Il 12 dicembre è stato il 47° anniversario della strage di piazza Fontana. Una bomba esplose nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura il 12 dicembre 1969. Il 1969 fu l’anno in cui lo scontro di classe fu il più intenso e radicale nella storia della Repubblica.
La bomba uccise 17 persone e ne ferì un altro centinaio. Fu il primo atto della “strategia della tensione”, che negli anni successivi insanguinò l’Italia. Si va dalla strage di piazza della Loggia a Brescia, alla quella del treno Italicus, sino al 2 agosto del 1980 quando una bomba devastò la sala d’attesa di seconda classe nella stazione ferroviaria di Bologna.
Dopo la strage di Milano si scatenò una durissima repressione contro gli anarchici, indicati sin dalle prime ore come responsabili: centinaia di compagni furono fermati e trattenuti in questura. Uno di loro, Giuseppe Pinelli, attivo nella lotta alla repressione, venne fermato la sera del 12 dicembre. Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, dopo 3 giorni di estenuanti interrogatori, Pinelli precipitò dal quarto piano della questura di Milano. La polizia liquidò la faccenda come suicidio, per coprire l’assassinio avvenuto tra le mura della Questura milanese, diretta da Marcello Guida, già a capo del Confino sull’isola di Ventotene, durante la dittatura fascista.
Quando, anche attraverso le denunce di alcuni giornalisti non asserviti al potere, vennero a galla le numerose incongruenze della ricostruzione fatta dalla polizia politica milanese, un magistrato democratico e di sinistra come Gerardo D’Ambrosio mise la pietra tombale sulla vicenda inventando la formula atrocemente comica del “malore attivo”.
Sin dalle prime dopo la strage la campagna contro gli anarchici raggiunse toni parossistici. Pietro Valpreda, innocente, ma con un profilo che si prestava bene al ruolo che la questura cercò di fargli recitare nella tragedia di quei giorni, venne subito difeso dal movimento anarchico milanese, che seppe cogliere con estrema lucidità il senso degli eventi e, in una conferenza stampa dichiarò “la strage è di Stato, Valpreda è innocente, Pinelli è stato assassinato”. Queste parole, che il Corriere della Sera definì deliranti, divennero l’asse portante di una campagna che fu fatta propria da ampi settori dell’opposizione politica e sociale. Tre anni dopo Valpreda verrà scarcerato. Le infinite vicende giudiziarie sulla strage finirono in nulla. La verità su quella vicenda, che spezzò per sempre qualsiasi illusione sulla Repubblica nata dalla Resistenza, è patrimonio della memoria che i movimenti continuano tenacemente ad alimentare.
Il golpe fu una possibilità concreta in quegli anni. I neofascisti furono lo strumento dei servizi segreti, gente cui poco importava il prezzo in vite umane, stampato sul cartellino.
Manodopera fascista fu messa a disposizione dei padroni e dei governanti dell’epoca, spaventati dalla primavera degli studenti, dall’autunno degli operai. Fu grazie alla forza di quei movimenti se non calò rapido l’inverno. Restano tuttavia, pesanti come macigni, i 17 morti della banca. Il 18°, il partigiano Pinelli, scaraventato dal quarto piano della Questura, dove era la stanza del commissario Calabresi, è un monito per chi crede nella bontà della democrazia.
L’info di radio Blackout ne ha parlato con Cosimo Scarinzi, all’epoca giovane anarchico milanese, che ha offerto la sua testimonianza e la sua analisi.
Ascolta l’intervista.
tratto da anarres