Il libro di Alessio Lega mette sicuramente in evidenza il grande fascino che la figura di Bakunin esercita sull’autore e dobbiamo dire che forse, in questo, Alessio gioca facile. Come non rimanere affascinati da Bakunin? Innanzitutto la forza potente dell’anima russa, ma anche e soprattutto la grandezza del pensatore, pietra miliare dell’anarchismo, che non si ferma però all’elaborazione teorica od al dibattito acceso che lo contrappone a gente del calibro di Marx, dibattito determinante per gli sviluppi dell’Internazionale. Bakunin, come ci ricorda Alessio, è soprattutto quello delle barricate, quello della Comune di Parigi e di Lione, quello che fa dell’azione la sua pratica quotidiana, collocandosi nelle lotte più radicali, patendo il carcere durissimo, l’esilio, le privazioni, ma vedendo animarsi sotto i suoi occhi momenti rivoluzionari fondamentali.
Tutto questo raccolto in una persona che anche fisicamente ha il connotato dell’eccezionalità, la dismisura delle proporzioni fisiche, le caratteristiche dell’ingens, il fuori-gens. Un personaggio che non fa fatica a divenire mitologico e del mito prende le caratteristiche, anche nell’attribuzione dell’epiteto. L’eroe mitologico dell’epica antica è nominato frequentemente per epiteto fisso, così come lo stile formulare richiede: Bakunin ha l’epiteto fisso di demone, diavolo, demonio, attribuitogli da chi lo ritiene il male assoluto, ingovernabile e malefico per il rischio cui sottopone l’ordine, secondo la valenza negativa che il termine assume nella cultura cristiana e che ha ispirato scrittori di fama che nel male assoluto hanno incarnato proprio Bakunin. A me però piace pensare al demone della rivolta come al daimon classico, il genius, la forza spirituale che si fa sostanza d’azione, che determina l’agire e le relazioni, che orienta la vita: il gigantesco daimon di Bakunin, in qualche modo, in misura sicuramente ridotta, è anche il nostro, quel piccolo daimon tascabile che ci spinge verso soluzioni di libertà, verso l’anarchia.
L’inizio del libro ha una forte valenza teatrale. Il capitolo comincia con la brusca irruzione sulla scena di Bakunin, reduce da una rocambolesca fuga, da un incredibile viaggio per mare che dalla Siberia lo ha condotto in Giappone e da lì negli Stati Uniti e poi a Londra. Bakunin irrompe in quello che sembrerebbe a prima vista un salotto borghese in cui si sta consumando la cena: una rappresentazione che il teatro ha utilizzato tante volte. Eppure in quel salotto c’è l’antitesi completa dei valori borghesi, perché lì si incrociano storie di rivoluzione, di esilio, di solidarietà, di libero amore. In quel salotto piomba Bakunin, stremato, ed occupa tutta la scena, raccontando di sé e chiedendo degli altri in modo concitato ed emozionato. Quindi crolla su una poltrona e si addormenta. L’amico Herzen lo copre amorevolmente con una coperta che, simile ad un sipario, chiude la scena.
Alessio Lega solleva per noi questa coperta ed altrettanto amorevolmente ci conduce a “scoprire” Bakunin, con un flashback che ci riporta alla gioventù del demone, alle sue lotte, ai suoi progetti, alla durissima carcerazione nelle segrete della fortezza di Pietro e Paolo, carcerazione che colpisce duramente il suo fisico. La narrazione va avanti e indietro attraverso i momenti di lotta più significativi dell’Ottocento, attraverso il confronto con grandi pensatori, filosofi e rivoluzionari; ci conduce nel percorso che porta Bakunin all’anarchia, alla chiara individuazione delle differenze tra il socialismo libertario e quello autoritario, maturata non solo dal dibattito teorico ma anche dal costante contatto con le tante insurrezioni del periodo, da quella sua irrefrenabile volontà di “gettare il corpo tra gli insorti”.
Ma quello che mi ha più colpito, come lettrice, di là della ricostruzione degli eventi storici, è questo senso della dissipazione che caratterizza Bakunin. Non tanto dissipazione di patrimoni, propri ed altrui, legata ad una vita caratterizzata dall’eccesso; non tanto dissipazione di pantagrueliche porzioni di cibo per alimentare il suo fisico poderoso. È la dissipazione di sé che mi ha colpito, il generoso mettere a disposizione tutto sé stesso per la libertà collettiva, per la felicità umana; è la completa liberazione del demone della rivolta, il daimon, al punto di non curarsi della libertà personale, della salute, di una vita stabile. Mi viene da ripensare alle parole con cui Seneca individua la figura del sapiens in colui che nelle congiunture negative si risparmia per senso di responsabilità, perché se non spreca sé stesso può conservarsi integro per momenti migliori e giovare così alla collettività. Il saggio di Seneca non nitetur in supervacuum nec se impendet, non si sforza e non si spende per qualcosa di estremamente inutile: si risparmia. Bakunin invece non si risparmia, è un irresponsabile ed un dissipatore: infatti è un rivoluzionario. Un grande pensatore, un grande teorico, ma soprattutto un rivoluzionario. Ciò che fa di Bakunin “Bakunin”, scrive Alessio Lega, è la barricata, il luogo che più gli è congeniale, il luogo a cui non sa resistere, un luogo in cui “la polvere si incontra col sogno al punto di diventare possibilità”.
Perché la barricata è strumento concreto di guerriglia, ma anche elemento dal forte richiamo simbolico: sono le masserizie del nostro quotidiano, i rottami e le miserie delle nostre vite che ammassati, raggruppati, prendono senso e diventano luogo di resistenza e di attacco. Leggere di Bakunin fa venire la voglia di dare un senso a masserizie e rottami, alle macerie delle nostre fatiche, delle nostre miserie, dei nostri fallimenti. Fa venir voglia di cavar di tasca il nostro demone della rivolta.
Patrizia