Come da tradizione, lo Stato italiano, dal Presidente della Repubblica al sindaco del Comune più piccolo, celebrano la giornata del 4 novembre, festa delle Forze Armate e dell’unità nazionale.
Tale celebrazione avviene il giorno della fine della prima guerra mondiale sul fronte italiano, con la resa delle armate austroungariche dopo la sconfitta di Vittorio Veneto e il collasso dell’impero asburgico.
Come dice la narrazione ufficiale, in tale occasione si celebra il sacrificio dei quasi settecentomila giovani soldati morti, narrazione per difendere la Patria nel primo conflitto mondiale e gli ideali risorgimentali che hanno trovato vera compiutezza solo con la Costituzione repubblicana del 1948.
La ricorrenza del 4 novembre rappresenterebbe, per tutti gli italiani, l’occasione di celebrare l’unità nazionale rendendo omaggio al valore e alla dedizione, nel nome della Patria, delle Forze Armate.
Ma fu proprio così? In realtà l’Italia intervenne nel primo conflitto mondiale dopo dieci mesi di guerra, e dopo che era chiaro l’alto costo che il conflitto imponeva alle potenze belligeranti in termini di vite umane e di ricchezze. Sarà il re Vittorio Emanuele III, a dispetto dell’opposizione della maggioranza della Camera dei Deputati e della popolazione, a volere l’entrata in guerra a fianco dell’Intesa, una vera e propria guerra di aggressione verso una potenza, l’impero austro-ungarico, con cui il regno d’Italia era stato legato nella Triplice Alleanza per oltre trent’anni. Le ragioni della guerra vanno cercate nella bramosia di ottenere l’ampliamento dei possessi territoriali della monarchia, una linea seguita tradizionalmente dalla dinastia sabauda.
Su ispirazione del re, dei gruppi affaristici legati alle forniture belliche, dei circoli militari, iniziò una serie di aggressioni nei confronti dei pacifisti e degli antimilitaristi guidate da Gabriele D’Annunzio, che ebbe in cambio il pagamento dei sui debiti; furono le cosiddette “radiose giornate” che precedettero la dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915. Dopo la rivoluzione russa e la sconfitta di Caporetto (1917) il clima di caccia alle streghe si accentuò, ma ciò non impedì il diffondersi di uno spirito antimilitarista e pacifista nella popolazione, che assumerà sempre più un carattere rivoluzionario. Per porre un freno a questo spirito e per proteggere gli enormi profitti realizzati grazie alla guerra, la monarchia e le sue clientele tentarono una serie di colpi di stato, fino alla Marcia su Roma del 28 ottobre 1922. Nel secondo anniversario, il IV novembre 1920, le squadracce fasciste dettero l’assalto al comune di Verona, retto da una giunta socialista, assassinando il giovane bracciante Marino Passarini e provocando la morte dell’onorevole Policarpo Scarabello. La celebrazione della vittoria diventava quindi lo strumento per le classi privilegiate per mettere a tacere le opposizioni, per creare un consenso di facciata a qualsiasi dittatore che si fosse fatto carico di risolvere la crisi provocata dalla guerra.
Oggi la celebrazione delle Forze Armate si ricollega alla difesa degli interessi delle multinazionali italiane nel mondo, e le linee strategiche del ministero della Difesa si identificano con quelle dei grandi gruppi monopolistici mentre, dietro la retorica della difesa dei sacri confini, trapela la volontà imperialistica di definizioni come Mediterraneo allargato (fino al Golfo di Guinea e al Corno d’Africa). Intanto le crescenti spese militari generano voragini nel bilancio delle Stato, che saranno coperte con tagli ai servizi sociali e al salario indiretto, e con l’aumento dell’inflazione.
Una politica che genera una crescente opposizione: anche quest’anno l’assemblea antimilitarista ha indetto iniziative contro la guerra e il militarismo nelle principali città italiane. Ma la mobilitazione non cade nel vuoto. Altre città si aggiungono a quelle tradizionali, mentre i pacifisti ufficiali insieme a forze politiche che hanno sostenuto l’aumento delle spese militari e la politica di aggressione all’estero voluta dai governi che si sono succeduti in questi anni, cercano di rifarsi una verginità manifestando contro la guerra. Il fatto che la data scelta, il 5 novembre, sia così vicina alle celebrazioni ufficiali del 4 novembre è un segno che la nostra agitazione è efficace e deve puntare a fare dell’antimilitarismo un momento di rottura del quadro politico istituzionale esistente, unico strumento per cacciare le basi straniere e avviare una fase di pace e disarmo.
Tiziano Antonelli