Visto che viviamo in un mondo di tossicodipendenti da telefonino, quando Google ha detto che non avrebbe più fornito ai telefonini Huawei il sistema operativo Android, tantissimi si sono preoccupati di non poter più postare su Facebook gli affari propri in tempo reale. Huawei e Google hanno immediatamente tranquillizzato i possessori di telefonini dicendo che la misura non riguardava gli apparecchi già venduti, per cui i loro clienti avrebbero potuto continuare a smentire quotidianamente online l’assunto secondo cui la specie umana sia dotata di intelligenza. Poi è intervenuto addirittura Donald Trump in persona dicendo che, per cercare di risolvere in qualche modo la questione, ci sarebbe stata una sospensione di tre mesi prima di far diventare operativo il blocco della fornitura.
Questo temporaneo cessate-il-fuoco non ha però risolto una guerra digitale in corso tra USA e Cina che sta diventando sempre più cruenta. Il problema principale non sono i telefonini della Huawei (che comunque è il secondo produttore mondiale), ma le reti di comunicazione digitale che Huawei sta costruendo.
Ogni 10 anni circa si modificano le modalità di connessione aumentando di molto la velocità di scambio dei dati. Adesso lo standard è il 4G, che era stato attivato intorno al 2012. Dal 2020 verrà utilizzato il 5G: ogni cella di comunicazione avrà una velocità complessiva di circa 20 Gbps, 20 volte quella attuale.
Gli USA sono rimasti al palo nella costruzione di reti. Agli albori dei cellulari si stava decidendo come progredire oltre il sistema analogico TACS, usato all’epoca. Gli USA volevano sviluppare un loro sistema di comunicazione digitale ma la svedese Ericsson inventò il GSM, che divenne subito lo standard mondiale.
Adesso al mondo ci sono poche compagnie con la tecnologia necessaria allo sviluppo delle reti di comunicazione. Oltre all’Ericsson (che controlla poco meno del 15% del mercato) c’è la finlandese Nokia (con poco più del 15%) che ha smesso di fare i cellulari ed ha potenziato la divisione “reti di comunicazione” con l’acquisto di Alcatel e Motorola. In testa alla classifica però c’è proprio Huawei (con il 30%). Chiudono la graduatoria l’altra cinese ZTE (con circa il 10%) e l’unica società statunitense presente in questo circolo ristretto: la Cisco (che copre il 10% del mercato). La Cisco però fa solo router e switch, non fa antenne o sistemi di trasmissione e deve per forza consorziarsi con qualcuna delle altre quattro per poter lavorare. Tutto lo standard 5G se lo dividono queste cinque multinazionali, con gli altri a fare da comparse.
Il problema degli statunitensi è che, fino ad oggi, Internet l’hanno gestita loro. La rete è nata negli USA in ambito militare e, fino a due anni fa, era un delegato del governo USA ad assegnare gli indirizzi IP ai siti, inoltre i cavi transoceanici su cui passano le trasmissioni sono controllati militarmente dalla marina USA, i principali fornitori di contenuti sul piano internazionale (Google, Facebook, Amazon, ecc.) sono statunitensi e la maggior parte dell’ingegneria di rete è progettata negli USA.
Si possono raccontare tutte le supercazzole sull’orizzontalità della rete, sulla mancanza di centri decisionali, ma la realtà è che chi controlla la rete, controlla la comunicazione globale e fino ad ora l’hanno controllata gli USA. Il fatto è che stanno perdendo terreno anche in questo ambito con conseguenze devastanti per il loro ruolo di superpotenza globale.
La nuova tecnologia 5G non sarà soltanto più veloce, sarà utilizzata per il prossimo futuro della digitalizzazione della vita: l’Internet Of Things – IOT. Sempre più elettrodomestici saranno connessi. I droni funzioneranno con questa tecnologia. La produzione avverrà sempre più attraverso lo smart working ed on line. Aumenterà di molto il ruolo della digitalizzazione nella vita quotidiana.
C’è uno studio della Ericsson, spesso citato chi vuole spingere gli investimenti statali nel settore, sul fatto che, in un paese il raddoppio della velocità di connessione determina un aumento dello 0,3% del PIL. Siccome la Ericsson produce proprio la tecnologia che porterebbe cotanto beneficio, lo studio ha la stessa validità scientifica di quando si chiede all’oste “com’è il vino?”. In realtà, questo studio viene utilizzato per giustificare i devastanti effetti della rete 5G sull’aumento dell’elettrosmog; già si stanno preparando, in Italia, ad aumentare i limiti di inquinamento elettromagnetico consentiti dagli attuali 6 volt/metro ai 61 volt/metro necessari alla nuova tecnologia. Faremo delle bellissime dirette con il telefonino dagli ospedali.
