La casa di Adria. Ricordo di Adria Marzocchi

Nella casa di Adria trovano posto la storia, le passioni per le grandi e le piccole cose, la buona cucina e le tante persone che hanno percorso il lungo corridoio carico di libri.

Se la vita del “babbo” (alla toscana) Umberto Marzocchi è stata dettagliatamente raccontata in un bellissimo libro – “Senza frontiere”, di Giorgio Sacchetti, pubblicato nel 2005 – forse non tutti sanno egli venne a vivere a Savona nell’estate del 1920, reduce dai tragici fatti di Sarzana del luglio di quell’anno. In questa città viveva infatti da alcuni anni la sua fidanzata, la giovane e bella Elvira Angella, l’amore della sua vita. I due si sposarono nel Municipio di Savona il 4 aprile 1922, andando poi a vivere insieme ai genitori di lei in un appartamento di via Guidobono.

Oltre all’amore, Umberto ed Elvira erano accomunati dall’ideale, vissuto in maniera forte, intensa, con convinzione e determinazione. Ma i tempi erano amari e funestati dai cupi venti della reazione. Così, quando all’inizio di agosto del 1922 le Camicie Nere avevano occupato il Municipio cittadino, dove Umberto aveva trovato lavoro come impiegato presso gli uffici del censimento comunali, lui ed Elvira erano stati costretti ad allontanarsi da Savona e a trovare riparo in Francia, per evitare i soprusi e le violenze compiute dai fascisti.

Adria, la loro primogenita, nacque il primo gennaio del 1923 a Savona; in quella stessa città, tre anni e mezzo dopo, il 20 luglio 1926, nacque poi la loro seconda figlia, Marisa. Vennero alla luce a Savona perché Elvira desiderava fortemente che entrambe le loro figlie venissero alla luce accolte dalle braccia delle sue sorelle e dei suoi fratelli.

Andarono a vivere a Lille, nel Nord della Francia, dove aprirono una libreria, trasferendosi quindi a Parigi.

Negli anni successivi Adria avrebbe sempre ricordato con dovizia di particolari la vita di quegli anni, trascorsa in terra straniera, in modo avventuroso e turbolento, sempre sul limite dell’evento imprevisto che avrebbe potuto condurre lei e i suoi genitori alla rovina: non avrebbe mai dimenticato i tanti nomi falsi, sempre diversi, adottati per non essere identificati dalla polizia, i tanti episodi degni delle pagine di un romanzo che avevano caratterizzato la sua giovinezza così come le gite in campagna con gli anarchici e i socialisti fuoriusciti, l’emozione provata assistendo per la prima volta ad una rappresentazione teatrale a Parigi (una passione, questa, che la avrebbe accompagnata per tutta la sua esistenza), le tante matineè al cinema con sua sorella Marisa e il cugino Dado.

Furono periodi molto critici, ma anche momenti belli, come Adria amava ricordare.

Poi gli anni erano corsi via, veloci, con il cuore in gola. Ricordava bene ciò che aveva provato nel cuore quando il suo papà Umberto, nel 1936, era partito per la Spagna per andare a dare il suo contributo fondamentale al fronte rivoluzionario spagnolo, nella lotta che si stava combattendo in quella terra contro il franchismo. Era poi venuta la svolta restrittiva della politica francese in tema di immigrazione, a partire dal 1938, che aveva costretto gli esuli antifascisti alla fuga o all’arruolamento nella Legione Straniera. Anni durissimi, indicibili, di attesa, di sofferenze, in cui il Male sembrava essere sul punto di trionfare, inesorabile.

Tra coloro che, in quel giugno del 1940, si allontanarono da Parigi, alle cui porte erano ormai le truppe naziste, c’erano anche loro tre: Elvira, Adria e Marisa. Percorreranno a piedi più di 300 km. sotto i bombardamenti, assillate dall’ansia continua di poter essere esposte a possibili atti di violenza, come donne, allora di 40, 17 e 14 anni, da parte di qualche bruto. Questa tremenda esperienza le segnerà profondamente, per sempre. Tanto che, negli anni successivi, ricordando il periodo della guerra, Adria sarebbe arrivata a dire di avere avuto più paura degli uomini che delle bombe.

