Sono passati vari giorni dal sanguinario attentato di Parigi e mesi da quello precedente che ha distrutto Charlie Hebdo, entrambi rivendicati dai nazi-islamisti dell’ISIS. Così dopo le varie prese di posizione sia del mondo partitico che di quello dell’opinione pubblica, e dopo lo sciacallaggio mediatico per fini elettorali, è necessario fare alcune considerazioni che vadano più a fondo rispetto all’insufficiente sentimentalismo post-attentato. La prima cosa che mi viene da dire è che come Holland, Renzi, Obama e Cameron, così come la maggior parte dei padroni di Stati occidentali, anch’io credo che siamo in guerra. Ciò che mi allontana da loro è l’idea di guerra, o meglio, di quale guerra si sta discutendo. Non credo ad esempio che i fatti di Parigi siano una dichiarazione di guerra da parte dell’ISIS: tuttalpiù è un’accettazione della dichiarazione di guerra fatta innanzitutto dalla Francia, o più in generale dagli Stati occidentali, all’ISIS. L’Islamic State of Iraq and Syria, ISIS appunto, nasce come Stato islamista, con una propria struttura governativa, legislativa, militare e punitiva; con le proprie carceri, la propria polizia, i propri sudditi-cittadini da difendere e sottomettere. Nella struttura niente di diverso quindi rispetto alla concezione di Stato come istituzione politica nella quale, in sé, l’ISIS riesce a racchiudere tutte le caratteristiche immanenti ad uno Stato e che vengono identificate come sovranità. Storicamente parlando, anche gli Stati a noi più comuni, e che oggi si ritrovano a fare i conti contro e con i nuovi soggetti entrati nello scenario globale per il controllo dei territori, delle ricchezze e delle culture, come ad esempio l’ISIS per l’appunto, nel passato hanno speso le proprie risorse per l’allargamento dei propri confini e domini. Quei secoli sono stati identificati come colonialismo. Ad oggi l’ISIS sta praticando, o quanto meno tentando di metterle in atto, le stesse politiche colonialiste che per secoli gli stati monarchici, le democrazie parlamentari e presidenziali hanno condotto e che tutt’oggi producono i loro effetti. In questo scenario, l’avanzata dei nazi-islamisti dell’ISIS, s’inserisce come un soggetto politico-statale tanto nuovo, attualizzandolo ai giorni nostri, quanto datato se paragonato agli Stati confessionali esistiti ed esistenti e di qualsiasi confessione religiosa appartenuti e appartenenti. Pertanto, a mio parare, l’ISIS non potrebbe mai essere capito nella sua interezza fino a quando verrà inquadrato come un’associazione con finalità meramente terroristiche la quale cerca di imporre un proprio dominio culturale; ma bensì, l’Islamic State of Iraq and Syria, andrebbe preso in considerazione come un vero e proprio Stato che attraverso il terrorismo armato, utilizza la propria manovalanza volontaria per espandere i propri confini e la propria potenza. Torno a ripetere: nei metodi, nulla di diverso dal passato. L’Italia ad esempio è stata unificata anche attraverso un’operazione terroristica militare e sanguinaria guidata da Garibaldi che ha previsto il soffocamento delle istanze nascenti nel meridione. Ad oggi invece, le potenze mondiali aderenti alla NATO, all’UE e all’ONU, tra cui la stessa Francia, portano avanti guerre imperialiste di invasione territoriale principalmente per la corsa all’accaparramento delle risorse energetiche. Il punto di rottura che differenzia l’azione militare degli Stati riconosciuti rispetto all’azione militare degli altri Stati non riconosciuti, come ad esempio l’ISIS, e che nell’opinione pubblica rende la prima un’operazione di pace, o di peace-keeping e della seconda un atto di terrorismo, è la giuridicità delle due azioni. Gli Stati riconosciuti come tali mantengono anche il controllo del terrorismo, diventando così essi stessi unici possessori del diritto di esternalizzare la loro sovranità attraverso la legalizzazione degli interventi militari. La guerra viene quindi positivizzata attraverso l’approvazione di norme e trattati internazionali, così la guerra legale resta solo quella messa in pratica dagli stessi Stati ratificanti. Da questo discende il monopolio della cultura della guerra legale che viene giustificata dalla democratizzazione dei territori, rendendo terrorismo tutto ciò che è al di fuori di questa positivizzazione-legalizzazione-normazione dell’utilizzo delle armi. Ma a ben vedere non c’è nulla che differenzia le stragi dell’ISIS, in qualsiasi parte del mondo queste vengano portate a compimento, rispetto agli interventi militari istituzionalizzati dagli Stati riconosciuti. Così ad esempio, nulla diversifica la strage di Parigi dove hanno perso la vita civili inermi, rispetto al bombardamento di un ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, in Afghanistan, da parte della NATO e che ha fatto decine di morti (tra cui tre bambini). Questa diversa identificazione giuridica porta quindi ad una conclusione disomogenea: da una parte l’intervento militare di uno Stato riconosciuto diventa un mezzo, mentre l’intervento militare di uno Stato non riconosciuto come tale dai primi resta ed è il fine, e quindi terrorismo. Tornando a prendere come esempio l’attentato di Parigi, l’ISIS non ha semplicemente compiuto un’azione terroristica, ma ha anche compiuto un’azione di guerra, tanto quanto è terrorismo e guerra quelle azioni militari della NATO, dell’UE e dell’ONU e in cui perdono la vita migliaia di civili. All’interno di questo vortice che porta gli uni e gli altri a rinfacciarsi colpe e responsabilità, si genera anche e soprattutto la cultura giustificatrice dell’utilizzo delle armi come lotta al terrorismo. Gli Stati, per loro stessa natura, attuano il principio della guerra come mezzo per il dominio, l’accrescimento del controllo delle ricchezze e il controllo della sicurezza. Pertanto il fine ultimo dei popoli, non dovrebbe restare all’interno della lotta contro il nazi-islamismo dell’ISIS, ma dovrebbe portare a lottare contro il fondamentalismo e fanatismo statalista.
“Terrorista è lo Stato”, si chiami esso Francia, USA, Italia, Inghilterra o ISIS.
Nicholas Tomeo