Forza che è giunta l’ora! 25 Aprile – Insurrezione contro la guerra

Una narrazione, legata soprattutto ai primi momenti dell’aggressione russa all’Ucraina, ha cercato di stabilire un rapporto fra la guerra in Ucraina e la lotta di liberazione in Italia; questa narrazione è penetrata anche in ambienti che si definiscono anarchici.

Scrive ad esempio Antti Rautiainen il 28 gennaio 2022, alla vigilia dell’attacco russo all’Ucraina, che anche nel corso della Seconda guerra mondiale, in quasi tutti i paesi occupati dai nazisti, anarchici e antiautoritari collaborarono con gli Alleati. L’unica eccezione a sua conoscenza è il Fronte Marx-Lenin-Luxemburg olandese, che si sviluppò dal trotskismo verso il comunismo dei consigli. Secondo Rautiainen, gli antiautoritari meno estremisti se la cavarono meglio. Ad esempio, i partigiani anarchici italiani liberarono la città di Carrara, che alla fine divenne un potente centro del movimento anarchico. I veterani della resistenza anarchica non riuscirono comunque a ripristinare la precedente dimensione del movimento, ma secondo l’autore ciò non è certo dovuto a una cooperazione “senza principi” con gli alleati borghesi.

Rautiainen evidentemente ignora o, più probabilmente, travisa il ruolo del movimento anarchico italiano nella lotta di liberazione e la portata antimilitarista di questa stessa lotta, oltre ovviamente a travisare i fini di conservazione sociale che furono alla base dello scatenamento della guerra da parte di entrambi i fronti.

Il movimento anarchico italiano durante la Seconda guerra mondiale

Il movimento anarchico italiano cominciò a riorganizzarsi a partire dalla primavera del 1942. Altri convegni clandestini si tennero il 16 maggio del 1943, quando fu fondata la Federazione Comunista Anarchica Italiana, e il 5 settembre del 1943, in cui fu lanciato un testo a firma del «Fronte unico dei lavoratori», indirizzato al proletariato italiano. La propaganda del movimento anarchico era indirizzata alla costituzione del fronte unico proletario, e non all’alleanza con i partiti borghesi, all’insurrezione popolare per la pace immediata e l’abbattimento della monarchia. Non si parla di alleanza con le forze borghesi, ma di pace immediata con quello che allora era l’invasore, gli anglo americani che avevano invaso la Sicilia e la Calabria. Se il movimento che si è attribuito la definizione di anarchico in Ucraina dovesse comportarsi come il movimento anarchico italiano in quegli anni, dovrebbe ribellarsi a Zelensky e chiedere la pace immediata con la Federazione Russa. Ma non credo che spetti a me dare indicazioni sul comportamento da seguire in Ucraina, né la storia è solo un ripetersi di fatti identici a cui dare le stesse risposte.

Quali erano le possibilità di vittoria di un’insurrezione popolare in Italia? È sicuramente azzardato affermare che l’insurrezione fosse una prospettiva concreta prima del 25 luglio 1943 e prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Quello che è certo è che fu questa paura, più dell’invasione degli angloamericani, a spingere il re e la sua cerchia ad organizzare il colpo di stato del 25 luglio, paura alimentata dagli scioperi del marzo 1943 di cui abbiamo già parlato su questo giornale.

Il baluardo della monarchia

Le grandi e spontanee manifestazioni popolari del 25 e 26 luglio, come la mancata resistenza delle organizzazioni fasciste -a partire dalla Milizia- al colpo di stato, mostrarono che il partito fascista aveva cessato di esistere. Il fatto che il mancato sostegno da parte del re abbia causato la morte del PNF è la dimostrazione, a posteriori, che è stato proprio l’appoggio del re a far sì che il partito fascista trovasse sostegno negli ambienti militari e prendesse il potere nel 1922.

Comunque sia, se il re aveva pensato ad una graduale trasformazione del fascismo per tenere sotto controllo i ceti popolari, tale progetto si rivelò inattuabile; per questo nel ’43 il governo Badoglio nella sua prima riunione, prendendo atto dello stato di fatto, da una parte sciolse il partito fascista e le sue organizzazioni, così come il Gran Consiglio e il Tribunale Speciale, dall’altra adottò una politica duramente repressiva che faceva affidamento sullo stato d’assedio e sulle forze armate.