Vissero ancora un anno e mezzo in Francia, nel periodo terribile dell’occupazione tedesca, senza risorse e con mille difficoltà. Poi, alla fine, furono rimandate in Italia. Alla frontiera gli Italiani chiesero loro se erano di razza ariana. Rientrate nella loro Savona, nel febbraio del 1941, in pieno conflitto, Elvira, insieme alle sue figlie, andò ad abitare per un breve periodo con suo padre Pietro e la famiglia di sua sorella Gemma (rientrata in precedenza dall’Italia) nel piccolo appartamento di via Vaccioli n. 8 interno 2 degli Angella: una grande famiglia di libertari ad eccezione di Carlo, comunista intransigente. Poi, nell’aprile del 1942, Elvira Angella si trasferì a La Spezia, andando a stare a casa della suocera Adria Mainardi Passerotti.

Adria, ormai ventenne, aveva abbracciato senza incertezza le idee del suo babbo facendole sue. E riusciva a spiegarle semplicemente a chi le era vicino, anche quando a vivere sfollata a Corniglia. In quel periodo, per andare a lavorare a La Spezia e per raggiungere il suo posto di lavoro alla pubblica istruzione del Comune, lei che aveva fatto la scuola in Francia, faceva 20 km. a piedi, se non riusciva a salire su un treno. Poi, quando rientrava a casa, sveniva per la stanchezza.

Dopo la Liberazione, Adria, Marisa e la loro mamma Elvira tornarono a Savona. Erano i primi mesi della rinascita, tutto sembrava più bello, si ricominciava a vivere. Poi, finalmente, nel novembre del 1945, dopo 23 anni di esilio, Umberto Marzocchi fece invece rientro a Savona, riunendosi alla moglie Elvira e alle figlie Adria e Marisa. Subito dopo, tutti e quattro, finalmente riuniti, riuscirono ad ottenere di poter andare a vivere in una casa popolare in piazza Bologna.

Umberto Marzocchi iniziò subito ad andare in giro per l’Italia, partecipando a comizi e prendendo parte ai congressi e ai convegni degli anarchici italiani.

Nel frattempo, nel 1953, Adria sposò Stelio Casati, un autentico “mito” per i bambini che frequentavano allora la loro casa: Stelio, che aveva conosciuto ad una festa organizzata dai repubblicani e che era stato prigioniero in Germania per non aver voluto aderire alla Repubblica Sociale Italiana quando era stato arrestato come militare il 12 settembre 1943. Dopo il matrimonio i due andarono a stare con i genitori di lei in piazza Bologna, trasferendosi in seguito a vivere nello stesso palazzo di via privata Istria dove abitava Marisa e suo marito Lino Pinetto, all’ultimo piano, sopra di loro.

Entrare nella casa dove Adria trascorse, da allora, gli anni successivi della sua vita è emozionante. Appena si entra in quell’appartamento di via privata Istria 6 interno 7 si viene accolti da una libreria stracolma di libri, dal pavimento al soffitto. Sfogliare le pagine di quei testi può dare l’idea dello spessore di cultura e umanità che caratterizzava l’esistenza di Adria Marzocchi. Non troviamo infatti solo libri che trattano argomenti politici, incentrati sugli ideali anarchici e libertari, ma anche testi di storia, d’arte, monografie su Puccini così come romanzi e antologie di racconti dei maggiori autori degli ultimi due secoli. Sulla sinistra c’è ancora quella che per tutti, in famiglia, è ancora oggi la stanza di nonno Umberto, quale nel frattempo era diventato l’anarchico Marzocchi, dove trascorreva il tempo studiando e scrivendo articoli che poi, seduto al tavolo della cucina, avrebbe letto ad Adria.

Adria aveva ereditato il posto di Elvira, morta prematuramente nel 1969. Con un pizzico di autoironia, la figlia primogenita di Umberto Marzocchi amava dire di se stessa: «faccio la casalinga, ma nel frattempo correggo le bozze del babbo». Lui la ascoltava e le dava retta.

