Gaber negli anni Settanta e l’anarchismo oggi.
Cronaca di due dibattiti ai “Venerdì libert@ri” di Terni
Si sono svolti, il 26 febbraio e il 1 aprile 2016, nella sala Gaber della libreria Feltrinelli di Terni, il quarto e quinto incontro del ciclo Venerdì libert@ri.
Un individualismo comunista: Giorgio Gaber, gli anni Settanta, e le solitudini del nostro tempo il titolo del primo, Anarchismo e internazionalismo oggi quello del secondo. Piccoli numeri, come sempre, nella saletta della libreria, meno di venti persone, facce che cambiano, facce che ritornano, per fortuna qualche giovane accanto ad amici e compagni di lunga data: un insieme eterogeneo, vivace.
Il percorso di Gaber negli anni Settanta è stato raccontato introducendo, con una breve ricostruzione del contesto in cui nascevano, una serie di brani da lui interpretati, dall’Addio Lugano bella cantata in televisione, con Jannacci ed altri, nel 1967 a Io se fossi Dio, del 1978: parabola da una problematica ma appassionata adesione ai movimenti di contestazione a quel distacco critico che lui e Luporini maturarono, fra il 1976 e il 1978, sia nei confronti dei partiti della sinistra istituzionale, sia nei riguardi dell’Autonomia e delle BR, sia verso quell’industria del “consumo alternativo” e delle sue mille mode (dal consumo di musica a quello di droghe, ai viaggi, alle merci e ai corsi esotici di ogni sorta) che conosceva allora il suo boom. Quella parabola, che iniziò nel 1972 con Dialogo tra un impegnato e un non so, e si chiuse con gli album Anni affollati () e Pressione bassa (), con un abbandono della forma “teatro-canzone” e di ciò che essa aveva significato (portare in scena un percorso che si condivideva con altri compagni, con un movimento più ampio) rappresentò, almeno per chi scrive, la fase più alta, per tensione interiore ed equilibrio critico, del percorso intellettuale e artistico di Gaber e Luporini che, anni dopo, nelle loro ultimissime produzioni, ricadde in una critica più di maniera del potere e dei costumi. Riascoltare e rivedere, insieme all’eterogenea comunità occasionale formatasi in quella saletta, alcuni momenti chiave di quel percorso ha significato riattraversare passaggi cruciali, i più gloriosi e i più dolorosi, della storia dei movimenti di quegli anni, esperienze di cui torneremo a discutere a fine aprile.
Se l’incontro su Gaber ha attratto curiosità e presenze eterogenee, ancor più sensibile è stato questo effetto nel successivo, che ha visto ritrovarsi e discutere insieme persone curiose di saperne di più sull’anarchismo, militanti di aree diverse del movimento anarchico, non anarchici più o meno addentro alla faccenda.
Chi sono gli anarchici? Esistono ancora? Come la pensano? La parola “anarchia” ha solo il significato di “caos” che il senso comune solitamente le attribuisce, o raccoglie, ancora oggi, in diversi luoghi del mondo, significati più ampi, esprimendo pratiche e aneliti di libertà? L’anarchismo è solo spontaneismo o si è dato anche forme di organizzazione? Esiste un’internazionale anarchica? Quali differenze esprime al suo interno? Come si muove? Queste le domande cui la locandina invitava. Nella breve introduzione, si è inteso evidenziare pochissimi basilari elementi, in una forma dichiaratamente semplificata che intendeva solo offrire a chi ne fosse sprovvisto qualche elemento di orientamento: le diverse matrici libertarie che confluirono nel formarsi del movimento anarchico, alcune provenienti dal solco del pensiero liberale più radicale, particolarmente attente alle libertà individuali, altre nascenti dal solco del socialismo, legate alle dinamiche di classe e ai movimenti proletari; la sintesi, a nostro avviso, più significativa di quella fase che prese forma nel programma di Saint Imier e nella proposta malatestiana dell’anarchismo inteso come “comunismo libertario”: unione del massimo di libertà individuale reso di volta in volta possibile dalle contingenze storiche e ambientali ad una forma di organizzazione delle attività economiche e sociali basata sull’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla cooperazione egualitaria.
Nel corso della relazione, sono stati illustrati la storia dell’IFA, i suoi modi di organizzazione, le sue finalità, le sue interne articolazioni: l’esperienza fondativa del Congresso di Carrara del 1968, che raccoglieva quelle degli incontri internazionali di Amsterdam del 1907 e Londra del 1958, in cui fu discusso il patto associativo, istituita la CRIFA con funzioni di raccordo tra le varie federazioni aderenti e realtà libertarie “amiche”, e si tentò di delineare i contorni di una proposta rivoluzionaria antiautoritaria in grado di fronteggiare la fase storica. I congressi del 1971 a Parigi, del 1978 nuovamente a Carrara, del 1986 ancora a Parigi, l’apertura di un dialogo con alcune correnti dei movimenti di liberazione del Nicaragua, di Haiti, la critica delle forme autoritarie di lottarmatismo sorte in Italia, alcuni tra i temi toccati. L’organizzazione dell’IFA come federazione di federazioni e di gruppi basata sull’autorganizzazione e il mutualismo, finalizzata all’abolizione di tutte le forme di potere economico, politico, sociale, religioso, culturale, sessuale (aggiungeremmo: di specie), e alla costruzione di una società libera da domini di classe e autorità statali, l’illustrazione della sua attuale articolazione attraverso il sito che ne raccoglie le manifestazioni, delle sue forme di organizzazione e confronto, e delle sue pratiche sono stati altri punti focali della relazione.
È stato più o meno a questo punto, mentre la relatrice descriveva momenti della propria personale esperienza di partecipazione a questa realtà internazionale, come la fattiva solidarietà ai combattenti curdi impegnati a difendere, contro Turchia e ISIS, il loro progetto di autonomia libertaria, e la collaborazione con i compagni del DAF, federazione di gruppi orientati ad un’azione anarchica rivoluzionaria, che il racconto è diventato dialogo, intrecciarsi di domande e risposte, osservazioni, spunti problematici, curiosità.
Un dibattito vivace, orientato da interessi diversi: c’era chi aveva voglia di saperne di più sull’anarchismo odierno e le pratiche di mutuo appoggio, altri più specificamente interessati alle forme di autogestione che i curdi stanno cercando di darsi, mentre successivi interventi hanno spostato l discorso sulle pratiche libertarie ed anarchiche possibili nel nostro contesto e sul rapporto con l’attuale fase della globalizzazione capitalistica. Passaggio di un piccolo disseminare, non dottrine ma, semplicemente, momenti di confronto tra anarchici e non, su problemi che riguardano tutti, e che la cultura dominante sembra ormai voler escludere persino dall’immaginario, oltre che dalla cronaca e dalla memoria.
La presentazione di due libri di imminente uscita, La città dei gatti di Annamaria Rivera (1 aprile 2016), che racconta le singolari forme di convivenza tra uomini e animali non-umani a Essaouira (Marocco), e (in seconda edizione) Full time blues. Un diario cronaca degli anni Settanta (29 aprile 2016) di Antonio Festival darà occasione per i prossimi due appuntamenti del ciclo.
Marco Celentano e Norma Santi