La paura che facevano a questa banda di oligarchi la classe operaia e tutti coloro che scendevano in piazza a chiedere pane, pace e libertà è dimostrata dalla circolare del comando supremo dell’esercito del 28 luglio 1943. Questa circolare, destinata ai comandi sottoposti, disciplinava l’uso dell’esercito in servizio di ordine pubblico e disponeva che, muovendo contro gruppi di individui che perturbassero l’ordine pubblico o non si attenessero alle prescrizioni dell’autorità militare, le truppe dovevano aprire il fuoco a distanza, senza preavvisi di sosta, come se procedessero contro truppe nemiche. A seguito degli ordini del Comando Supremo, nei giorni fra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 si ebbero, secondo stime approssimative, 93 morti caduti sotto il piombo regio, 536 feriti e 2.276 arresti.

Come scriverà Pietro Bianconi, ne “Gli anarchici italiani nella lotta contro il fascismo”: “Quale maggior contorcimento di quello che vuole attribuire la Resistenza all’esercito, alle Forze Armate? Il generale Raffaele Cadorna, colui che diventerà il comandante militare (consulente) delC.L.N., rispondendo e Emilio Lussu che gli chiedeva cosa avrebbe fatto l’esercito italiano di fronte all’insurrezione popolare, chiariva che l’Esercito avrebbe sparato sulla folla”.

In realtà le forze armate, per quanto fascistizzate e per quanto gli alti gradi avessero beneficiato del fascismo e delle sue avventure in terra straniera, rimanevano fedeli al re. Vittorio Emanuele III, Badoglio e la ristretta cerchia che li circondava, erano preoccupati di mantenere i propri privilegi dinastici ed erano indifferenti alla sorte dei ceti popolari. Altrettanto indifferenti alle dichiarazioni solenni dei governi alleati sul progresso e sulla democrazia, il re e il nuovo governo erano convinti che fosse necessario mantenere in Italia un regime autoritario e conservatore, imperniato sulla monarchia, come quello dell’Italia prefascista: da qui la loro paura di qualunque movimento della classe operaia e dei ceti popolari, che cercavano di fronteggiare con ogni mezzo.

Questa scelta di classe antipopolare fece sì che il re e il governo Badoglio non agissero con prontezza ed efficacia, all’indomani del colpo di stato del 25 luglio, per l’armistizio con gli angloamericani e il definitivo abbattimento del regime fascista.

Questo probabilmente avrebbe causato perdite gravissime alle forze armate italiane e parte dell’Italia sarebbe diventata un campo di battaglia, ma il disastro che già incombeva sarebbe stato meno grave e la guerra meno lunga, senza il calvario di stragi nazifasciste lungo la penisola.

Il soffocamento dell’insurrezione

I partiti antifascisti, che avevano visto allentare il regime di clandestinità all’indomani del 25 luglio, diedero vita al comitato delle opposizioni, che si preoccupò innanzi tutto di impedire un possibile scoppio insurrezionale, facendo poi pressioni sul re e Badoglio perché accelerassero le trattative di pace con gli angloamericani.

Ma le masse, per quanto disabituate all’azione in prima persona da venti anni di dittatura, non stavano a guardare: nella seconda metà di agosto si riprese a scioperare a Torino, a Milano e negli altri centri industriali. Il nuovo protagonismo della classe operaia spaventò il governo, che sapeva di poter contare sempre meno sulle truppe, stanche e sfiduciate. Gli esponenti dei partiti antifascisti fecero quello che sapevano fare meglio, e incontrarono delegazioni di operai per farli tornare alla calma. In quest’opera si distinse il socialista Bruno Buozzi, che già al tempo dell’occupazione delle fabbriche aveva svolto egregiamente il suo ruolo di pompiere delle masse, e lo stalinista Giovanni Roveda, membro della direzione del PCI, che applicò le direttive del suo partito sul carattere “nazionale” (cioè a favore della borghesia) della lotta antifascista. È bene ricordare che proprio a Buozzi e a Roveda, insieme ai democristiani Gioacchino Quarello ed Achille Grandi, il governo Badoglio aveva affidato come commissari i sindacati fascisti dell’industria e dell’agricoltura.

