Quest’anno ricorre l’ottantesimo della morte, per assassinio, avvenuta in Spagna ad opera dei comunisti staliniani, che ne hanno rivendicarono la paternità, di Camillo Berneri. L’opera e gli scritti di Berneri sono ancora soggetto di libri e convegni, che credo non mancheranno quest’anno. La collaborazione a giornali e riviste di Berneri è vasta, non solo alla pubblicistica anarchica ma anche a giornali non classificabili nell’area libertaria. L’apertura intellettuale di Berneri è ben spiegata da Gaetano Salvemini: “Si interessava di tutto. Mentre molti anarchici sono come case le cui finestre sulla strada sono tutte murate (a dire il vero non sono i soli!), lui teneva aperte tutte le finestre”.[1] Una di queste “finestre” si aprì alla collaborazione con la rivista di Piero Gobetti La Rivoluzione Liberale, che si pubblicò dal 1922 al 1925. Gobetti ebbe il grande intuito di raccogliere attorno alla rivista la collaborazione degli antifascisti proveniente dalle più diverse posizioni politiche e, tra questi, l’anarchico Berneri, l’unico anarchico tra i collaboratori, perché, scrive Berneri “(…) l’anarchismo (…) deve sapere affrontare il complicato meccanismo della società odierna senza occhiali dottrinari e senza eccessivi attaccamenti all’integrità della sua fede.”[2] L’antifascismo di Berneri è testimoniato anche da Salvemini in merito alla collaborazione come diffusore del giornale Non Mollare – il primo foglio clandestino di lotta contro il fascismo, uscito a Firenze dal Gennaio al Luglio 1925, ad opera di un gruppo di antifascisti raccolti attorno a Carlo e Nello Roselli (quest’anno ricorre anche l’ottantesimo dell’assassinio dei fratelli Rosselli), a Salvemini ed a Ernesto Rossi: “I pacchetti (del Non Mollare) erano portati a mano ai destinatari fuori Firenze (…) fuori di Firenze aiutavano Camillo Berneri, che insegnava in una scuola normale dell’Umbria…”.[3] La collaborazione con Rivoluzione liberale avvenne tra l’Aprile 1923 e il Marzo 1925 con sette articoli, qui si riporta l’articolo apparso sul n 8 anno 3 del 19 Febbraio 1924, in cui Berneri replica ad un articolo di Umberto Morra di Lavriano sugli anarchici,[4] nel quale confuta l’idea dell’anarchia come movimento violento e ne traccia, con passione, gli ideali e i fini.[5] Riportiamo inizialmente l’intervento di Morra di Lavriano, cui segue la risposta di Berneri.
GLI ANARCHICI
è quasi opportuno parlare un momento degli anarchici. Non so se ci sia ancora molta gente, dopo circa dieci anni che siamo in ballo tra guerre e guerriglie, disposta a inorridire per il raccapriccio delle teorie che negano la santità della vita umana. Una tendenza appena pessimistica nel giudicare le cose di questo mondo basta perché ci si accosti al “movimento” con tutt’altro interesse di quello del borghese furbo o del poliziotto dilettante. Alla prima impressione che ci tocca, esser quello un fenomeno squisitamente romantico quasi sensualmente necessario. Alla salute morale dei suoi adepti, ne succede un’altra, di meraviglia: perché non s’immagina come faccia a mantenersi una coesione tra spiriti così fini e quasi esangui, che dovrebbero manifestare in forma di dissidi disperati la loro intimità contraddittoria. Ci si convince che l’unica loro disciplina è la (sic) carcere, l’unica regola che conoscano la paura dei tradimenti e delle delazioni; che sono retti e tenuti in vita, come organismo, dalla persecuzioni, e che veramente si sfascerebbero quando all’atto di terrore non seguisse una repressione formidabile. E forse a questo modo riesce di capire la vera illogicità della violenza; e specialmente di quella “qualificata”, che mira all’individuo o all’istituto, che serve all’odio e all’interesse personale. Non si può odiare se non quello che si sente fortemente, che parte della propria vita e della propria anima, e così radicato, da dovere continuamente, da non poter essere composto e superato con la coscienza e con la riflessione. Di quest’odio si fa un fantasma, che a nome e forma di oggetto, e così pare di poterne aver ragione, opponendolo a sé rinnegandolo fino a volerne procurare la morte. Ma si corre alla morte propria, uccidendo la causa delle proprie cure e dei propri tormenti. Il gesto di liberazione non più d’una scarica nervosa, d’un cieco impulso dell’animo inquieto che non sa adattarsi all’arduo dovere della rassegnata accettazione. Tutti in fondo si sarebbe anarchici; ma non tutti si è tanto proclivi a esaurire sragionatamente le fonti della nostra vita. E una conquista della quotidiana saggezza quella che ci persuade del vantaggio, della necessità dialettica. C’è un piano del pensiero in cui davvero nessuna avversità si sente nemica; c’è una visuale in cui nessuna forma può ripugnare. Se ci crede a questi beni, anche il più vile degli attentati rincresce: perché toglie qualche possibilità al nostro mondo, e chiude un avvenire del quale in modi ignoti avremmo pur partecipato anche noi.
