Sabato 8 ottobre, a Torino, in una Torino non più città manifatturiera ma, al contrario, territorio attraversato dalle forme più moderne e flessibili di un lavoro iperindustriale che l’ideologia dominante pretende di non ritenere nemmeno più lavoro, uno sciopero nuovo modello ha aperto una discussione e prospettive di straordinario interesse per la critica dell’ordine sociale dominante.
Foodora, un nome che i torinesi hanno imparato a conoscere bene: non solo consegne di cibo a domicilio, ma un vero e proprio brand che vuole spargere attorno a sé l’aura del nuovo capitalismo, quello “figo”, quello delle piattaforme condivise.
In realtà un esercito di lavoratori in bicicletta sottopagati e privati di diritti elementari come la malattia, le ferie, ecc..Senza assicurazione e costretti pure a ripararsi da soli la bici (sono professionisti, no?) e a comprarsi il caschetto.
Anche il colore hanno scelto quelli di Foodora per presentarsi come nuovi, immacolati, di tendenza.
Peccato, per loro, che il loro violetto sia servito a lavoratrici e lavoratori che sfrecciano nella nostra città per annunciare il primo sciopero di questa azienda, che sabato 8 non ha consegnato nemmeno un pasto a casa in tutta Torino.
Come nel peggior incubo padronale la giovane azienda agile e rampante che si muove nella sfera del capitalismo 3.0, dove non ci sono – secondo la favola bella che raccontano - più lavoratori e quindi non ci sono più conflitti è stata messa in ginocchio da quello strumento che qualsiasi capitalista deve usare per fare profitti: i lavoratori.
I lavoratori, circa 300 ma il numero esatto proprio per le caratteristiche della loro attività non è noto, di Foodora, una multinazionale tedesca che gestisce le consegne a domicilio per conto di ristoratori, pizzerie e chi ritenga di utilizzare i loro servizi, lavoratori che sono inquadrati come “liberi professionisti” o, se si preferisce, come ragazzi che amano andare in bicicletta e arrotondare facendo dei “lavoretti”, hanno scioperato o, sempre se si preferisce, sospeso la prestazione e hanno circolato per la città portando sulla bicicletta un drappo rosa, colore aziendale, con la surreale scritta “Foodora et labora” raccogliendo un’incredibile solidarietà e suscitando un’attenzione altrettanto incredibile.
La causa immediata scatenante della mobilitazione può apparire persino minima, l’azienda che pagava i riders con la sontuosa retribuzione di cinque, si proprio cinque, euro all’ora decide che si deve passare al cottimo puro e passa, gradualmente, i suoi “liberi professionisti” alla retribuzione di 2,70 a consegna sostenendo che così potrebbero guadagnare di più.
E’ sin troppo noto che il pagamento a cottimo è la forma ideale per il capitalismo, quella che determina la nascita del libero schiavo del capitale la cui vita è completamente legata alla sua subordinazione al lavoro e che la lotta contro il cottimo e per garantirsi una paga sganciata dalla prestazione immediata di lavoro, lotta certo non di per sé rivoluzionaria ma indubbiamente progressiva, è alle radici stesse del movimento di classe.
Proviamo a comprendere qual è l’autopercezione di questi lavoratori citando un brano del loro manifesto programmatico:
“Siamo lavoratori della logistica. Siamo rider, fattorini, corrieri. Deliveroo, Foodora, JustEat, Ponyzero, qualsiasi sia l’insegna sotto la quale lavoriamo, siamo quelli che portano le vostre merci. Cibo, pacchi, lettere, corrispondenza. Principalmente ci muoviamo in bici, talvolta in motorino. Sotto il sole e con il caldo, sotto la pioggia e la neve con il freddo.
Sotto l’effige della sharing economy, della sostenibilità, del lavoro fluido, dinamico e flessibile, si nascondono vecchie forme di sfruttamento, travisate dal “nuovo” che avanza. A partire da qui abbiamo intenzione di svelarle.”
Si coglie senza infingimenti un fatto fondamentale, il “nuovo capitalismo”, il capitalismo talmente pervasivo da pretendersi non più tale è il terreno sul quale la lotta di classe, la vecchia lotta di classe, si sviluppa in forme, appunto, nuove, adeguate al contesto che però riprendono l’essenziale, la capacità di dare parola a coloro ai quali è negata, di fare comunità, di costruire relazioni.
E che questa lotta tocchi un nervo scoperto è immediatamente chiaro. Intanto funzionano in maniera straordinaria i social, i solidali tempestano di messaggi la pagina Facebook di FOODORA, l’azienda cerca di censurarli ma non può, ne è travolta, la notizia gira, si determina curiosità, interesse, volontà di emulare.
La stessa stampa, in particolare, ma non solo, “La Stampa” di Torino, si interessa alla lotta dando uno spazio notevole e, incredibile a dirsi, pubblicando articoli seri e attenti ai fatti.
FOODORA dapprima nega il confronto ma è costretta a cedere e ad abbandonare la pretesa di considerare i riders come singoli interlocutori per accettare di trattare con loro gruppo.