La sfiducia nella capacità rivoluzionaria delle masse è un tratto caratteristico dei partiti di sinistra, e anche in quel periodo si manifestò apertamente. In questo modo non solo rinunciarono ad un possibile sbocco insurrezionale, che avrebbe aperto scenari ben diversi al futuro dei ceti popolari italiani, ma anche ad usare le agitazioni per minacciare il governo di Roma e costringerlo a rimangiarsi la frase “la guerra continua” del comunicato emesso il 25 luglio.

La lotta di liberazione

L’indecisione della coalizione antifascista e la sudditanza dei partiti di sinistra emersero chiaramente al momento dell’armistizio. Le iniziative di resistenza all’occupazione tedesca furono perlopiù individuali o di piccoli gruppi, scarsamente coordinati. Non è un caso che l’episodio più importante di lotta popolare, la battaglia di Piombino, vedesse il ruolo guida del movimento anarchico locale, che vantava una forte presenza fra le maestranze delle industrie siderurgiche della zona.

Furono necessari altri venti mesi di tirannia fascista, di fame, bombardamenti angloamericani e stragi nazifasciste per convincere i partiti della coalizione antifascista dell’inevitabilità di quello che il movimento anarchico aveva già indicato come strategia nel 1942: l’insurrezione popolare contro la guerra e il fascismo. In tutto questo, il ruolo delle forze armate italiane è stato inesistente, se non controproducente.

In questa lotta, i partiti antifascisti cercarono di inquadrare la lotta contro la guerra e il fascismo all’interno della struttura burocratica e interclassista dei comitati di liberazione nazionale, ma le formazioni anarchiche e libertarie videro in essi dei semplici organismi di coordinamento. Fino a quando c’è stata l’alleanza di fronte al nemico comune, l’alleanza ha avuto un senso; il movimento anarchico tuttavia non ha mai subordinato la propria azione alle esigenze del governo definito legittimo perché riconosciuto dagli angloamericani, né a quelle dell’unità definita nazionale perché succube agli interessi della classe dominante, cioè la borghesia. La partecipazione dell’anarchismo alla lotta di liberazione è stata ben più importante del numero delle formazioni anarchiche e dei partecipanti, certamente superiore alle statistiche ufficiali. Non solo. L’anarchismo ha contrapposto la pratica dell’unità proletaria alla dottrina stalinista dell’unità nazionale e la tattica dell’insurrezione a quella della collaborazione governativa. In questo senso, l’insurrezione del 25 aprile 1945, condotta soprattutto da non anarchici, dimostra la validità del metodo anarchico, che si impone con la forza di una legge naturale. I sostenitori della conquista legalitaria del parlamento ne furono cacciati dai fascisti nel 1922; nel 1945, per cacciare i nazifascisti, dovettero ricorrere a quella insurrezione popolare che vedevano come il fumo negli occhi.

L’antimilitarismo delle masse

La sfiducia nei confronti dell’esercito e del militarismo è testimoniata anche dalle rivolte contro la coscrizione obbligatoria che si verificarono nelle regioni meridionali, nell’inverno 1944-1945, quando il governo alle dipendenze degli angloamericani volle reintrodurre la leva obbligatoria. Gli episodi più clamorosi avvennero in Sicilia e testimoniano ancora una volta l’incapacità dei partiti di sinistra, che avevano propri esponenti nel governo, di comprendere lo stato d’animo delle masse e soprattutto di farsene interprete: una incapacità che li portò a bollare la rivolta come fascista. Chi fa parte o aspira ad andare al governo non può del resto condividere lo spirito antimilitarista dei ceti popolari, che non volevano e non vogliono più sentir parlare di guerra né di spese militari.

Queste osservazioni, in controtendenza rispetto alla storiografia ufficiale sulla lotta di liberazione, vogliono offrire uno spunto di riflessione su cosa fu veramente l’insurrezione popolare vittoriosa contro la guerra del 25 aprile 1945, riflessione tanto più utile oggi che i governi italiano ed europeo spingono verso la guerra.

Tiziano Antonelli

 

nell’immagine: Militanza Grafica, Danza con tutt* noi, Liberazione (particolare)

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