Disertare la guerra – prendersi cura della terra. Per una gestione collettiva di territori e risorse

Nel fine settimana del 29 e 30 novembre 2025, come gruppo anarchico Mikhail Bakunin FAI di Roma&Lazio, abbiamo preso parte a due iniziative diverse per forma ma profondamente unite nel contenuto: il 29 novembre ’25 al corteo antimilitarista di Torino contro la guerra e l’economia di morte che la sostiene, e il 30 novembre ’25 a Colloro, per la costruzione concreta di un coordinamento tra realtà di montagna fondato su autogestione, mutualismo ed egualitarismo.

Due giornate che raccontano, da angolazioni differenti, la stessa tensione: la rottura con un mondo fondato su confini, eserciti, sfruttamento e devastazione, e la costruzione paziente di relazioni libere, solidali e radicate nei territori.

Il corteo del 29 novembre ha visto una partecipazione ampia e determinata. Le bandiere nere e rosso-nere hanno attraversato le strade di Torino come un fiume vivo, attraversato da slogan, interventi, musica e pratiche di tactical frivolity che hanno saputo unire comunicazione, sfottò del militarismo e un forte impegno alla lotta e alla diserzione.

Striscioni come “Fanculo la guerra, solidali con i popoli massacrati”, “Spezziamo le ali al militarismo”, “Disertiamo la guerra!” non erano semplici parole d’ordine, ma prese di posizione nette contro un sistema che trasforma la vita umana in merce sacrificabile.

Verso la testa del corteo, compagne e compagni travestiti da soldati-clown e soldatesse-clown hanno parodizzato il potere armato, smascherandone tutta la miseria. Ridicolizzare l’uniforme, svuotarla della sua autorità simbolica, è stato un modo diretto per spezzare l’aura di sacralità con cui Stati e governi cercano di rivestire la propria violenza. La Murga ha poi concluso il corteo in piazza Vittorio con una travolgente azione performativa, trasformando la piazza in uno spazio di liberazione collettiva.

Nel corteo è stato chiaro un punto politico imprescindibile: noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello Stato. Rifiutiamo la retorica patriottica come strumento di legittimazione della guerra e delle pretese espansionistiche. Non esistono nazionalismi buoni, esistono solo confini che dividono e Stati che spingono i proletari ad ammazzarsi tra loro per interessi che non sono i loro. Siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, rifiuta la leva, diserta, sabota la guerra.

Il militarismo non è un incidente della storia, ma una funzione strutturale del capitalismo e dello Stato. È lo strumento armato che difende l’accumulazione, l’estrattivismo, il saccheggio delle risorse e la repressione delle popolazioni. In questo senso, la guerra non massacra solo i popoli, ma anche i territori, trasformando la natura in campo di battaglia, discarica di armi, spazio di conquista. Qui il rifiuto della guerra si salda direttamente con la difesa della terra.

Come ci ricordava Kropotkin, la cooperazione è una legge dell’evoluzione tanto quanto la competizione. Il militarismo distrugge questa tendenza, imponendo gerarchia, obbedienza e morte. Disertare la guerra significa allora tornare a praticare il mutuo appoggio come fondamento delle relazioni umane e sociali, contro la logica dell’annientamento reciproco.

Il giorno seguente ci siamo spostati a Colloro, per un’iniziativa altrettanto politica, anche se lontana dai cortei e dalle piazze metropolitane: la nascita di un coordinamento tra le realtà che vivono, lottano e resistono nelle montagne.

La giornata è iniziata con un pranzo al Circolo di Colloro, momento semplice ma potentissimo di socialità concreta. Fin dai primi scambi si respirava qualcosa di raro: un tessuto relazionale non ancora totalmente devastato dall’individualismo competitivo delle città. Dopo il pranzo, l’assemblea è stata talmente partecipata da costringerci a spostarci in corteo ed occupare la piazza tra la chiesa di San Gottardo ed il Nucleo Carabinieri Parco – Premosello Chiovenda, dove si sono susseguiti numerosi interventi. Marco, compagno del nostro gruppo, ha parlato di over-tourism, spopolamento e reti di autogestione come strumenti per riappropriarsi dei territori.

In montagna, più che altrove, è evidente ciò che Bookchin chiamava ecologia sociale: non esiste devastazione ambientale che non sia anche devastazione sociale. Le stesse logiche che militarizzano i confini e producono guerre svuotano i paesi, trasformano i territori in parchi giochi per il turismo di massa o in zone di sacrificio per l’industria. L’alternativa non può essere una “natura protetta” dallo Stato, ma territori abitati, autogestiti, liberati.

Qui anarchia e natura smettono di essere concetti astratti e diventano pratica quotidiana: gestione collettiva delle risorse, relazioni non mercificate, solidarietà tra chi resiste. È ancora una volta il mutuo appoggio di cui parlava Kropotkin a mostrarsi come strumento concreto di sopravvivenza e liberazione.

Torino e Colloro non sono state due esperienze separate, ma due facce dello stesso percorso. Da una parte il rifiuto netto della guerra, degli Stati, dei confini, dei nazionalismi; dall’altra la costruzione quotidiana di alternative radicate nei territori, fuori dalle logiche del profitto e della competizione.

Abbiamo visto all’opera, in entrambe le giornate, una dinamica opposta a quella escludente, autoritaria, fondata sulla negazione di ogni convivenza che non passi per l’obbedienza: il protagonismo di chi lotta contro frontiere, Stati, religioni, sfruttamento. Abbiamo visto che la gioia, la creatività, la comunità sono armi potentissime contro la tristezza organizzata del potere.

Queste due giornate ci hanno confermato che costruire un’alternativa non solo è possibile, ma è già in atto. Non verrà da nuovi governi, né da eserciti “più buoni”, né da false transizioni verdi calate dall’alto. Verrà da relazioni libere, da comunità solidali, da territori che si riprendono la propria vita.

Disertare la guerra e prendersi cura della Terra sono, oggi, la stessa lotta.

Nestor & Rico

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