Il problema vero della rete 5G è però il controllo. Non solo il controllo sociale – che sarà ancora più capillare e pervasivo rispetto ad oggi – ma lo spionaggio industriale e militare che chi controllerà la rete sarà in grado di fare.
Non è che oggi non spiino, tutt’altro; gli USA hanno sistemi di controllo ed intercettazione da sempre. Alcuni, come Echelon, prendono le informazioni proprio dai cavi transoceanici, altri sono basati su software spia come Prism e riescono a controllare il computer, microfoni e telecamere comprese (anche quando apparentemente sono spenti), altri (Weeping Angel) prendono il controllo della Smart TV e consentono di vedere ed ascoltare tutto quello che avviene lì davanti.
I Cinesi non sono da meno: quando Amazon ha comprato la Element Tecnologies ha scoperto nelle schede madri, prodotte dalla cinese Supermicro Computer, dei chip che servivano ad acquisire, da remoto, il controllo totale dei server su cui erano installate senza che chi le utilizzava (o i software di sicurezza, trattandosi di un hackeraggio hardware) avesse il minimo sentore di quanto avveniva. O i chip realizzati dalla Shangai Adups Tecnology Company, che inviavano ogni 72 ore a server cinesi i dati delle chiamate, dei messaggi e la posizione degli smartphone su cui erano installati.
Il problema è che chi controlla la rete ed i router su cui transitano le chiamate non ha bisogno neanche di questi accorgimenti e, in un mondo dove l’informazione significa potere, questo consente di avere un vantaggio nei confronti di tutti gli altri concorrenti, multinazionali o stati che siano.
C’è poi il problema dei problemi: oggi è in atto una corsa, tra USA e Cina, a chi realizzerà per primo l’intelligenza artificiale – la bomba atomica del futuro, quella che consentirà a chi la controlla la supremazia mondiale. Per poter funzionare ha bisogno di un software che sia in grado di modificare se stesso, di un hardware che consenta yottaflops di calcoli e di tantissimi dati da elaborare per progredire in conoscenza e quindi in potenza. Il controllo delle reti garantisce proprio questo: una mole immensa di dati da scansionare, analizzare e con cui migliorare i propri algoritmi.
Per questo motivo gli USA stanno facendo tantissime pressioni per evitare che sia Huawei a costruire le reti 5G nel mondo. Huawei è una delle società che investe di più in ricerca e sviluppo al mondo (è seconda solo alla Apple). Su 100 miliardi di dollari di ricavi annui (con profitti intorno al 20%) Huawei investe più di 10 miliardi l’anno in ricerca e sviluppo ed ha sviluppato un proprio modello di produzione. Per quanto sia una società per azioni, Huawei non è quotata in borsa e le azioni sono possedute dai dipendenti. Il fondatore, nonché attuale amministratore delegato, Ren Zhengfei, possiede solo l’1,42% delle azioni della società e tutte le altre azioni sono distribuite tra i dipendenti cinesi che ne hanno percentuali millesimali.
Si tratta di una struttura societaria simile a quelle delle cooperative nostrane dove, anche se tutti i soci hanno formalmente uguali diritti di voto, vengono eletti alle cariche direttive sempre quelli che hanno i rapporti con il potere politico (per gli appalti) e con le banche (per i finanziamenti).
Che sia un egualitarismo finto lo si capisce anche dal fatto che Ren Zhengfei sia uno dei 100 uomini più ricchi della Cina, con un patrimonio personale dichiarato di 1,7 miliardi di dollari. Visto che lavora con gli appalti pubblici esteri, è verosimile che abbia anche la disponibilità di fondi fuori bilancio per le consuete tangenti e regalie che accompagnano, in qualsiasi parte del mondo, questo tipo di attività. Nelle osterie di Centocelle si mormora che si sia messo da parte anche un bel gruzzoletto in qualche paradiso fiscale e mi sa che hanno ragione.
