Con questo intervento, cercherò di rispondere all’articolo Botte da orbi di Danilo Gatto apparso su Umanità Nova il 14 maggio scorso.
Innanzitutto leggendo l’articolo si parte da un presupposto sbagliato: nell’antispecismo non ci sono botte da orbi perché ci sono personaggi come la Innocenzi, ma semplicemente la Innocenzi non ne fa parte. E’ un qualcosa a parte: è uno sterile, borghese, capitalistico, e specista animalismo assolutamente inconsistente. Però, dall’articolo, sembra quasi che la Innocenzi in un modo o nell’altro possa essere considerata antispecista. Non è così, chiariamolo subito: l’antispecismo è libertario, vegan, e liberazionista, e se non è tale, non è antispecismo.
Detto questo, sostanzialmente sono assolutamente d’accordo con Danilo Gatto, ovvero sono d’accordo con la constatazione della necessità per l’antispecismo di costruire lotte trasversali capaci di arginare l’avanzata capitalistica in tutte le forme in cui il capitalismo si manifesti; ma va da subito detto che questa posizione non è una posizione nuova o originale e, benché sia sempre opportuno ricordare che l’antispecismo non rappresenti solo una lotta per la liberazione animale ma piuttosto una lotta per la liberazione totale, ovvero animale (laddove per animale intendiamo ovviamente anche l’umano) e della Terra, sembra che il compagno Gatto si dimentichi che l’antispecismo è sempre alla ricerca di interlocutori anti-capitalisti, seppur specisti. Facciamo adesso riferimento alla corrente anarco-libertaria e dunque vegan e liberazionista.
Se all’interno degli ambienti anarco-libertari emerge sempre con maggiore forza la necessità di allargare la lotta per la costruzione di una società realmente libera, e non costruita tutta intorno all’idea di libertà ad appannaggio solo dell’animale umano, è proprio perché l’antispecismo è pienamente cosciente che non può parlarsi di libertà se questa idea concepisce e legittima, in un modo o nell’altro, lo sfruttamento sulla base della diversità di appartenenza di specie.
Già Richard D. Ryder negli anni 70 ha riconosciuto la correlazione tra specismo, sessismo e razzismo, e successivamente Peter Singer, con la pubblicazione di Liberazione Animale, ha approfondito l’argomento spiegando bene perché l’antispecismo ha la stessa radice comune con razzismo e sessismo. Senza poi dimenticare che sempre dagli anni 70 si è fatta sempre più strada la teorizzazione e la pratica dell’ecovegfemminismo, fino ad arrivare ai giorni nostri con la teorizzazione e la messa in pratica dell’antispecismo queer.
Come non accennare poi al documento Animal liberation and social revolution scritto da Brian A. Dominick e pubblicato nel 1997 con cui viene spiegata la necessità del veganarchismo (accezione che preferisco rispetto al termine antispecismo ma per il momento continuerò a parlare di antispecismo rimandando la discussione al più presto).
Insomma, quando Danilo Gatto afferma che l’antispecismo di oggi, al fine di evitare quelle botte da orbi a titolo dell’articolo, necessiterebbe di uscire “al più presto da sé stesso, che rompa il guscio di pietra che si è costruito attorno e si snaturi (senza ovviamente negare la propria impostazione etica e le istanze che porta avanti) per amalgamarsi e sciogliersi in quella trasversalità delle lotte in grado di costituire un serio argine alle derive distruttive del capitalismo” in quanto “Se esso non si intersecherà praticamente alle altre lotte non comprenderà mai le dinamiche comuni alla base dei differenti (ma non troppo) sistemi di sfruttamento”, altro non constata un qualcosa di assolutamente non originale; certamente sostiene una posizione condivisibile (come negarlo?), ma resta pur sempre un qualcosa di ormai assodato nella teorizzazione e nella praticabilità concreta dell’antispecismo.
Secondo me, il problema non risiede in questo, ossia nella chiusura dell’antispecismo in sé stesso – posto che la storia dell’antispecismo lo dimostra –, ma più negli altri gruppi di lotta che difficilmente accetteranno di riconoscere di stare dalla parte del potere nel rapporto tra gli umano, gli animali non-umani e la Terra. Infatti, accettare un’accezione del genere, ossia la pratica quotidiana dello sfruttamento e dominio di altri corpi, menti e istanze, significherebbe riconoscersi come il problema di ciò che si contesta e contro cui si lotta. Non ha senso infatti lottare contro il razzismo, il classismo, il sessismo e il patriarcato ma continuare a produrre e costruire rapporti gerarchici sulla base della differenza di un’altra diversa appartenenza, ossia quella di specie (differenziazione che tra l’altro contesto).
Il solo fatto che l’antispecismo riconosca tale impostazione, vuol dire essere usciti da sé stessi, significa essersi già aperti ed essersi resi coscienti della necessità di costruire un’unica lotta contro il dominio e la gerarchia in quanto tali, e non in base alle vittime di questi rapporti; riconoscimento che ha già qualche decina di anni.
Sebbene nella corrente anarco-libertaria la maggioranza di chi le riconosce legittimità risulta essere ancora oggi specista e antropocentrica (spesso al pari dei teologi geocentrici contro Galileo Galilei), relegando l’antispecismo ad una semplice ipotesi, un’eventualità con cui ogni tanto fare i conti, spesso deridendo la corrente antispecista come un’accozzaglia di fricchettoni a cui dare due ore di spazio per una cena vegan, bisogna riconoscere che sono stati fatti grossi passi in avanti. Ultimi esempi sono lo spazio che su Umanità Nova viene riconosciuto all’istanza antispecista e il comunicato della Federazione Anarchica Torinese contro l’apertura dello zoo e della privatizzazione del parco Michelotti di Torino.
Queste aperture all’antispecismo da parte delle correnti non antispeciste, è un chiaro segnale di come la liberazione animale, prima o poi (speriamo più prima che poi), nel corso dei tempi a venire, risulterà imprescindibile alla concezione di anarchismo. Come Proudhon era chiaramente misogino pur venendo riconosciuto come uno dei massimi esponenti della teoria anarchica, e nel corso dei secoli XIX e XX l’omofobia era apertamente accettata tra gli anarchici del tempo, come ricorda Emma Goldman, anche lo specismo nel futuro risulterà appartenente ad una passata e incompleta teorizzazione dell’anarchismo.
Dunque, concludendo, bisogna ribadire che semmai l’antispecismo non ancora prende piede in altri contesti antagonisti, non è perché questa corrente non si sia aperta, anzi, aspettiamo tutti e tutte a braccia aperte, ci mancherebbe, ma perché in altri gruppi anti-capitalisti molti e molte fanno difficoltà ad accettare la loro posizione di dominio, rimanendo così attaccati alle loro abitudini gerarchiche.