E’ anche vero che, nel momento in cui stendo queste note, la trattativa è arenata, FOODORA è disposta a pagare qualcosa di più rispetto a quanto pretendeva ma non a mettere in discussione la struttura stessa della sua organizzazione del lavoro.
Riporto un brano del comunicato che i riders hanno messo in rete giovedì 13 ottobre:
“La proposta indecente avanzata dai nostri dirigenti, per formulare la quale si è scomodato uno dei responsabili tedeschi di Foodora Global venuto fin qui e per la quale sono stati necessari ben 4 giorni di “intenso lavoro”, consiste banalmente nel passare da 2,70€ netti a consegna a 3,70€, in una presunta accelerazione dell’attivazione delle convenzioni per le riparazioni delle bici e in una promessa di riorganizzazione della comunicazione interna.
Inutile dire che sono condizioni INACCETTABILI oltre che incredibilmente offensive e irrispettose nei confronti di noi tutti, visto e considerato che abbiamo esaustivamente spiegato che l’abolizione del Co.co.co. e del cottimo sono punti imprescindibili della nostra battaglia.
Una risposta del genere non può che suonare alle nostre orecchie come un gravissimo tentativo di prendersi gioco delle nostre rivendicazioni.
Riteniamo che se queste sono le loro condizioni non ci sono i presupposti minimi per intavolare una trattativa e di questo domani dovranno rendercene conto!”
Una situazione di stallo, ovviamente sarà necessario seguire l’andamento della vertenza torinese e, contemporaneamente, lo svilupparsi di una rete di lotta e solidarietà a livello nazionale ed internazionale.
Il fatto comunque che lo stesso ministro del lavoro si sia detto “colpito” da questa vicenda è una riprova della preoccupazione che gli esponenti delle élites del potere hanno a petto della condizione precarizzata di gran parte del lavoro in questa fase, condizione di debolezza che può in ogni momento rovesciarsi in rivolta.
Tornando al clima che si vive, è interessante che alcuni ristoratori solidarizzino con i riders di Foodora. Senza pretendere di leggere nel pensiero, alcuni fatti sono evidenti:
- Foodora leva la pelle non solo ai lavoratori ma anche alle imprese che “serve” imponendo condizioni pesanti, in pratica quelli che la utilizzano lo fanno solo a fini pubblicitari e per fidelizzare la clientela;
- è probabile che la posizione pro rider sia funzionale a dare un’immagine positiva della propria attività;
- c’è nel senso comune l’idea di un “equo profitto” che dal punto di vista della critica rivoluzionaria dell’esistente è una baggianata ma che, in qualche misura, è disfunzionale all’ipersfruttamento della forza lavoro.
”Amici e clienti ci rincresce comunicarvi che da oggi Laleo non effettuerà più consegne tramite Foodora. La precarietà fa purtroppo parte della nostra epoca ma non può giustificare lo sfruttamento. Soprattutto se si considera che la percentuale che viene chiesta al ristoratore da Foodora è del 30% sul valore dell’ordine (che scende al 25% se decidete di battagliare decisi) oltre al costo fisso di consegna di 2,90 euro.
Fare impresa significa perseguire un profitto ma non sulla pelle degli altri. ”
“Scusandoci in anticipo con la nostra gentilissima clientela, comunichiamo di voler supportare la protesta dei riders di #foodora, in merito al cambiamento contrattuale che li vedrà costretti a lavorare in condizioni di irrispettoso sfruttamento.
Il nostro locale rimarrà offline, dunque non effettuerà consegne tramite Foodora, fino a quando il loro lavoro non avrà un compenso adeguato alle loro fatiche.
Lo staff del Sorbole!”
Interessante anche quanto affermano gli organizzatori dell’Oktoberfeest, i cui dipendenti sono stati associati dalla stampa ai riders di Foodora, da loro duro lavoro contro discreto guadagno.
Infatti su “La Repubblica” del 12 ottobre ci tengono a chiarire che pagano con un voucher di 7,50 euro all’ora, il 150°% di quanto pagava Foodora prima del passaggio al cottimo puro, al quale si aggiunge un premio di 0,50 euro a boccale portato con l’effetto, a sentire loro, che è possibile guadagnare anche 20 euro all’ora se non di più.
Rivendicata anche, e soprattutto, la selezione darwiniana dei portabirra, infatti, a fine giornata viene fatta una classifica dei portabirra e chi, per due giorni di seguito, risulterà fra i tre che hanno ottenuto risultati peggiori perderà il posto.
Per, assai provvisoriamente concludere, che il cosiddetto legame sociale sia sfilacciato è evidente, crollo della partecipazione politica, fine o marginalizzazione delle forme associative tradizionali, chiusura in percorsi individuali ma è anche vero che in questo quadro lo stesso controllo sociale diviene più debole o si riduce alla repressione. La paura che nasce dall’isolamento può produrre localismi, xenofobia, comunitarismo reazionario, può e spesso avviene. Ma la lotta può, ed anche questo avviene, produrre un legame sociale positivo, una comunità aperta ed autogovernata.
Ed è su ciò che possiamo e dobbiamo scommettere ed agire.
Cosimo Scarinzi