Huawei tende ad essere totalizzante nella vita dei propri dipendenti non solo con l’autosfruttamento dovuto alla corresponsione di parte del salario attraverso gli utili societari: le fabbriche sono costruite all’interno di company town (che chiamano “campus”) dove vivono i dipendenti con le loro famiglie, abitano in case con affitti più bassi della media di mercato (in Cina stanno crescendo tantissimo i prezzi delle case), vengono incentivati i matrimoni tra dipendenti, i figli dei dipendenti vanno nelle scuole ed università presenti all’interno della città fabbrica, hanno i propri conti nelle banche gestite dalla società e conducono la propria vita in funzione del proprio lavoro. È un modello che è nato negli anno ’90 in Giappone (il toyotismo) e porta all’identificazione del lavoratore con il proprio padrone, che viene venerato in una forma quasi religiosa.
Da tempo gli USA hanno individuato Huawei come l’azienda di punta dei cinesi nello sviluppo delle nuove tecnologie e come loro nemico. La guerra ha avuto un’escalation: si è passati dagli inviti agli altri stati a non ammettere Huawei negli appalti per la realizzazione delle reti 5G, al divieto di vendita degli smartphone Huawei negli USA, all’arresto della figlia di Ren Zhegfei, Meng Wanzhou (ha preso il cognome della prima moglie di Ren) che, oltre ad aver ereditato dal padre la carica di vicepresidente, era anche direttore finanziario di Huawei. L’arresto è avvenuto in Canada ed è attualmente in corso il processo (con Meng in libertà vigilata) per la richiesta di estradizione negli Stati Uniti. La Cina per ritorsione ha arrestato diversi cittadini canadesi per spionaggio e traffico di droga (uno è stato anche condannato a morte).
Nelle scorse settimane si è assistito ad un ulteriore battaglia di questa guerra con la rottura dei rapporti commerciali tra Google e Huawei. È da notare che lo stesso giorno anche Intel, che produce processori, ha dichiarato che non avrebbe più inviato forniture a Huawei. Anche altre aziende minori (Qualcomm, Broadcom) hanno annunciato la fine dei rapporti commerciali.
È paradossale che, nello stesso momento in cui gli USA accusano Huawei di essere al servizio del governo cinese, per combatterla dimostrano che le corporation USA sono al servizio del governo americano, potendo queste tranquillamente essere obbligate a seguire pratiche commerciali che determineranno perdite. Il problema non è solo di Google per la mancata vendita di servizi (il sistema operativo Android può essere liberamente usato, quella che non sarà fornita è la versione personalizzata da Google con Google playstore, maps, gmail con conseguente perdita di utenti e di spazi pubblicitari). Intel ha un problema molto più grande: i processori per computer li produce anche in Cina, dove ha due fabbriche e sperimenta le nuove tecnologie. Per potere impiantare le fabbriche hanno dovuto fornire tutte le informazioni sulla tecnologia per produrli (ed è uno dei punti controversi nei rapporti commerciali USA-Cina) proprio ai cinesi, che adesso potrebbero tranquillamente produrseli da soli.
Questa battaglia rischia di essere persa dagli USA proprio per questo motivo. I cinesi possono tranquillamente realizzare, in pochi mesi, una loro versione personalizzata di Android e possono prodursi i processori di cui hanno bisogno (le fabbriche sono già lì). Oltretutto i cinesi potrebbero utilizzare analoghe contromisure commerciali (oggi Apple fa il 20% del proprio fatturato in Cina) o addirittura produttive: la Cina ha il quasi monopolio delle “terre rare”. A dispetto del nome, le “terre rare” sono un gruppo di elementi chimici relativamente comuni che vengono utilizzati in moltissime produzioni ad alta tecnologia, dai motori ibridi, ai magneti, ai processori, ai superconduttori. Il problema (per gli USA) è che la Cina realizza in questo campo il 95% della produzione mondiale e, se dovesse chiudere i rubinetti, gli statunitensi avrebbero problemi con tutte le loro produzioni ad alta tecnologia. Sarà per questo che, il giorno dopo l’annuncio di Google ed Intel, il presidente cinese Xi Jingping, non ha fatto nessuna dichiarazione ma una visita ufficiale nella fabbrica di Tantou, dove si raffinano proprio le “terre rare”. Il giorno successivo Trump ha annunciato che avrebbe sospeso per tre mesi il blocco delle forniture per trovare un accordo.
Le guerre, e quella digitale non fa eccezione, le combattono i ricchi ma ci muoiono i poveri. L’esito di questa guerra digitale sarà, indipendentemente da chi la vincerà, una diminuzione degli spazi fuori dal controllo statale, sia in rete sia nella vita quotidiana. Teniamone conto.
Fricche