E avrebbe raccolto il suo testimone negli anni Ottanta, intervenendo a sorpresa, ogni tanto, alle riunioni del giovane gruppo “Pietro Gori”, apparendo d’improvviso sulla soglia della sala per “dire la sua”, con forza, vigore e decisione, tornando poi alle sue faccende. Sì: Adria si riteneva libera più che militante…

Ebbene, questa casa di via privata Istria è sempre in movimento, e lo sarà per sempre. I compagni e gli amici, in questi anni, sono sempre stati accolti come lei desiderava: arrivavano, mangiavano, dormivano sul divano, parlavano, perché con Adria era impossibile non parlare (anche se c’era qualcuno che resisteva, come Marco di Livorno). Il suo desiderio era sempre lo stesso: conoscere la vita delle persone, scoprire chi erano. La sua dote, in fondo, era quella di far sentire gli altri compresi, amati, creando rapporti di empatia, costruendo dei ponti di umanità. Molti sono ritornati nella sua casa per anni: dopo esservi entrati per la prima volta da ragazzi, vi hanno poi portato le loro compagne e i loro figli, come Didier con Cecile e i figli Carol e Florian o Michele con Nora e Giada.

Tutto, in quella casa, si riempie di ricordi e di vita, di vita vissuta intensamente. Su ogni angolo, su ogni parete ci sono fotografie dei piccoli che sono arrivati nel corso degli anni (c’è Zoe, la figlia di Claudio Venza, compare Martina, la figlia di Bruno ed Elpidia, ci sono i figli di Monica, quelli di Vincenzo e Antonella, c’è Alessandro, il figlio della nipote Diddi, appaiono ridenti Giacomo, Mattia e Veronica, i figli di Giordano e Laura e tanti, tanti altri). Attaccate al muro, con lo scotch o con le punaises, le puntine colorate, sono le cartoline dei tanti viaggi compiuti, i manifesti delle mostre visitate o dei film in bianco e nero che hanno fatto la storia del cinema e che avevano emozionato Adria. I fiocchi dei regali di Natale acquistano il loro valore e vengono annodati un po’ dappertutto, persino sullo sciacquone del water. Un tripudio di colori.

Negli ultimi anni, anche se poteva ancora muoversi agevolmente, la vita di Adria si è svolta principalmente sul lettone della sua camera da letto. Anche qui non manca nulla: libri, riviste e giornali, che è riuscita a leggere, interessata e innamorata com’era di tutto, quasi sino alla fine dei suoi 102 anni di vita. C’è anche la trousse dei trucchi, perché per Adria la bellezza è sempre stata un elemento prezioso, fondamentale nella sua esistenza. I suoi capelli, con il trascorrere del tempo, sono diventati come le increspature del mare di settembre nelle giornate di vento. Capelli candidi che la sua fedele parrucchiera Cristina veniva a curare a domicilio. Non mancano i bijoux, i dolcetti e il televisore, grazie al quale, quasi fino all’ultimo, ha seguito i dibattiti politici, che commentava sempre con straordinario acume, i programmi sulle arti, le monografie sui vari personaggi o le sue soap opera preferite, che guardava avendo la sorella Marisa stesa sul lettone accanto a lei.

Adria ha sempre avuto fiducia nei giovani e amava parlare e discutere con loro. Parlava con loro di tutto, non solo dell’Anarchia.

Negli ultimi tempi era molto preoccupata della vittoria della Destra. Diceva: «Sono tornati i fascisti, resteranno altri vent’anni… Non voglio andarmene ora, con loro al potere». Non poteva credere che tutto fosse ricominciato, come allora.

Quando si è concluso il tuo ciclo, Adria, a salutarti davanti alla sede del gruppo anarchico “Pietro Gori” c’era un’umanità numerosa e varia; dei giovani che sono cresciuti con le tue panzanelle e le tue patate fritte non mancava nessuno, nel corpo o nello spirito.

Per molti di noi la tua casa è stato un nido. Hai fatto tanto, hai dato tanto. Gran parte di te continua oggi, nella tua assenza, nella tua presenza, grazie a Tiziana.

Gruppo anarchico “Pietro Gori” — FAI Savona

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