1990; Tecnica, Medicina ed Etica. Prassi del Principio Responsabilità, Torino, Einaudi, 1997; Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, Torino, Einaudi, 1999; Sull’Orlo dell’Abisso. Conversazioni sul Rapporto tra Uomo e Natura, Einaudi, Torino, 2000; Dalla Fede Antica all’Uomo Tecnologico, Bologna, Il Mulino, 2001.
[4] Magari, direi io, visto che viviamo nel dominio di un irrazionalismo dilagante che si lamenta ad ogni pie’ sospinto di quel poco di razionalità che resiste, ma questo è un altro discorso.
[5] EISLER, Riane, Il Calice e la Spada. La Civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad Oggi, Udine, Forum Editrice Universitaria Udinese, 2011.