U.M.D.L (Umberto Morra di Lavriano)
Anche per te il carattere più saliente dell’anarchismo, come movimento politico, è quello della violenza. Ora quest’idee a braccetto: anarchici e bomba, mi pare sarebbe l’ora di metterle in soffitta. Conoscendo profondamente la storia del movimento anarchico, anche nei paesi latini dove la violenza ebbe, per ragioni economiche e di temperamento, una parte non trascurabile, non si può disconoscere che la violenza non è che una piccola parte ed eccezionale dell’attività anarchica. Se appare grande e permanente è perché solo l’atto clamoroso attira l’attenzione dell’opinione pubblica, che ignora quella attività che si svolge pacificamente, dalla rivista al circolo di studi sociali, dalla casa editrice alla scuola Ferrer. Le teorie anarchiche negano la santità della vita? O non è in nome della vita degli oppressi, delle vittime, non è dall’esasperazione sentimentale per il dolore e la violenza che è nel mondo che alcuni anarchici hanno colpito a morte? La posizione degli anarchici è quella di tutte le minoranze che non hanno nei momenti delle situazioni eccezionali altra forza: quella della violenza. L’omicidio politico non è stato teoria e pratica di tutti i movimenti patriottici? Gli anarchici condannano la violenza, in quanto essa è una forma estrema di autoritarismo e in quanto la considerano una extrema ratio che sognano eliminata. Ma gli anarchici si levano contro il rigorismo etico, come Jacobi si poneva contro Kant, in quella famosa lettera al Fichte: “si, sono l’ateo e l’empio che vuole mentire come mentì Desdemona morendo; come vuole mentire ed ingannare come Pilade presentandosi per Oreste; che vuole uccidere come Timoleonte, ecc.” Contro l’etica scolastica che qualifica le opere degli uomini giudicandole buone o cattive in disparte dal fine, l’anarchico afferma impossibile l’amore che non si connetta con l’odio e crede che “chi viene mandato dall’amore giunga armato di scure”, come diceva il Bovio, che pur diceva agli anarchici giù il coltello!. Quando questi si abbandonano a violenze inutili l’anarchico, dunque, odia perché ama. E il suo odio, in colui che ha il senso della storia, trascende l’individuo, la categoria, la classe. Ma non cessa per questo di sentirsi giustificato moralmente nel compiere la violenza. Si potrà discutere se o quali atti di violenza anarchica furono utili, ma non si può condannare quella senza condannare qualsiasi violenza, da quella dell’Orsini a quella del Battisti. E veniamo alla meraviglia che tu provi nel vedere una certa coesione tra spiriti così individuali. L’unica disciplina è il carcere e l’unica regola la necessità di difendersi: questo tiene in vita secondo te il movimento anarchico, come organizzazione anche questo punto di vista dipende da una inesatta conoscenza del movimento anarchico. Gli Anarchici-Comunisti hanno un programma, che non è rigido e dettagliato, ma presenta delle linee di finalità e di tattica che possono unire molti individui. Se tu fossi stato al Congresso di Ancona, in cui erano presenti rappresentanti del’Unione Anarchica Italiana, che contava allora 18.000 organizzati, ti saresti certamente stupito dell’armonia che vi regnava. Una caratteristica delle riunioni anarchiche è la calma. Intorno al movimento anarchico organizzato vi è un vasto alone di elementi varii, anarchici di un anarchismo amorfo, che va dal ravacolismo alle rimasticature stineriane, il movimento anarchico va considerato in rapporto alle forze organizzate e che presentano una continuità di pensiero e azione. E questo movimento non è che l’ala strema del socialismo. Le persecuzioni, invece di rinsaldare e migliorare il movimento, l’hanno sempre disorganizzato e peggiorato. Ben è vero, però, che la scuola del sacrificio ha conservato agli anarchici certe qualità combattive che mancano a tutti agli altri partiti. Tu opponi, poi, la posizione romantica dell’anarchico in un piano inferiore a quella dialettica liberale. È questa una soluzione storicistica del problema della vita come dovere di azione. Ma anche da questo angolo visuale mi pare che la tua posizione sia errata. Poiché nella catena della cause un anello vale l’altro, per chi veda soltanto le possibilità della storia. Nell’ingranaggio dialettico della storia l’atto di un re o di un ministro può rappresentare tante possibilità quanto l’attentato di un anarchico. Tante altre osservazioni mi suggerisce il tuo “giudizio” ma la R.L. (Rivoluzione Liberale, n.d.c.) è troppo storicista per dare tacito peso ad una forza politica che oggi è sui margini della storia. Ed è questa una della cause non secondarie della difficoltà del movimento anarchico di acquistare un respiro più ampio, che lo tolga da quel ristretto cerchio di vitalità in cui si arrovella e da cui scaturisce di quando in quando l’atto di disperazione, che i più chiamano delinquenza e follia. Lasciamo alla storia di domani il compito di rifare i conti.
Camillo Berneri
a cura di Carlo Ottone
NOTE
[1] SALVEMINI, Gaetano, “Donati e Berneri”, in il Mondo, n. 18. 3 Maggio 1952, poi in SALVEMINI, Gaetano, Opere, Milano, Feltrinelli, 1978.
[2] BERNERI, Camillo, “Anarchismo e Federalismo – Il Pensiero di Camillo Berneri, in Pagine Libertarie, Milano a. II, n. 14 (20 Novembre 1922).
[3] SALVEMINI, Gaetano, ROSSI, Ernesto, CALAMANDREI, Piero, Non Mollare, Firenze, La Nuova Italia editrice, Firenze, p. 7.
[4] Umberto Morra di Lavriano (1897-1981): Antifascista, giornalista, collaboratore di Rivoluzione Liberale.
[5] Cfr. MASINI, Pier Carlo, “Camillo Berneri collaboratore di Rivoluzione Liberale”, in Volontà, n. 12, Giugno 1947, in cui Masini scrive “Importantissima è la risposta ad una nota sugli anarchici….” (p. 31).