Una imponente organizzazione religiosa, con in testa la Caritas e la potente Comunità di Sant’Egidio, gestirà i servizi Inps di erogazione indennità e sussidi in favore di 5 milioni di poveri, anziani e senza tetto. Un “affare”, per la Chiesa, da 200 milioni l’anno.
Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, l’Avvenire, nega che la Caritas riceva introiti, perché l’accordo con l’Inps non prevederebbe compensi. Una recita degna di miglior causa, poiché l’accordo stretto con l’Inps prevede che la gestione dei servizi sia affidata alle ACLI, che riceveranno il compenso destinato a qualsiasi altro patronato, ma godranno del privilegio di avere una corsia preferenziale.
L’ennesimo regalo ai preti del governo di turno. Un buon affare per le casse delle organizzazioni legate alla chiesa cattolica, ma anche un abile investimento di immagine, per chi, da un secolo e mezzo, usa l’assistenza come sistema di penetrazione e controllo tra i più poveri. Di seguito un articolo scritto per Anarres da Daniele Ratti
Il 21 novembre del 2021 è stato firmato un accordo quadro tra l’INPS, l’Anci (Associazione dei Comuni Italiani) la Caritas Italiana e la Comunità di Sant’Egidio, per l’apertura negli 8.000 comuni italiani, di sportelli per la gestione di domande assistenza alle fasce sociali più deboli.
Si tratta di una platea di quasi sei milioni di persone, con un risvolto economico pari a 200milioni annui. In sintesi si è concretizzato il più grande appalto del welfare italiano.
Le tappe che hanno portato all’accordo sono significative di come il pubblico ha donato alla chiesa cattolica una parte significativa del proprio welfare.
Il primo passo è stato compiuto nell’ottobre del 2019, governo Conte, con l’istituzione dell’“Inps per tutti”. In sintesi per facilitare l’accesso alle fasce più deboli e bisognose della popolazione alle pratiche burocratiche, si è chiesto “soccorso” alle associazioni caritatevoli.
La Caritas, fondata nel 1971 da Paolo VI, forte di una rete di 218 Caritas diocesane su un totale di 227 diocesi italiane, unitamente ad un altro colosso dell’assistenzialismo cattolico, la Comunità di Sant’Egidio, si è inserita immediatamente nel progetto.
Il passaggio decisivo per l’appalto al Vaticano è avvenuto nel settembre del 2020. L’allora ministro della salute, Speranza, designa al vertice della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana, un esponente di spicco dello stato del Vaticano, l’arcivescovo Paglia. Il prelato è personaggio di assoluto rilievo, anche sotto il profilo politico e mediatico, essendo gran cancelliere del Pontificio Istituto teologico del matrimonio e della famiglia e presidente della pontificia accademia per la vita. Una contraddizione istituzionale evidente ed insanabile. Lo stato italiano designa a responsabile di una sua struttura un alto rappresentante di uno stato estero, la Città del Vaticano. Al di là delle contraddizioni etiche e politiche, la nomina porta a compimento l’architettura dell’Inps per tutti. Nel giugno del 2021 la Commissione presieduta dall’arcivescovo Paglia, in accordo con ISTAT delimita un perimetro della popolazione anziana, over ’75, bisognosa di cure, un bacino di 6,9 milioni di individui. Si completa l’architettura della “carità”. Caritas stipula con le Acli un accordo per il quale una volta individuato il “bisognoso” lo stesso viene affidato da Caritas alle Acli e da questa assistito per le domande di assistenza al sistema del welfare. Precisiamo ancora una volta che il servizio non è gratuito in quanto lo stato riconosce per la gestione delle pratiche burocratiche circa 200milioni annui. L’ennesimo regalo della repubblica Italiana allo Stato della Città del Vaticano. “Inps per tutti” è la dimostrazione delle regalie alla chiesa cattolica.
Parte decisiva nel “donare” quote del patrimonio comune alla chiesa cattolica è nell’esercizio della fiscalità.
Gli enti ecclesiastici sono, nel disposto concordatario, enti non commerciali, dotati di personalità giuridica privata, aventi finalità di culto, educazione, beneficenza. La regola viene nettamente contraddetta dai fatti. L’ente ecclesiastico seppur ente non commerciale, può gestire case per ferie, svolgere attività del terzo settore anche con scopi commerciali quali vendere un terreno edificabile, possedere un immobile locato svolgere attività d’impresa, quale la gestione di una casa di riposo e di una scuola paritaria.
In sintesi l’ente ecclesiastico è autorizzato ad intraprendere attività dove lo scopo sociale e quello commerciale si confondono l’uno con l’altro. Se tutto ciò si è realizzato è grazie al principio di sussidiarietà, la trave portante del cosiddetto terzo settore. Il principio di sussidiarietà è recepito nella Costituzione italiana attraverso la riforma del titolo V, dove il potere centrale delega parte delle sue attività all’associazionismo. In tale contesto si è felicemente inserita la chiesa cattolica.
L’altra “sponda del Tevere” ha lunga tradizione nella sua dottrina sociale, dalla Rerum Novarum in poi, nel praticare il principio della sussidiarietà. Il passaggio storico fondamentale fu intrapreso, nel 1929, da Pio XI, con la firma dei Patti Lateranensi, ovvero la cessione di parte significativa del potere pubblico e soprattutto delle risorse comuni al papato. Nell’enciclica Quadragesimo anno vi sono le fondamenta della moderna sussidiarietà, dove si afferma che: “siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”. Va da sé la penetrazione e soprattutto l’occupazione da parte del Vaticano di una quota significativa di beni comuni, quali la scuola e la sanità. La strada intrapresa con i Patti Lateranensi si è sempre più ampliata. Illuminanti i fondi destinati dal PNNR agli oratori. Le risorse per contrastare il “disagio giovanile”, vengono incanalate nella corsia preferenziale di un ente religioso come gli oratori, strutture integrate nella chiesa romana e soprattutto, come normato dal codice di diritto canonico all’”educazione dei giovani alla fede”.
Non solo una destinazione politicamente inaccettabile ma di fatto un riconoscimento de facto da parte della struttura amministrativa e politica del civile di una componente di un apparato religioso. In conclusione vi è un incontro tra il neoliberismo della compassione e la carità cristiana. Due modi in apparenza differenti ma che hanno una radice in comune: negare l’eguaglianza. Chi fa la carità si pone in una situazione gerarchica di superiorità, chi la riceve inevitabilmente è un sottoposto. La solidarietà invece presuppone una condivisione di analisi e di scelte. La consapevolezza di chi è sfruttato e di chi individua i tempi e modi per la propria e altrui liberazione dallo sfruttamento. Ancora una volta la storia è contraddittoria. La chiesa romana, da una parte invoca la sussidiarietà, il “federalismo” dell’assistenza e della carità, dall’altra parte rimane una struttura centralista.
Daniele Ratti da www.anarresinfo.org