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Afghan Hill

Afghan Hill

Le-madri-Kaethe-Kollwitz-L-Europa-in-guerra.-Tracce-del-secolo-breve_imagefullwideÈ cominciato tutto con qualche tenda. Nel momento in cui gli arrivi sull’isola di Lesbo hanno iniziato a diventare massicci, le persone hanno iniziato ad accamparsi fuori dal filo spinato del principale hot-spot di Frontex, nel villaggio di Moria. Niente cibo, niente acqua, nessun servizio sanitario. Le persone in attesa di essere passate allo scanner delle procedure di registrazione dell’Unione Europea hanno piantato le prime tende in questo campo collinare e fangoso a partire dalla tarda estate dello scorso anno. Solo dopo sono arrivati i volontari.
Per affrontare la situazione, con le migliaia di persone che quotidianamente sbarcavano sulle coste e venivano portate lì, è stata creata l’associazione “Better days for Moria”, con il preciso scopo di affittare il campo su cui queste tende sorgevano e garantire a chi ci viveva la sicurezza di evitare un possibile sgombero, soprattutto data la vicinanza con il campo profughi ufficiale.
Nei mesi successivi Afghan Hill (uno dei nomi con cui è stata chiamata questa collina) si è riempita di persone e situazioni, di strutture di supporto e reti di solidarietà. Attivisti da tutto il mondo hanno fatto dell’isola greca la loro destinazione, creando servizi igienici, cucine, information points e centri di consulenza legale e psicologica.
Il campo si è formato per “strati”, a seconda delle energie, delle capacità e dei bisogni di chi lo attraversava. Gruppi di attivisti, piccole associazioni dai più svariati connotati hanno saputo e potuto muoversi autonomamente, collaborando e confrontandosi tra di loro e con le sempre diverse persone che vi arrivavano. Nell’arco dei mesi numerosi progetti si sono avvicendati e sovrapposti l’uno con l’altro. L’assenza di una gestione dell’alto ha permesso a ogni situazione di ritagliarsi il proprio spazio, con le proprie regole e i propri tempi, pur all’interno di un coordinamento collettivo reso possibile da alcuni attivisti e volontari dell’isola e da chi ha deciso di impegnarsi più a lungo. Anche la stessa barriera tra migranti e attivisti è alle volte (e in parte) superata: alcuni progetti funzionano solo grazie all’apporto di coloro che, bloccati sull’isola, decidono di attivarsi nel campo.
I rapporti con le grandi ONG e l’UNHCR, che lavorano all’interno del campo profughi dell’isola, è ridotto al minimo. I lunghi incontri iniziali hanno reso subito evidenti le distanze tra le pratiche burocratiche di gestione dell’emergenza profughi da una parte e il confronto diretto con i fallimenti di questa gestione dall’altra.
I muri e il filo spinato del campo dividono due visioni del mondo completamente differenti. All’interno, le grandi organizzazioni non governative sono impegnate nel supporto alle politiche di Frontex e, perse all’interno di un labirinto di interminabili meeting ufficiali, preventivi di spesa e carte bollate, riescono ad essere sia inefficienti che dispendiose. All’esterno, la mancanza di mezzi ha dato spazio alla creatività e al desiderio di supportare il bisogno e il diritto al movimento delle persone. Un’informalità che qui, forse più che altrove, si è resa necessaria di fronte al rapido ricambio di persone, sia tra i volontari che tra i migranti. Si conta che almeno 500.000 persone siano sbarcate sull’isola nel 2015 e almeno 50.000 nei primi due mesi del 2016. Nonostante la neve e l’inverno sono arrivati anche qui.
Chi sbarca viene portato qui per le procedure di registrazione, che spesso comportano giorni di coda e attesa. Le persone in attesa, proprio per quella burocraticità delle ONG accreditate dall’Unione Europea, che possono lavorare solo all’interno del campo ufficiale, sono lasciate senza cibo, acqua o riparo indipendentemente dall’età o dalle condizioni climatiche ad aspettare il loro turno per ottenere un foglio di carta che permetta loro, almeno in teoria, di muoversi per l’Europa.
In teoria, perché negli ultimi mesi le maglie delle procedure di registrazione si sono fatte sempre più strette: i fogli di transito vengono dati esclusivamente in base alla nazionalità e più passa il tempo meno sono le nazionalità accettate. A febbraio si sono visti i primi rifiuti anche per chi arriva dall’Afghanistan, lasciando la possibilità di accedere alla Fortezza Europa solo a Iracheni e Siriani. A limitare ancora di più le possibilità di movimento sono le azioni intraprese dai singoli stati, tra costruzione di muri, chiusura delle frontiere e spostamenti forzati. Anche le autorità greche, al fine di limitare l’arrivo di persone ad Atene, da ultimo hanno imposto una severa limitazione sul numero dei biglietti vendibili ai rifugiati.
Sempre a febbraio, dopo solo una decina di giorni in cui l’arrivo di imbarcazioni dalla Turchia è stato minore del solito, il sostituto ministro all’immigrazione, alle dipendenze del ministero dell’interno, ha deciso di tagliare l’erogazione di acqua corrente al campo di Afghan Hill, perché quanto si stava facendo lì non era ritenuto più necessario, proprio mentre si iniziava a respingere le barche in arrivo con gli idranti. Azioni che è facile ricollegare a un quadro più ampio di politiche dell’Unione e di rapporti di forza tra i vari stati della Eurozona.
La distruzione delle barche sulla costa turca da parte delle forze armate di Ankara, in pronta risposta all’ennesimo pagamento miliardario da parte dell’unione europea, e l’invio di navi da guerra della NATO come “mezzo di contrasto al traffico di esseri umani” hanno bloccato l’attraversamento di quel braccio di mar Egeo per poco più di una settimana, ma sono stati sufficienti perché il governo di Tsipras sfoggiasse i muscoli con queste nuove misure di contenimento, per garantirsi nuovi margini nelle trattative con gli stati confinanti e con l’Austria.
Per oltre una settimana ad Afghan Hill si è vissuto grazie ai rifornimenti “a spalla” dalle fonti e dalle case più vicine. Si è cucinato e lavato, si sono fatti funzionare docce e bagni nelle migliori condizioni igieniche possibili. A confermare la natura opportunistica e criminale delle decisioni del governo greco, gli sbarchi sono ripresi molto in fretta e tutte le persone bloccate nelle settimane precedenti al di là dall’Egeo hanno iniziato ad arrivare. Ora, grazie alla pressione dei solidali nei confronti della municipalità, Aghan Hill ha una nuova fornitura d’acqua corrente e continua a soddisfare i bisogni primari di centinaia di persone ogni giorno.
Le politiche migratorie di Frontex, la voce grossa degli stati che minacciano la chiusura dei propri confini, lo sfoggio di muscoli del governo greco, impegnato nel suo braccio di ferro con l’Unione Europea, e di quello turco, impegnato a onorare il pagamento ricevuto, sono politiche “UMANITARIE” i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Stare a guardare e stare in silenzio è essere complici.
Emma Musty e Giulio D’Errico


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