Per chi è, contemporaneamente, attore, nel suo ruolo di militante politico sindacale, e osservatore, in quello nella fattispecie di corrispondente di Umanità Nova, di una mobilitazione importante può valere la pena di partire dall’esperienza personale di un momento non facile della lotta contro la politica scolastica del governo per provare a trarne valutazioni più generali.
Prenderò dunque le mosse da un presidio svoltosi a Torino, in Piazza Palazzo di Città e cioè di fronte al Comune giovedì 25 giugno, il giorno della discussione e del voto al Senato del DDL Renzi Giannini. il cosiddetto Decreto Buona Scuola.
E’ bene tenere conto che a Torino, e ovviamente non solo a Torino, lo sciopero del 24 aprile di parte del sindacalismo di base ha visto una partecipazione dignitosa, lo sciopero del 5 maggio indetto da TUTTI i sindacati ha visto un corteo massiccio, vi sono state manifestazioni, sit in o, se si preferisce chiamarli così, flash mob partecipati e lo sciopero degli scrutini è riuscito bene.
Giovedì 25, ed è questo il fatto sul quale ragionare, eravamo qualche centinaio, pochi in assoluto e pochi soprattutto se si considera, per un verso, la gravità della situazione e, per l’altro, il fatto che la manifestazione era stata convocata dai sindacati istituzionali, da quelli di base e dai coordinamenti e cioè da un fronte sindacale quale non si era mai visto in passato.
Per soprammercato, la manifestazione era triste, depressa e depressiva, con le colleghe ed i colleghi che aspettavano le “novità” dal dibattito del senato come se ci fosse qualche possibilità di sorprese all’ultimo minuto e che, di fronte alla conferma di quanto era perfettamente prevedibile e cioè l’approvazione del DDL Renzi Giannini, manifestavano solo sbandamento e senso di impotenza.
Certamente si può spiegare quanto è avvenuto a Torino e non solo a Torino con la relazione fra la percezione della sconfitta in arrivo e la conseguente “inutilità” della manifestazione che ha determinato la scarsa affluenza e con il fatto che trovarsi in pochi ha rafforzato la deriva verso la depressione.
E’ interessante notare che la stampa cittadina del giorno seguente non ha dedicato una riga alla manifestazione, che il TG 3 giovedì stesso non ha dato notizia della manifestazione e che venerdì, probabilmente in risposta a proteste e solleciti, si è limitato ad un breve servizio.
Non è stata censurato un gruppo autorganizzato e radicale, sono stati censurati gli stessi sindacati istituzionali e un fatto del genere vorrà pur dire qualcosa.
Ciò detto, non credo che una manifestazione o, meglio, un certo numeri di manifestazioni sparse sul territorio nazionale vada valutata per quello che è e cioè come un indicatore.
Ora, è evidente che la gran parte dei colleghi, a fronte di una mobilitazione della maggior parte della categoria, dell’unità del fronte sindacale, di scioperi e manifestazioni riusciti e cioè di una situazione che non si era mai data in questa forma e in queste dimensioni in passato ha vissuto la determinazione del governo a tirare dritto come una sconfitta secca, imprevista, bruciante.
Se alla valutazione sulla mobilitazione si aggiunge quella sui risultati elettorali che, non mi appassiona l’analisi dei flussi elettorali ma è bene tenerne conto, hanno punito il PD anche, non solo, per le scelte di politica scolastica, è comprensibile lo sconcerto di chi sperava che il PD, consapevole dello scontento di consistenti settori del suo blocco sociale di riferimento, avrebbe fatto un passo indietro. In realtà lo stesso PD da questo punto di vista ha incassato qualche sconfitta e conta di non dover affrontare prove elettorali importanti per qualche tempo con l’effetto che non si è stracciato le vesti.
Se quanto sinora rilevato è ragionevolmente esatto, si tratta ora di fare un bilancio:
- della natura, della tenuta, dei limiti, dei punti di forza e di quelli di debolezza del movimento contro il DDL Renzi Giannini;
- delle prospettive per i prossimi giorni e, ovviamente, per il prossimo anno scolastico.
Sul primo punto, è mia opinione che i limiti del movimento stavano, e stanno, proprio nel fatto che la sua unità si poteva, e si può ad oggi, garantire evitando forzature, attestandosi su un livello di conflitto per alcuni versi rituale e che, peraltro, non si è presa sufficientemente sul serio la determinazione del governo a “tirare dritto” sia per rispondere alle pressioni dei gruppi di potere reali che hanno volto questa operazione che per dimostrare la propria “potenza riformatrice”.
Per evitare equivoci, è mia opinione che la richiesta forte di unità da parte dei lavoratori di fronte ad un attacco di questa portata non è irragionevole, anzi si fonda sulla consapevolezza che solo una massa critica adeguata di forze può dare dei risultati.
Ma quando l’unità è percepita come unità dei “sindacati” e non come pratica di lotta e di organizzazione che parte e si coordina a partire dai luoghi di lavoro, e ciò in qualche misura è avvenuto nonostante positive esperienze di auto attivazione di gruppi di colleghi, si determina una sorta di appiattimento.
D’altro canto, fuori dall’ampia area egemonizzata dai sindacati istituzionali non vi era un polo caratterizzato da lucidità e, soprattutto, consistenza tali da forzare la situazione anzi, per alcuni versi, settori del sindacalismo alternativo si sono dati come primo obiettivo l’accreditamento da parte di CGIL CISL UIL.
Non voglio dire che sarebbero state possibili, e soprattutto vincenti, altre scelte, certo però il non averle nemmeno ipotizzate è un limite.
Detto ciò, l’approvazione del DDL da parte del Senato non è che una tappa di un percorso ancora in fieri.
Non mi riferisco tanto al passaggio alla Camera del 7 luglio che, a meno di sorprese strepitose vedrà l’approvazione definitiva del DDL ma alla sua effettiva applicazione che sconterà intanto il ritardo con il quale è stato approvato e, soprattutto, la reazione, sia in forma di lotta che di disapplicazione passiva, da parte dei lavoratori della scuola per non parlare delle difficoltà che avranno i dirigenti scolastici o, almeno, ampia parte di essi a far funzionare la scuola “nuovo modello”.
Il secondo punto è ovviamente il più problematico e delicato, come è noto la mobilitazione diffusa in oltre diecimila sedi quali sono gli istituti scolastici e assai più complessa che l’organizzazione di uno sciopero o anche si una serie di azioni di lotta.
Serve, in altri termini un salto organizzativo e, nel contempo, politico culturale che dovrà certo tener conto delle esperienze accumulate nelle lotte passate ma anche basarsi su di un’elevata e, ammettiamolo, inedita capacità di sperimentazione ed innovazione da parte dei lavoratori della scuola e degli stessi militanti politico/sindacali radicali.
Cosimo Scarinzi