Continua la tragica conta di vittime che perdono la vita sul posto di lavoro, in un’inesorabile emorragia che si allarga sempre di più. Gli operai rappresentano la categoria di lavoratori più esposta al rischio di incidente, il settore delle costruzioni è il più colpito, non sono da meno quello dei trasporti e il manifatturiero. Si assiste a questo triste paradosso: c’è poco lavoro o, meglio, non c’è lavoro per tutti, ma spesso chi ha un’occupazione viene sfruttato e magari ci lascia la vita, in questo “privilegio” giornaliero che il capitale ci ha donato.
Sono 210 i morti sul lavoro nel 2025 al momento in cui sto scrivendo, 191 nel solito periodo del 2024: un bollettino di guerra. Queste considerazioni generali si acuiscono e si caratterizzano maggiormente nelle cosiddette zone depresse, poco lavoro, tanto sfruttamento e solito tributo di sangue. Ne è l’emblema la provincia di Massa Carrara, che ha come motore trainante dell’economia l’attività estrattiva, un settore a bassa intensità di lavoro e ad alta intensità di capitale, ma soprattutto un settore che ha il primato negativo degli infortuni mortali e delle menomazioni permanenti, superando in questa ultima tragica classifica anche il settore costruzioni. Stiamo parlando di un comparto che al monte dà occupazione a 800 cavatori, e che al piano tra taglio, modellatura e finitura impiega 1300 operai lapidei. Poi c’è la parte commerciale, costituita dai venditori e dagli imprenditori: quelli che si arricchiscono.
Aldilà di freddi numeri, statistiche e percentuali, che però servono per avere un quadro seppur parziale del panorama cave, preme sottolineare la drammaticità scatenata dall’evento luttuoso che si riversa sui familiari, sugli amici, sui colleghi di lavoro, su quel pezzo di società della quale il defunto faceva parte. Si lavora per vivere, non si vive per lavorare, tanto meno si lavora per morire. Il fattore ambientale in cava è determinante per l’organizzazione della sicurezza; l’estrazione si svolge in luoghi caratterizzati da una forte variabilità ambientale, i mezzi d’opera usati sono modelli di dimensioni mastodontiche e l’unità di misura è la tonnellata. Gli infortuni sono all’ordine del giorno, non fanno notizia a meno che non siano particolarmente gravi. Ogni “errore” si paga e a caro prezzo; per questo davanti alle esternazioni al veleno fatte lo scorso anno da un noto imprenditore apuano ai giornalisti di Report i cavatori sono andati su tutte le furie, per poi dopo una settimana dimenticare e tornare nella quotidianità, con l’accettazione e la rassegnazione all’idea che in cava l’incidente faccia parte del lavoro stesso. Sono talmente tanti e tanto frequenti gli infortuni accaduti, talvolta anche mortali, che ci si abitua, non so perché, di sicuro è inammissibile, ma è così.
La Lega dei Cavatori, associazione nata dopo la frana di Gioia del 2016, che seppellì due cavatori e ne ferì un terzo gravemente, è nata per rivendicare il diritto di tornare a casa vivi e sani, cercando di mettere la sicurezza davanti a tutto anziché la produzione e il profitto. Purtroppo pochi giorni fa, alla vigilia del primo maggio, in un incidente in cava è morto un collega, un altro che lascia moglie e figlia, un paio di anni e sarebbe andato in pensione. Paolo Lambruschi era il suo nome, operaio cooperatore nella cooperativa Canal Grande, una delle tre grandi cooperative di cavatori di Carrara. Le cooperative di cavatori erano nate nel dopoguerra come prestatrici di manodopera per la Montecatini, società mineraria che deteneva le concessioni di circa il 65% delle cave di Carrara. Alla fine degli anni 90, in seguito al fallimento della Montecatini, Sam Imeg che nel frattempo aveva acquisito le concessioni di Montecatini partecipò all’acquisizione diretta di alcune concessioni. Fallita anche la Sam Imeg, alcune concessioni furono rilevate da cooperative di cavatori. Cavatori imprenditori quindi, in una logica di mercato altamente competitiva e senza scrupoli, che sgomitano per rimanere a galla accerchiati dagli squali dell’imprenditoria locale di settore. In un contesto socioeconomico guidato dal capitale le lotte e le rivendicazioni sono sì ben accette e utili, ma se la direzione non sarà quella volta a cambiare il modello imperante, cioè quello capitalista, difficilmente finirà questa mattanza. Non vogliamo più essere reduci di questa guerra.
Manu
nell’immagine: Anni ’60, estrazione del marmo nelle cave di Carrara